editoriale

Il forcone poujadista

Dieci associazioni dell’autotrasporto (su 11) negano la partecipazione alla “rivoluzione del 9 dicembre”. “Quando scioperiamo noi il paese si ferma davvero” […] dicono padroncini, imprenditori, lavoratori autonomi che avevano lanciato la data del 9 dicembre ma poi, a seguito di un accordo con il governo, l’hanno ritirata.

Il lavoro autonomo organizzato nella logistica su gomma non fa parte dell’agitazione, contrariamente a quanto si legge sui giornali e in rete. Ai “forconi” viene a mancare (ma semplicemente non ci sono mai state) le partite IVA organizzate in un segmento del quinto stato. Ci sono mobilitazioni minoritarie nel lavoro agricolo, in particolare nei settori che soffrono l’industrializzazione, esclusi o penalizzati dai fondi europei o regionali a sostegno dell’agricoltura, nel Lazio e in un paio regioni del nord ovest.

Si spiega così la presenza dei trattori ma non dei tir in strada. La Sicilia dei famosi forconi tace, tranne qualche agitazione a Catania. Le corporazioni organizzate, con le loro rappresentanze, dunque si sottraggono alla lotta per il ritorno alla “sovranità popolare” identificata alla “sovranità monetaria”, i principali obiettivi della presunta “rivoluzione”.

Differenze corporative

Scrive, ad esempio, Tranfrigoroute Italia Assotir:

Quello che temevamo è puntualmente avvenuto: l’autotrasporto si trova ad essere ancora una volta strumentalizzato ed additato come corresponsabile in vicende che non lo hanno minimamente coinvolto e che non lo riguardano. La scelta irresponsabile di una piccola sigla che, a differenza di tutte le principali Associazioni di categoria, non ha voluto sottoscrivere il protocollo d’intesa con il Governo ed ha sperato di acquisire una qualche briciola di notorietà rilanciando la proposta di un Fermo generale del settore che i fatti si sono incaricati di dimostrare del tutto velleitaria, ha comunque prodotto un gravissimo danno alle decine di migliaia di imprese che, pur nel mezzo di una crisi gravissima, hanno scelto la via del confronto e della faticosa ricerca di una via condivisa al rilancio di un settore strategico per l’Italia e per la sua economia.

Interessante è anche la descrizione della base sociale del poujadismo italiano fatta con le lenti delle organizzazioni degli autotrasportatori:

[Sono] contadini orfani delle quote latte e pieni di rabbia contro la UE; imprenditori che non hanno saputo innovarsi e che figurano tra i nostalgici vedovi delle svalutazioni competitive e dell’inflazione a due cifre con cui l’Italia si arrangiava negli anni ’70; movimenti di destra estrema che si illudono di poter fare “in Italia come in Cile”, questa è la brodaglia incommestibile che abbiamo visto all’opera nella giornata di oggi [9 dicembre] e che ha purtroppo già prodotto guasti notevolissimi, rischiando di far riaffiorare, nell’opinione pubblica, quella definizione – tirroristi – che due decenni di iniziativa sindacale aveva saputo scrollare di dosso alla nostra categoria.

Emerge l’orgoglio dell’imprenditore autonomo, che dice di sapere stare sul mercato, di trattare accordi con il governo attraverso le sue rappresentanze, capace anche di andare da Berlusconi pronto a strumentalizzare la protesta dei “forconi”, sottolineando di non condividere la sua posizione. (Pasquale Russo, segretario generale Conftrasporto, a Tutta la Città ne parla). Colpisce l’accusa di “brodaglia incommestibile” agli “imprenditori” assistiti dalle quote latte e dalla politica agricola europea, una vecchia battaglia del leghismo e di altre culture ultra-minoritarie siciliane, ma molto forti nell’organizzazione della prima mobilitazione dei “forconi” nel 2012.

Il punto di vista del lavoro autonomo

Il punto di vista del lavoro autonomo che si è organizzato nel trasporto su gomma è molto sensibile al mercato, pienamente cosciente delle risorse che l’organizzazione in gruppi di pressione o corporazione riserva ad un segmento su cui pesa la “concorrenza sleale estera – cabotaggio, lavoro interinale”, dunque la precarizzazione selvaggia; il ritardo dei tempi di pagamento da parte delle aziende committenti; il blocco rappresentato dal sistema di intermediazione che espropria risorse ingenti ai piccoli soggetti della filiera.

Una serie di rivendicazioni molto simili in settori distanti da quello del trasporto. Ad esempio, l’editoria, le librerie indipendenti e il suo rapporto con la grande distribuzione. Oppure quello dei piccoli produttori indipendenti nel settore del biologico. Il problema di questi soggetti molto eterogenei è quello di “disintermediare” la loro presenza sul mercato. Il problema del neo-poujadismo italiano, al di là della protesta contro l'”incostituzionalità” del governo o del parlamento, della partecipazione di gruppi fascisti, del piccolo ceto medio impoverito, in particolare del commercio minuto, è garantirsi un’economia assistita dallo Stato che gestisce le risorse europee.

Dal punto di vista liberista, gli auto-trasportatori denunciano la composizione “reazionaria” della “rivoluzione”. Si prendono le distanze anche dall’antiparlamentarismo delle corporazioni, stigmatizzando così una tendenza ad identificarsi con l’estrema destra. Gli autotrasportatori trattano con il governo, non hanno bisogno di invocare “rivoluzioni”. L’attività politica o sindacale è riservata alle rivendicazioni sul lavoro e sul mercato. Questa è la mentalità del segmento del Quinto Stato che stiamo analizzando. Nè più nè meno.

Neo-poujadismo all’italiana

Questa polemica serve anche a caratterizzare con precisione la natura della “mobilitazione” di cui parlano i media. Si tratta dunque di un movimento neo-poujadista che vorrebbe organizzare, come nei primi anni Cinquanta in Francia, scioperi per bloccare il paese, influire sulla dialettica politica, schierarsi contro i sindacati, i partiti della sinistra (in Francia allora esistevano).

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