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Il maestro Del Boca. Un ricordo di chi lo ha conosciuto da vicino

Le visite nell’ufficio su Corso Inghilterra, i confronti anche serrati, il bilancio di una vita militante. Il ritratto di uno storico che «il più delle volte interrompeva il discorso imprecando»

Non è possibile ripercorre in poche righe la vita, la produzione intellettuale, gli impegni politici di un uomo che per tutta vita ha mantenuto un impegno costante nel ricercare e divulgare alcune pagine della storia d’Italia. Proverò a scrivere qualche ricordo anche se mi è estremamente difficile in questo momento di dolore per la perdita del mio maestro.

La prima volta che incontrai Angelo stavo facendo la tesi di laurea. Avevo letto tutti i suoi libri, per me era un sogno poterci parlare. Non fu un incontro facile perché sosteneva di avere già scritto tutto mentre io lo incalzai ripetutamente sostenendo che c’era ancora molto da scrivere, soprattutto sulla resistenza etiopica nella regione del Goggiam. «Devi guardare i diari storici dei battaglioni. Un lavoro enorme», mi disse. «Lo farò, ci rivediamo fra tre mesi». Dopo un po’ di tempo cominciai a mandargli del materiale e nacque uno straordinario rapporto intellettuale tra studiosi di generazioni diverse.

Negli anni, andare a trovarlo a Torino, scrivergli o telefonargli diventarono un’abitudine. Aveva uno studio con finestre su corso Inghilterra pieno zeppo di libri sull’Africa, il più bel quadro che abbia mai visto sulla Battaglia di Adua appeso alla parete e tantissimi quadretti a tempera (ex voto) della Val d’Ossola. Non uscivi mai da casa sua a mani vuote, ti appioppava sempre una tesi o un dattiloscritto o un libro da leggere e restituire.

Leggeva, studiava, si informava. Continuamente.

Intestazione di serie di 10 cartoline dalla città di Dire Daua in Etiopia (foto da collezione privata)

Tutti quelli che lo hanno conosciuto si sono sempre chiesti come abbia potuto fare tutto quello che ha fatto. Fece le ricerche e scrisse l’enorme opera in quattro volumi Gli italiani in Africa Orientale (1976-1984) mentre era direttore della «Gazzetta del popolo», quotidiano socialista torinese. Cessata l’attività giornalistica, si dedicò all’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea di Piacenza che divenne con la rivista «Studi piacentini» un punto di riferimento importante per gli studiosi delle colonie. Negli ultimi anni – dopo diverse collaborazioni con Laterza prima e Mondadori poi – pubblicò lavori di successo con l’editore Neri Pozza e avviò un nuovo progetto editoriale con la rivista “I sentieri della ricerca”.

In due o tre occasioni mi è capitato sentire Giorgio Rochat dire: «tra tutto quello che ha scritto Del Boca, non ho mai trovato un solo errore». Credo sia un’affermazione da tenere in considerazione. Nessuno studioso oggi potrebbe fare a meno dell’inquadramento generale dato da Del Boca, eppure non essendo diventato un accademico – per boicottaggio, perché i posti erano nelle mani degli ex colonialisti o dei loro figli, perché la storiografia ufficiale era ancora quella fascista – la sua produzione è messa su un piano diverso.

Nel 1965 Feltrinelli pubblica il primo lavoro di Del Boca sulle colonie: La guerra d’Abissinia, 1935-1941, volume scorrevole e di facile lettura che però rompe per la prima volta il silenzio in merito all’uso dell’iprite, alle stragi di massa e alle deportazioni durante la guerra d’Etiopia e i successivi anni di occupazione. All’epoca gli archivi coloniali erano ancora chiusi agli studiosi non nostalgici, ma non le carte dell’Archivio di Rodolfo Graziani che, microfilmate dagli statunitensi e restituite all’Italia, Del Boca fu tra i primi a studiare.

Ma il merito principale fu quello di dare voce alle vittime, agli etiopici, tramite interviste all’imperatore d’Etiopia Hailè Selassiè e ras Immirù, e quello di parlare dei partigiani etiopici, gli arbegnuocc.

Da quel momento le ricerche e gli studi sui gas e i crimini contro i civili hanno fatto notevoli progressi, sempre più importanti, man mano che la documentazione è diventata accessibile. Tutti quanti ricordano gli scontri fra Del Boca e Montanelli, fra uno studioso serio e meticoloso e un giornalista poco incline a verificare le proprie fonti. Nel 1996 il ministro Corcione ammise pubblicamente l’impiego di gas e aprì agli studiosi tutti gli archivi. Fu una straordinaria vittoria il cui merito fu di Del Boca.

Insieme agli studi sull’Africa orientale è necessario ricordare i due volumi sull’Africa settentrionale (Gli italiani in Libia, 1986) e la biografia di Gheddafi (Una sfida dal deserto, 1998), unica nel suo genere, che sono diventati un ennesimo pilastro della storiografia coloniale.

Il recupero delle salme di Tito Minniti e Silvio Zannoni: l’uccisione dell’aviatore, zio dell’ex Ministro dell’interno Marco Minniti, fu uno dei pretesti per l’utilizzo dell’iprite (foto Wikicommons)

Fu a proposito di Libia che ebbi un’accesa discussione con Angelo. Un giorno lessi una sua intervista rilasciata a Emanuele Giordana nella quale affermava che, deluso e stanco per l’ennesimo conflitto tra fazioni, non si sarebbe più occupato di Libia. Gli telefonai, alzai la voce perché non ero d’accordo con la sua decisione. Non riuscii minimamente a fargli cambiare idea. Dopo alcuni mesi però trovai una sua intervista e, francamente, non mi stupii.

Del Boca – oggi sarebbe definito “militante” – scrisse mosso da un impegno di matrice socialista che maturò da giovanissimo e rafforzò durante la lotta partigiana, venne affascinato dal panafricanismo e dal terzomondismo che raccontò con interviste ai leader e corrispondenze dalle conferenze dei non allineati, infine diede voce alle lotte operaie della Torino degli anni ’70.

Sull’Italia del tempo presente era molto critico: sinistra debole e divisa, diritti negati, soggetti deboli calpestati. Il più delle volte interrompeva il discorso imprecando. Comunque sia era sempre sorridente. Solo in un’occasione lo vidi provato, a causa dei lavori sotto casa per interrare la ferrovia protrattisi per anni.

Nel 2008 pubblicò un’autobiografia nella quale raccontava la storia della famiglia ed episodi della vita estremamente intimi. Spassosi i mea culpa per avere fatto lavorare alla Gazzetta Paolo Bonaiuti – ex portavoce di Berlusconi che era a tutti gli effetti un bravo e promettente giornalista – ed Emilio Fede che invece aveva persino problemi con la sintassi ma era irremovibile per ordini del partito socialista italiano.

Scrisse l’autobiografia – diceva – perché aveva ormai raggiunto l’età media di vita alla nascita indicata dalle statistiche per l’Italia. Un modo per tirare le somme prima di proseguire verso nuovi traguardi.

Introduzione e indice con tutti gli articoli dello speciale su Del Boca.

Articolo uscito originariamente su Storie in Movimento

In copertina, reparto di ascari eritrei (da WikiCommons)