MONDO

Il popolo di Gezi continua a lottare

Sotto la cenere brucia ancora il fuoco della rivolta che ha dato i suoi frutti come l’occupazione “Don Kisot” a Istanbul. Convocata una grande manifestazione per il 22 dicembre.

Sulle proteste in Turchia si sono spenti i riflettori internazionali e questo è in parte comprensibile; non ci sono più le centinaia di migliaia di persone in piazza ogni giorno, Gezi Park a Istanbul è tornato un tranquillo parco urbano, il governo prosegue nella suo operato sul piano nazionale ed internazionale senza sostanziali cambiamenti rispetto a prima. Il premier Erdogan sembra essersi ripreso dallo scivolone internazionale, e affronta con la consueta faccia tosta tutto, dal presunto processo di pace con il popolo kurdo, a cui sono state fatte fin’ora solo concessioni di facciata, alla complicata situazione sul confine siriano, utilizzato quotidianamente da ribelli filo quaedisti, alla questione dell’ingresso in Europa, che procede a passo di lumaca, fino agli aspetti di società e costume, con dichiarazioni e iniziative, come la condanna degli alloggi studenteschi misti o le restrizioni sull’accesso alle scuole di stampo occidentale, che strizzano continuamente l’occhio ai Paesi Islamici e irritano e feriscono quell’anima del paese che è e vuole continuare ad essere profondamente laica.

Di sfondo uno scontento che, persa la carica esplosiva di Gezi, viene tenuto facilmente sotto controllo con schiere di forze di polizia nelle strade, pronte a scattare appena la forma della protesta o chi protesta non sia ritenuto averne il diritto.

In uno scenario del genere lecito è chiedersi se e cosa sia rimasto dopo Gezi, oltre all’opaca e poco convincente formazione di un partito, il Gezi Partisi, da parte di alcuni esponenti delle proteste antigovernative. Al di la del fatto che Erdogan ha perso quel consenso che gli avrebbe potuto permettere di cambiare la costituzione e che le imminenti lezioni amministrative lo possano già dimostrare, i cambiamenti che il fenomeno Gezi ha prodotto sono tanto profondi quanto lenti a manifestarsi. Con Gezi questo paese ha respirato odore di democrazia e non ha intenzione di dimenticarlo. Con Gezi questo popolo ha ritrovato il suo coraggio e in parte lo dimostra l’esperienza che questa intervista vi racconta.

A Kadikoy, il quartiere asiatico ferito dagli ultimi scontri violenti verificatesi a Istanbul questo autunno, è stato occupato un edificio, iniziativa che nel contesto turco rappresenta una grossa novità.

Vado al “Don Kisot” (visitala pagina facebook) circa due mesi dopo la sua occupazione, per capire di che si tratta, come sono andate le cose. Vi trovo un’atmosfera molto distesa e tranquilla, e diverse persone, la maggior parte giovani ma anche qualche capello bianco, tutti del quartiere, che lavorano, o semplicemente vi passano del tempo: fra di loro Zafer e Atakan, studente di dottorato uno, free lancer l’altro, che di buon grado accettano di farsi intervistare. Lascio raccontare il resto alle loro parole e alle immagini

Come ci racconterà qualcosa delle tracce di Gezi il 22 dicembre prossimo, giorno in cui un ‘ampio coordinamento di realtà, da tutti i Forum seguiti a Gezi Park, a comitati territoriali, associazioni ambientaliste, organizzazioni studentesche, movimenti sociali e civili, ha convocato, proprio a Kadikoy, una manifestazione che rivendica il diritto alla città; una formula in linea con lo spirito di Gezi e che a detta degli organizzatori sarà un grande momento di protesta.

Per chi volesse ascoltare l’audio dell’intervista, che è in un inglese molto comprensibile:

Come e dove è nata l’idea di fare un’occupazione?

Zafer: io penso che sia stato in seguito a Gezi Park. Dopo l’esperienza di Gezi, dopo che la Polizia ha attaccato cosi brutalmente la resistenza di Gezi, abbiamo lasciato Gezi e ci siamo distribuiti in diversi altri parchi; per esempio noi facciamo parte del Forum di Olcuk Park, in Kadikoy, abbiamo costruito una piattaforma di solidarietà che coinvolge tutto il quartiere, abbiamo prodotto diversi momenti di discussione, ed ad un certo punto ci siamo chiesti: cosa faremo quest’inverno? Molto semplicemente il bisogno concreto di un luogo dove proseguire la discussione al riparo dal freddo ci ha posto per la prima volta davanti all’idea di occupare; contemporaneamente poi un’amico ci ha informati dell’esistenza di questo edificio vuoto.

