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“I, Tonya”: un intreccio tra narrazioni mediatiche e sport

Siamo andate alla Festa del Cinema di Roma a vedere I, Tonya , che con un salto negli anni Ottanta e Novanta, ci riporta a una storia vera di sport, cannibalizzazione mediatica e violenza domestica.

L’ultimo lavoro di Craig Gillespie, I, Tonya, presentato al Toronto Film Festival e ora alla Festa del Cinema di Roma è intanto un biopic. La storia racconta dello scandalo del 1994, quando alla vigilia delle Olimpiadi invernali in Norvegia, la pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding fu accusata di aver “spezzato le gambe” alla concorrente Nancy Kerrigan, in preda alla competizione e alla sete di vittoria.

Da questo punto di vista il film non si stacca da una raffigurazione classica dello sport (a cui sono dedicate ampie sezioni nel Festival romano all’Auditorium), inteso come ascesa e caduta individuale: Tonya Harding (impersonata da una strepitosa Margot Robbie, più stellare che in The Wolf of Wall Street) proviene da una famiglia poverissima di Portland, Oregon e in effetti “taglia la legna” prima di andare a scuola e poi agli allenamenti.

La sua passione per il pattinaggio sul ghiaccio significa possibilità di riscossa sociale, di fuoriuscita dalla condizione di povertà, pure nel contesto durissimo degli sport a punteggio, specialmente femminili, in cui conta molto la presentazione, la realizzazione non puramente tecnica del triplo axel (che Tonya esegue alla perfezione per prima nel 1991 durante le nazionali di pattinaggio), in cui alla mossa si deve unire il sorriso, l’eleganza, l’apparenza dell’outfit e del trucco. Tonya non piace al ranking dei giurati che impone un modello angelicato di pattinatrice sul ghiaccio: lei, bella, ma goffa e più rock-girl delle altre, ma in definitiva considerata una ragazza white-trash senza speranze.

 

 

Subito si scopre che I, Tonya è anche un film sulla violenza nella famiglia di partenza e nella famiglia di arrivo. Tonya ha una madre cattiva, una madre “mostro” (interpretata dalla bravissima Allison Janney), che una sigaretta dopo l’altra, abusa di lei verbalmente, psicologicamente, fisicamente sin dall’infanzia, e a cui lei “sostituisce” un compagno e un marito altrettanto violento, Jeff Gillooly, che gran parte ebbe nella vicenda della disintegrazione della sua carriera da pattinatrice. A ogni tentativo di fuoriuscita dalla povertà e della violenza tramite lo sport, fa da contrappasso l’impossibilità di staccarsi dal contesto di provenienza, il rischio materialissimo di lavorare al ristorante come la madre, la consapevolezza di aver buttato ore e anni di allenamento per rimanere nello stesso buco di prima.

Il film però è soprattutto un mockumentary, non solo perché mima tra l’ironico e il grottesco un finto documentario, magari basato anche su una vicenda vera, ma perché svela come la verità sia un’acquisizione stratificata, oggetto conteso tra il finzionale e il reale.  Molti ricordano di Tonya Harding, negli anni d’oro del pattinaggio sul ghiaccio, perché fu una vicenda oltremodo mediatizzata. E allora tutto il lavoro di Craig Gillespie si propone di operare una riflessione di secondo livello: una critica esplicita proprio su quello specifico uso mediatico della vicenda nella ricostruzione della verità.

Alla violenza della madre e del marito si aggiunge la violenza delle telecamere, che portano la pattinatrice in cima solo per un attimo verso la gloria, per farla poi precipitare nell’abisso delle accuse. Tonya arriverà lo stesso alle Olimpiadi invernali qualificandosi come ottava proprio perché la pubblicità data dell’aggressione aumenta l’audience generale della competizione sportiva. In sede processuale le verrà invece ritirato il titolo di campionessa americana e sarà esclusa da ogni ulteriore competizione nel settore.

I media negli anni hanno tentato di riannodare i fili della vita di Tonya, cercando di carpirne i dettagli, raccontandola ora come una bieca arrivista, ora come una pedina della madre-monster e del marito reaganiano, comunque l’ultima degli ultimi che voleva andare lontano più delle altre, ad ogni costo e oltrepassando “sul ghiaccio” (fisicamente anche) qualunque altro corpo danzante si sovrapponesse davanti a lei.

La narrazione mediatica dello sport è da sempre infarcita di immagini stereotipate, misoginia, sessismo neppure troppo latente e spesso ogni evento sportivo, diventa l’occasione per dare libero sfogo al behind the scene, al gossip che racconta le biografie umane che “si celano” dietro la rigida disciplina sportiva. Lo dimostrò l’analogo caso (pure citato nel film) di O. J. Simpson che sempre nel 1994 fu coinvolto in quel cosiddetto “processo del secolo” che espose su tutti gli schermi l’intreccio tra il machismo e la violenza (di lui), le discriminazioni razziali della polizia e i rilievi delle prove eseguiti maldestramente.

Il film di Gillespie riesce a restituire uno scorcio fluo degli anni ’80 e ’90 dalle periferie e la marginalizzazione suburban di Portland alle paillettes delle gare Olimpiche internazionali, evitando molti dei cliché sulle parabole cinematografiche sportive dell’eroe loser, ma dando spessore al personaggio di Tonya, icona a modo suo, e che ha avuto la sua “gloria” mediatizzata, parafrasando il cult Flashdance omaggiato nel film.

I, Tonya non tocca solo la violenza nello sport dentro e fuori i luoghi deputati e neppure la violenza di genere, ma come entrambi tali aspetti siano amplificati dalla speculazione mediatica (TV, assedio dei giornalisti alle gare, scandalismo, replica infinita in rete), fino a configurare una violenza autonoma e supplementare, che del resto vediamo all’opera in mille altri casi meno clamorosi per la notorietà del personaggio: stupri, bullismo, aggressioni. In tutti questi esempi non solo è vandalizzata la vittima, ma a volte perfino il colpevole a beneficio del voyeurismo del pubblico. In rari casi (come questo) la vittima ha un risarcimento mediatico superiore al danno. Un film, dunque, o se volete un mockumentary di secondo livello sulla violenza di secondo livello. Una riflessione intensa sul ruolo dell’informazione spettacolare, su cui altre vicende americane più recenti ci hanno offerto ulteriori materiali.