EUROPA

In Svizzera le vite nere contano

Superano le due cifre i neri uccisi dalla polizia elvetica negli ultimi dieci anni. L’ultimo la settimana scorsa vicino Losanna. I movimenti e i collettivi antirazzisti della regione rispondono con un corteo compatto e partecipato

La Svizzera si mobilita contro il razzismo delle forze dell’ordine. Nella sera di lunedì 30 agosto, intorno alle 18, un uomo di 37 anni residente a Zurigo è stato ucciso a colpi di pistola dalla polizia locale a Morges, località lacustre a pochi chilometri da Losanna. Si tratta dell’ennesima persona nera morta per mano di uno dei numerosi corpi di polizia elvetici in poco più di dieci anni, ma quantificarle è impresa non facile, come denuncia da anni il sito humanrights.ch.

La memoria torna subito ai 14 mesi fra novembre 2016 e febbraio 2018, quando nel solo cantone di Vaud ben quattro casi (di cui tre mortali) hanno mostrato gli effetti perversi della profilazione razziale adottata dalla polizia. Numeri che stupiscono se rapportati alla popolazione del paese (8,5 milioni) e agli stessi dati sull’utilizzo delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine: secondo la Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali (Ccpcs) nel 2020, in tutto il territorio nazionale, si sono registrati 12 episodi, di cui tre mortali, mentre nel 2019 erano 15, di cui uno mortale.

A preoccupare questa volta è però anche l’opacità con cui le autorità hanno dato conto dell’accaduto, occultando il fatto che l’uomo fosse nero, nonché la quasi assoluta adesione dei media locali alla versione “ufficiale”.


A una settimana di distanza, infatti, i dettagli della vicenda restano ancora da chiarire. Secondo la ricostruzione della polizia cantonale due pattuglie locali si sono recate alla stazione ferroviaria di Morges dove si trovava una persona qualificata come «in stato d’agitazione». In risposta all’atteggiamento «minaccioso» dell’uomo, che brandiva un coltello, gli agenti hanno aperto il fuoco provocandogli ferite che si sono rivelate mortali, nonostante i tentativi «immediati» di rianimazione eseguiti dagli stessi e dal personale sanitario intervenuto d’urgenza.

A queste prime informazioni, i giornali locali hanno aggiunto che, secondo alcune testimonianze, l’uomo sarebbe stato visto «pregare» sulla banchina. Elemento sul quale è stato fin troppo facile tracciare un parallelo con l’omicidio che ha scosso la cittadina nel settembre 2020, quando un giovane di origine curda e cittadinanza turco-svizzera vicino al fondamentalismo islamico ha accoltellato e ucciso un ventinovenne portoghese a pochi passi dalla stazione.

Questa volta, però, l’origine e il colore della pelle sono rimasti ben lontani dai riflettori e ovunque si è potuto rileggere quanto già detto dalle autorità: la vittima era un cittadino svizzero residente nel Canton Zurigo.


Ci sono voluti due giorni prima che il giornale “Le Courrier” rivelasse che l’uomo, oltre a essere svizzero, era nero. Martedì sera, il quotidiano della sinistra ginevrina aveva inoltre pubblicato sul proprio canale Youtube un video amatoriale che propone una versione dei fatti in totale opposizione al comunicato della polizia. Nei minuti successivi agli spari, come si vede chiaramente nel video, gli agenti hanno provveduto ad ammanettare, mettere in posizione laterale di sicurezza e piegare le gambe al trentasettenne.

Solo quattro minuti più tardi un avventore, infermiere di professione, pratica inutilmente i primi tentativi di soccorso. Il giorno successivo il quotidiano di lingua tedesca “Blick” ha diffuso un secondo video, ancora più scioccante: si vedono due agenti retrocedere velocemente davanti alla corsa dell’uomo, che cade all’impatto di un primo colpo, si rialza e poi crolla a seguito di due ulteriori esplosioni.

Sulla spinta di queste rivelazioni, la polizia ha rilasciato un secondo comunicato in cui conferma la presenza del coltello, spiega che l’uomo soffriva di problemi psichici ed era stato visto camminare lungo i binari, oltre al fatto di essere noto alla polizia zurighese, ma per ragioni non legate alla cosiddetta «radicalizzazione».

Della presunta preghiera sulla banchina, invece, non si fa più alcuna menzione. Parallelamente, il Procuratore generale incaricato del procedimento penale ha rassicurato giovedì il pubblico del secondo canale televisivo sulle garanzie d’imparzialità delle indagini in corso, pur mancando ancora i meccanismi d’inchiesta indipendenti raccomandati dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel quadro dell’Esame periodico universale del 2017-18 (cfr. Centro di competenza per i diritti umani, Esame periodico universale (Epu) dei diritti umani in Svizzera, 2018, pp. 24-26).

La volontà della famiglia della vittima, invece, non è ancora nota. Una prima risposta da parte dei movimenti e dei collettivi antirazzisti della regione è invece arrivata venerdì sera. Un corteo compatto ha sfilato lungo le stradine del centro storico, scandendo slogan contro le violenze poliziesche e denunciando l’atteggiamento di copertura assunto da alcuni media locali e sono stati più volte scanditi i nomi delle «vite nere» spezzate dai tutori dell’ordine negli ultimi anni: Mike Ben Peter (morto per un malore a seguito di un controllo di polizia vicino la stazione di Losanna nel febbraio 2018), Lamine Fatty (morto all’interno della caserma della Gendarmerie di Losanna nell’ottobre 2017) e Hervé Mandundu, ucciso a colpi d’arma da fuoco durante un intervento della polizia a Bex nel novembre 2016: il responsabile è stato assolto e addirittura risarcito con 35.000 franchi svizzeri (quasi 33.000 euro) lo scorso marzo.

Tutte le foto dalla manifestazione di Morges (Canton Vaud, Svizzera) del 3 settembre