POTERI

Governo a lunga conservazione?

Non è un “tradimento” (non è solo quello) ma una logica conclusione. Perfino Sel poteva aspettarselo.

Niente moralismi, non è questione di inciucio e neppure lo stagnante sentore di sacrestia democristiana ci affligge più di tanto (caso mai asfissierà gli esclusi ex-Pci), ma il governo Letta ha ratificato il doppio diktat europeo e atlantico (Saccomanni e Bonino), sostituendo una gestione politica al precedente commissariamento “tecnico”.

Dopo il doppio salto mortale di Bersani (alleanza con Monti contro Berlusconi; alleanza con Grillo contro Berlusconi, visto il flop di Scelta civica), si è arrivati allo sbocco inevitabile del pasticcio: l’alleanza Pd-PdL con le briciole montiane e qualche tecnico assortito. Certo, non tutto è in continuità con la retorica tecnocratica. La Lorenzin è diventata ministro della Sanità perché (elogio del Cav) pare che sappia fare le iniezioni. L’Imu è stato sospeso (tanto al momento ci rimettono i comuni e non il Tesoro), ecc. In sostanza, però, il programma tracciato nell’estate 2011 dalla lettera della Bce è stato mantenuto e il pareggio di bilancio è solo ammorbidito, visto che tutta la strategia europea di austerità sta in pieno marasma e si spera di rinviare il redde rationem a quando la Germania deciderà di tirarsi fuori dall’euro. Dunque, il cuore del problema resta la scelta economica, nella prospettiva post-austera e sviluppista che viene speranzosamente disegnata a livello continentale ma che in Italia si scontra con un degrado quasi irreversibile dell’economia reale.

L’abbandono dell’impopolare gestione “tecnica” è compensata, nella sua traduzione “politica”, da un degrado ulteriore della democrazia in presidenzialismo. Spieghiamoci meglio. Il commissariamento è una manovra brutale. Meglio assorbirlo e dirlo “con parole proprie”, cioè alterando organicamente il sistema di rappresentanza per conseguire gli stessi risultati, cioè emancipare le decisioni oggettive imposte dall’Europa (dalla follia neoliberista che vi impera) da ogni controllo plurale e popolare. A tal fine riesce utile lo strumento presidenziale o semi-presidenziale, che di per sé non è più autoritario di altri nel ventaglio delle opzioni offerte dalla democrazia rappresentativa (vedi Usa e Francia), ma in Italia si presenta in forma subdola e priva di ogni contrappeso parlamentare e giurisdizionale, per di più con la pretesa di garantire l’unità nazionale (cioè l’unanime sottomissione alla Bce e al Fmi) e non di esprimere una divisione fra destra e sinistra nell’arco dello schieramento borghese.

Il governo Letta, al di là della penosa vicenda che ha portato alla sua costituzione e della fragilità che lo tiene appeso ai capricci di Berlusconi, è una buona espressione provvisoria delle richieste europee. Con il vantaggio che la formazione di un esecutivo dotato di parecchie poltrone e strapuntini e la paura per i quattro spari di largo Chigi hanno prodotto il miracolo del ricompattamento del Pd intorno a una direzione fantasma, rinviando forse di qualche mese l’inevitabile spaccatura.

Andiamo ora a vedere il discorso di presentazione di Enrico Letta alla Camera. Inchino sincero a Napolitano (il vero capo del governo) e applauditissimo omaggio a Bersani – Giuda, all’ultima cena, intinse un pezzetto di pane nel piatto di Gesù. Lasciamo perdere tutto il noioso elenco di buone intenzioni e dettagli superflui (impagabile la lotta contro l’obesità) e andiamo all’osso. Due scadenze precise che sono suonate musica a orecchi berlusconiani (Alfano e Santanchè dixerunt): sospensione dell’Imu e defiscalizzazione dei nuovi assunti subito. Inoltre blocco dell’aumento dell’Iva a luglio e rifinanziamento degli esodati (più vago l’impegno sulla cassa integrazione in deroga), generica disponibilità a rivedere la tassazione sul lavoro. Con il che, i soldi sono finiti e l’allentamento del patto di stabilità dei comuni suona derisorio, se si pensa che essi perderanno l’atteso gettito dell’Imu a giugno. I tagli alla politica saranno simbolici (quei quattro spari hanno blindato la casta) e l’inciucio è sublimato nella distinzione fra “la politica” (che è cattiva, un relitto del passato, addirittura “ideologica”) e “le politiche”, che invece sono fattive, europeo-francofortesi e realizzano la “democrazia governante”.

Dobbiamo menzionare le cose di cui non si è parlato? I diritti civili, il matrimonio per tutti, la legge 40, il reddito di cittadinanza – sostituito da un vergognoso reddito minimo per le famiglie bisognose con molti figli, che ovviamente esclude i giovani precari, cui si offrono contratti a termine senza forneriane rigidità (sic) e qualche indefinito ammortizzatore sociale.

Il capolavoro arriva alla fine e si divide in due parti. La prima consiste nella proposta di un luogo di co-decisione esteso anche alle opposizioni, la famosa Convenzione, ex-bicamerale (alla cui presidenza è destinato Berlusconi), da metter su subito e poi dotare di poteri con legge costituzionale. Restando indeterminata la forma di governo (semi-presidenziale o parlamentare con premiership rafforzata), si elencano tutte le altre riforme previste, senza troppo insistere sul taglio dei parlamentari. Tempo i 18 mesi della data di scadenza prevista per il governo – più o meno un latte a lunga conservazione. La legge elettorale, parte seconda del marchingegno, arriverà alla fine, in dipendenza dalla forma di governo. Quindi, non inganni la preferenza “personale” espressa da Letta per il Mattarellum: è scomparso il carattere prioritario dell’abrogazione del Porcellum, anzi si capisce benissimo che questo è il certificato di assicurazione (un derivato, appunto) della vita del governo, dato che all’approvazione della nuova legge seguirebbe di corsa il ricorso alle urne.

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Tanto più se il diavolo risiede ad Arcore. Quindi non è scontato che l’esangue governo duri, anche soltanto in una logica parlamentare. Berlusconi può farlo cadere alla prima occasione opportuna. Ma possono intervenire anche altri fattori. Può riprendere un processo disgregativo, per ora congelato, all’interno del Pd. Gli spazi di negoziazione europea potrebbero rivelarsi meno elastici di quanto sperato. Può, soprattutto, riprendere il conflitto sociale e allora i labili equilibri salterebbero come tappi di spumante.