OPINIONI

I doni del giorno

In questa coda di feste alcuni eventi imprevisti stanno rilanciando, fra l’Italia e l’Asia centrale, una considerevole conflittualità politica e di classe, su cui vale la pena di scommettere

Cosa ci ha portato la pagana Befana scendendo dal camino? Cosa ci hanno portato i Re Magi zoroastriani looking up verso la cometa fino alla mangiatoia di Betlemme? Un dono prezioso ci hanno portato la vecchia strega e los Reyes cavalcanti, il ritorno della politica.

Dopo due anni di pandemia, che ha assorbito e stravolto tutto, assorbendo e travisando ogni conflitto in problemi sanitari, presunzioni scientiste e deliri non-vax, gli aspetti della realtà che erano stati messi in ombra sono riemersi con prepotenza. E naturalmente non sono proprio positivi: inflazione, licenziamenti, rivolte, disfacimento dei partiti, crescita vertiginosa dei costi energetici. Ma l’importante è che anche queste realtà si esprimono finalmente in forma apertamente politica, facendo cadere i surrogati tecnocratici della crisi sanitaria: il governo dei “migliori”, lo stile tecnocratico-autoritario, l’arroganza profetica e l’unità nazionale.

Sono tornati gli scontri fra partiti e all’interno dei partiti e – cosa ben più importante – rispunta la lotta di classe e si riaccendono focolai di lotte ed esperienze progressiste nel mondo, dall’America latina al Kazakistan.

Andiamo con ordine.

La congerie di provvedimenti assunti nell’ultimo CdM rispetto alla pandemia è un raro concentrato di misure sconnesse e mediazioni al ribasso, il cui epicentro sembra essere stato il tiro alla fune fra rigoristi “rossi “e l’epica Lega sul livello di green pass per parrucchier* ed estetist* (e le toilettes canine no?). Pur rendendoci conto che la situazione pandemica è grave e sfuggente per la mescolanza di una variante delta abbastanza controllata, specie con le terze dosi, con una omicron che – diciamolo francamente – le buca come le pare, anche senza conseguenze letali, ebbene, malgrado questo, il cedimento di Draghi a meschine ragioni di bottega della Lega e alla disinteressata confusione mentale dei 5Stelle segna il tramonto del decisionismo di cui prima si faceva vanto. Il nuovo Uomo della Provvidenza si è impigliato irreparabilmente nella rete delle mediazioni che avrebbe dovuto troncare e ora si trova in una posizione compromessa per entrambi i ruoli di Presidente della Repubblica e di Presidente del Consiglio dei Ministri, senza più né la quasi unanimità né una plausibile maggioranza coesa.

Non staremo certo a piangere sul declino di un governo “senza formula politica” (come indicò il non troppo rimpianto Mattarella), ovvero di un populismo tecnocratico dall’alto che avrebbe dovuto interrompere la dialettica politica sfiancata dalla crisi dei partiti o meglio dei comitati elettorali nell’ultimo decennio.

Non che i partiti siano resuscitati – anzi sono più dilaniati che mai e incapaci di proposta strategica e perfino di tattiche attendibili – ma sono tornati in primo piano i problemi reali, prima mascherati da una presunta razionalità anti-pandemica, che sta perdendo il suo portato ideologico e rivela una certa oggettiva fragilità sul piano degli effetti propagandistici e mediatici.

(commons.wikimedia.org)

Beninteso, il vaccino funziona ancora abbastanza nel prevenire le morti (meno le infezioni e reinfezioni) e nel mantenere un certo livello di protezione, ma non è più lo stendardo sotto cui condurre le battaglia sull’unità nazionale. Vale a dire che comincia a vacillare la granitica sicumera con cui veniva sbandierato per il buon fine di incrementare la percentuale dei vaccinati e il cattivo fine di far vedere quanto era giusto e necessario il governo Draghi. Alla lunga si stanno manifestando effetti scettici controproducenti sia per il governo (bene!) sia per la stessa campagna vaccinale (male!) – fermo restando che peggio dalla vanità di tanti virologi e del servilismo della stampa di regime ci sta solo l’ottusità dei no-vax e l’ipocrisia di giornali e partiti di destra che li hanno corteggiati e coperti.