Atakan: secondo me anche prima di Gezi l’idea di occupare circolava fra delle persone, quelle con più esperienza di movimento, con più relazioni internazionali con realtà che già da tempo hanno sperimentato la pratica delle occupazioni; solo che qui non è mai stato possibile far accettare socialmente questo tipo di azione di protesta, superare il clichè dello squatter visto come un disadattato, perché secondo me si tratta di una cultura ancora poco conosciuta qui da noi; durante le proteste di Gezi Park sono stati occupati 11 edifici, ma tutti sono stati lasciati per diversi motivi, o perché sgomberati dalla polizia, o perché relazionati a circuiti criminali o mafiosi; ciononostante noi abbiamo continuato a pensare che fosse necessario mettere in pratica anche questo tipo di resistenza.

L’esperienza di Gezi Park è stata quindi in grado di rendere possibile qualcosa che prima non lo era?

Atakan: esatto, Gezi ha rotto dei muri, in particolare i nostri muri mentali; e la società lo ha capito, ha capito molte cose, sul funzionamento dei mezzi di informazione, sulle intenzioni di questo governo, sul comportamento della polizia; senza Gezi sarebbe stato difficile mantenere e far accettare l’occupazione di un luogo come questo, avremmo potuto avere gli abitanti del quartiere contro , invece un giorno, all’interno del forum, ci siamo detti,” l’inverno sta arrivando, farà freddo, che cosa facciamo?”, ed eccoci qua! Questa occupazione è iniziata facendo delle scritte sui muri, queste scritte sui muri hanno aperto la discussione all’interno del forum, e la proposta di occupare è stata accettata, ci siamo detti “si, questa volta si può fare”

Voi siete qui dal primo giorno di occupazione: quale è stata la reazione degli abitanti del quartiere?

Zafer: si sono verificati degli episodi confortanti, per esempio la signora dell’edificio accanto è venuta, ci ha fatto le congratulazioni, era molto contenta del fatto che un posto che prima era solo un ricettacolo di immondizia, un posto problematico, venisse recuperato in quel modo, e a riprova della sua approvazione ha fatto portare dal ristorante 50 porzioni di cibo. Comunque a parte questo io credo che sia ancora presto per avere un quadro completo dell’impatto sul quartiere: più avanti nel tempo, dopo che avremo fatto delle iniziative, fatto funzionare questo posto, potremmo dire qualcosa di più, adesso non abbiamo davvero avuto molto feedback.

Che progetti avete per questo posto, cosa pensate di fare qui?

Zafer: ci sono molti progetti qui, forse sono ancora sogni, ma ne parliamo tutti i giorni: per prima cosa bisogna organizzarsi fra di noi e poi aprirci al quartiere, per esempio diventando la sede di piattaforme locali di discussione.

Atakan: rispetto alla reazione degli abitanti del quartiere, erano curiosi, ci chiedevano “hei, cosa avete intenzione di fare qua”, noi gli abbiamo risposto che questo posto era abbandonato da quasi 20 anni, che avevamo intenzione di pulirlo e sistemarlo e di renderlo uno spazio pubblico, e questa cosa è piaciuta molto, il loro atteggiamento non era solo di solidarietà ma anche di apprezzamento per quello che stavamo facendo; è con questo spirito che la signora di cui ha parlato Zafer prima, ci fa portare il cibo, piuttosto che i negozianti ci fanno gli sconti etc; comunque l’idea principale è che questo deve essere uno spazio pubblico, questa è la cosa più importante, non abbiamo intenzione di far circolare denaro qua dentro, e chiunque deve sentirsi parte di questo posto, non voglio separare “noi” dagli altri; un’altra cosa importante è che questo edificio possa cambiare, che non rimanga sempre uguale, per questo motivo per esempio sono arrivati e arriveranno artisti che lo useranno anche come un luogo per esporre la propria arte, per esempio i graffiti, i murales, qualsiasi cosa, puoi esporre i tuoi lavori, lo puoi fare, ma può anche cambiare; poi come puoi vedere questo edificio è costruito solo a metà, perciò vogliamo portare a termine la costruzione ma utilizzando tecniche alternative, sia dal punto di vista tecnico, che architettonico che economico, per questo motivo stiamo discutendo appunto con architetti ed altri tecnici, su materiali, metodi, trasporti, energie alternative; attualmente al piano terra c’è una sorta di studio per attività fotografiche e video, poi sono previsti un atelier del riciclaggio; la sala principale sarà dedicata alle attività più generali, incontri, assemblee, concerti, esibizioni; useremo le altre stanze per fare una cucina, una biblioteca, uno spazio bimbi e una per lo scambio di vestiti e oggetti usati; all’ultimo piano c’è un giardino interno e pensiamo di fare di quello spazio un atelier comune, sul tetto infine vorremmo fare una serra.

