OPINIONI

Il reale fa male

La pacchia è finita. La realtà si è abbattuta sul governo gialloverde nello stesso momento in cui è crollato il ponte Morandi.

Di colpo, non si è trattato più di sbraitare contro zingari e migranti clandestini ma di intervenire a salvare vite umane, trovare i soldi per revisionare tutto il sistema dei viadotti, resuscitare la mobilità e i collegamenti di Genova.

In prima battuta Di Maio e Salvini, con il povero Conte al guinzaglio, hanno provato la solita mossa: buttare la colpa sui governi precedenti, esigere al volo responsabili e manette, salvo accorgersi rapidamente che infierire sui grandi capitalisti non è così semplice come su quattro ambulanti: Benetton e soci hanno fior d’avvocati, clausole contrattuali iugulatorie, penali e insomma agli scalzacani gialloverdi possono rompere il culo quando vogliono. Di qui il precipitoso passaggio dalla revoca immediata della concessione alla Società Autostrade senza attendere le risultanze delle indagini giudiziari per il crollo del viadotto alla revoca come «ipotesi eventuale» previ accertamenti secolari e il comico appello di Salvini al «buon cuore» di Benetton. Il quale non solo aveva ampiamente dimostrato la sua umanità in Patagonia, ma in questo caso pagando spontaneamente si dichiarerebbe colpevole in anticipo…

Dunque, alla fine, sulla sacrosanta revoca della concessione potrebbe non farsi nulla (o quasi): dopo aver ricavato un temporaneo vantaggio propagandistico dall’annuncio, anzi probabilmente si dovrà rimediare alla figuraccia riesumando la logora tattica berlusconiana delle mani legate. Di Maio lamenterà che Salvini ha fatto marcia indietro sulla revoca, Salvini griderà che sulla chiusura dei porti ai migranti Di Maio è esitante e ha accolto qualche profugo, entrambi se la prenderanno con l’Europa e con il Pd – una mossa che va sempre bene anche se la bestia ormai è morta. Solo che questi trucchetti funzionano sempre meno e peggio andrà quando con la finanziaria a settembre saranno toccate le tasche e non solo le percezioni degli italiani. Certo: le pensioni d’oro, i vitalizi, le regalie di Renzi, ma la benzina sale e forse pure l’Iva. Gli gnomi di Zurigo e di Bruxelles, il perfido Soros dal naso adunco e le unghie rapaci, negher e nomadi da impallinare – come no. Ma la realtà incalza, buste paga e precarietà, sfacelo delle infrastrutture senza un piano neppure per battere cassa all’Europa, sgravi fiscali e reddito di cittadinanza sempre più distanti e improbabili. Potranno ancora far fuori Tria e Boeri, ma la corda ormai è stata tutta tirata e il vero establishment si farà sentire. 

Il conto lo pagheremo tutti, perché il populismo farlocco ha toppato rumorosamente, ma la rivincita delle élites sarà sanguinosa, incorporando magari la Lega e pezzi di xenofobia e sovranismo. Il neoliberalismo ormai ha prodotto Trump e non ritornerà alle allucinazioni della terza via e di una globalizzazione win-win. Si tratterà comunque di una variante del ciclo reazionario, senza coglionaggini pentastellate e senza quantitative easing. Non lacrime e sangue, ma merda e sangue. 

A livello di personale politico le vittime designate sono il fanfarone Di Maio e il pavido carabiniere Toninelli, mentre purtroppo sembra improbabile che si produca una coalizione fra un Pd de-renzizzato e un M5s de-casaleggizzato, dal momento che anche le recenti vicende hanno acuito la polarizzazione fra un populismo sciatto e giustizialista e una “sinistra” industrialista e privatistico-neoliberale. Un ulteriore vantaggio per l’ascesa di una destra a trazione salviniana che ricomponga poteri forti ed elementi di protezionismo economico e nazionalismo politico, sbarazzandosi dalle retoriche della decrescita, del cittadinismo e della democrazia diretta. E non è detto che anche il nucleo forte casaleggiano non trovi elementi di convergenza con il centro-destra sovranista.

Cosa dovremmo proporci, se ne avessimo la forza, evitando di schierarci fra il partito dei finti nazionalizzatori e quello dei difensori d’ufficio dei Benetton?

In primo luogo ribadiamo ovviamente che le infrastrutture stradali e ferroviarie, con il territorio che ne è il supporto fisico, sono un bene comune, il più elementare esempio di bene comune non naturale e che dunque va restituito senza indennizzi alla pubblica fruizione. Toccherebbe poi alle attuali istituzioni provvedere non solo ai controlli di binari e viadotti pericolanti ma alla manutenzione generale di un patrimonio pubblico degradato, così come al risanamento idrogeologico di un territorio disastrato. Per questo occorrono investimenti giganteschi, da contrattare anche con l’Europa e che certamente contrastano con la follia economica e sociale della flat tax e anzi servirebbe un’imposizione progressiva straordinaria sui patrimoni più ingenti: insomma, una procedura rivoluzionaria e non un “governo di cambiamento” tutto chiacchiere e distintivo.

Le formule politiche e anche le maggioranze, sulla base della ripartizione elettorale presente e futura e ancor più dell’incidenza dell’indignazione e delle lotte che prima o poi subentreranno agli insulti sul web e agli sfoghi razzisti nelle strade, deriveranno dall’irruzione del reale nella percezione. Non parliamo cioè di disgrazie prevedibili ma occasionali, piuttosto della stretta economica di settembre, quando verranno meno gli effetti placebo della cura Draghi e il declino della crescita economica farà saltare il rapporto Pil-deficit e parecchie promesse elettorali.

Il tutto sulle ceneri di una maggioranza inconsistente malgrado i momentanei sondaggi favorevoli e di un’opposizione inesistente sul piano delle pratiche quanto dell’opinione pubblica.