Ma cosa è tornato alla luce? Che l’inflazione marcia ben oltre il 4%, favorendo il riassorbimento del debito pubblico ma immiserendo, in diversa misura, tutti i percettori di reddito fisso o precario, mentre contemporaneamente la ripresa, dopo la prima fase pandemica, ed eventi internazionali hanno incrementato rapidamente i prezzi di gas e petrolio, con tutte le ricadute a cascata sui prodotti lavorati, la logistica e i consumi energetici. Il tempo del denaro facile sta finendo e le misure anti-inflattive non favoriranno i percettori di mutui e prestiti, individuali e aziendali.

Licenziamenti all’orizzonte, non solo come conseguenza della pandemia, ma anche della “ripresa”, che comporta una ristrutturazione con minori possibilità di credito a buon mercato.

Lo sblocco degli sfratti e dei licenziamenti sta già generando sia una pluralità di vertenze che un rinnovato impegno sui livelli salariali bassi in modo abnorme rispetto al livello europeo. Le chiacchiere sulla “resilienza” e sul rimbalzo del Pil serviranno a poco in queste occasioni, così come imbarazzante è la cautela dei sindacati e della “sinistra“ parlamentare nell’affrontare misure improcrastinabili come un reddito universale di cittadinanza o il salario minimo intercategoriale che copra adeguatamente anche le retribuzioni precarie, intermittenti e informali. Se salta il tappo della coesione governativa, cesseranno anche molti intralci a un rilancio del conflitto sociale.

La lotta contro l’impoverimento connesso anche agli aumenti energetici – siano brutalmente imposti dal mercato monopolistico e verniciati di verde da governi “benevoli” – sta diventando un fenomeno mondiale e forse va osservato il modo diverso in cui sindacati e partiti italiani hanno negoziato gli sconti sulle bollette e il modo più ruvido in cui in Kazakhistan hanno “negoziato” la sospensione per sei mesi degli aumenti energetici. Le rivendicazioni economiche hanno mobilitato le masse in quel paese, dove regna un governo “tecnico” (a modo suo), neoliberale in forma autoritaria, che non ha esitato ad adottare quei mezzi che (finora) in Italia restano impensabili, se non nelle farneticazioni sulla “dittatura sanitaria” e sul “comunismo sanitario”.

Per dirla con la franchezza di un portavoce locale del potere, «decine di rivoltosi che hanno preso parte ai disordini ad Almaty sono stati “eliminati” e la loro identità è in corso di identificazione» – tale evidentemente è lo stato dei cadaveri.

Siamo al di là di una vigorosa protesta economica e di una feroce repressione, perché al fianco della sbirraglia locale – letteralmente “decapitata” dalla rivolta – è intervenuto il “fraterno” soccorso di Putin e dei suoi satelliti, con un’ampiezza raramente vista dopo la Cecoslovacchia 1968. Suscitando le ovvie speculazioni geopolitiche della Nato e delle potenze occidentali e l’irrilevante quanto imbecille plauso di gruppetti sedicenti “comunisti”. Si tratta comunque di un segno interessante, per quanto se ne comprende al momento, seppure su un piano diverso delle sorprendenti vittorie di sinistra elettorali e non solo che si stanno susseguendo in America Latina – dall’Honduras al Perù e soprattutto alla Bolivia e al Cile.

Il mondo ricomincia a girare, malgrado una pandemia inegualmente distribuita e contrastata?

Speriamo e intanto ringraziamo Befana e Re Magi per questi primi doni – l’Epifania, l’epifáneia ovvero apparizione luminosa, Lichtung avrebbero detto i nostri filosofi heideggeriani prima di convertirsi in rivali di Burioni…

Immagine di copertina dal canale Telegram “Moskavc”