Questa occupazione sembra essere un fatto nuovo, non solo per Istanbul ma per tutta la Turchia….

Zafer: si , si tratta di una forma di resistenza nuova. Anche negli anni ’70 ci sono state delle forme di resistenza legate all’occupazione: le tante persone che si trasferivano dalle campagne alla città per trovare un lavoro, conquistavano delle terre abbandonate, vi costruivano case e poi le vendevano a chi ne aveva bisogno

Stai parlando dei “Gecekondu(*)?”

Zafer: si, quella è stata una forma diversa di occupazione, che è terminata tra gli anni 80 e 90, come si è esaurita la terra occupabile; ma l’esperienza di oggi, questa conquista, è nuova, ed io sono convinto sia l’effetto e il risultato di Gezi, cosi, potremmo dire che come tra gli anni 70 e 90 ci sono stati i “Gecekondu”, adessoè l’ora dei “GeziKondu!”

Quali sono state le reazioni da parte dell’amministrazione comunale e locale ed eventualmente delle forze di polizia?

Zafer: per quanto riguarda le forze di polizia, non ci sono state reazioni reali, si sono presentati qui con una scusa ma se ne sono subito andati, non c’è stato ancora un vero intervento perché la situazione dell’immobile è contorta, c’è un procedimento penale in corso, è come se non appartenesse a nessuno in questo momento.

Avete preso contatti con l’amministrazione locale o avete intenzione di farlo?

Zafer: non ufficialmente; attraverso una serie di contatti abbiamo ricevuto qualche aiuto, per esempio per la rimozione della spazzatura che stava qua, ma ripeto, non c’è una relazione ufficiale; questa municipalità è governata dal CHP sicuramente si pone in maniera più aperta dell’AKP, ma in tema di trasformazione urbana, la visione del CHP è la stessa ed ha poco a che vedere con la nostra. In molte municipalità governate dal CHP si sono verificate trasformazioni urbane criticabili; comunque, quello della relazione con l’amministrazione è un tema in discussione fra di noi.

Che cosa pensate della creazione del Partito di Gezi?

Atakan: io credo che uno dei problemi di questo paese sia quello di focalizzarsi sempre sui partiti, di aspettarsi sempre qualcosa dai partiti; secondo me questa è la cosa più sbagliata e pericolosa, perché i partiti fanno sempre la stessa cosa, finiscono con l’usare questo tipo di movimenti; quando entra in gioco la politica le cose cambiano, come per esempio è successo a Siriza in Grecia; io non ho un idea precisa sul partito di Gezi, ma fare un partito sull’esperienza di Gezi è un qualcosa che non mi piace; Gezi non è stato questo, Gezi è stata una forma di resistenza civile, noi dicevamo di accettare tutti al di fuori di una logica partitica, che fosse l’AKP o il CHP o quant’altro, Gezi era al di fuori di questo, quello che dicevamo era “noi siamo il pubblico”

Zafer: la mia idea è in parte diversa, nel senso che io credo che abbiamo bisogno della politica per cambiare il sistema, io penso che politica e resistenza possano coincidere; quindi abbiamo bisogno di un partito per il futuro, ma credo anche che questo partito di Gezi sia una cosa non vera, non realmente rappresentativa, perché Gezi è un qualcosa di veramente ampio, che può avere a che fare con tutti i partiti, BDP, nazionalisti, autonomi, anarchici, vi hanno confluito diverse ideologie politiche. In questo senso Gezi rappresenta una nuova idea di società, un partito non può rappresentare l’anima di Gezi; per esempio, io sono socialista, sono ecologista,ma non voglio imporre le mie idee, molti dentro Gezi non erano socialisti, non erano ecologisti, ma sono scesi in piazza perché contro quella che consideravano una dittatura.

(*) Gecekondu: lett. “costruiti in una notte”;case costruite abusivamente sfruttando un vuoto legislativo,che a partire dagli anni 70, in seguito all’inurbamento massiccio delle masse provenienti dalle campagne, hanno dato vita a veri e propri quartieri, in parte poi regolarizzati dall’amministrazione