ROMA

Una giornata di normali molestie

Di fronte alle molestie che si subiscono nei luoghi pubblici nell’indifferenza generale, spesso si riesce solo a contrapporre una reazione individuale. Può però accadere che la nuova consapevolezza di genere renda possibile delle risposte collettive. Come in questo piccolo episodio quotidiano

Gomiti conficcati nelle scapole, mani strette nei sedili per reggersi in equilibrio, capelli tirati dalla zip di uno zaino, l’aria rarefatta e già alle 7.45 l’odore acre del sudore mattutino, corpi attaccati, spintoni e: «ahò, t’ho detto che non c’entri, prendi il prossimo»… una mattina di normale prossimità capitolina dentro l’autobus, dentro il 60 che segue la Nomentana fino al centro della città. Finalmente dopo il solito percorso pachidermico, guadagno un posto a sedere… mi ci fiondo. Ho le cuffiette nelle orecchie e «mi sento il cuore a milleeeee». Calcutta che canta e mi strappa un sorriso interiore, finché la signora seduta accanto a me a voce alta: «che ti ha fatto?». Mi tolgo gli auricolari e ancora con la canzoncina nelle orecchie le chiedo cosa ha fatto chi, che succede? È rivolta a una ragazzina magra, con gli occhioni a mandorla imbarazzati, arrabbiati. La guardo e la ascolto mentre dice diretta alla signora dietro di me: «mi si è strusciato». Ma chi? Chi ti si è strusciato? E allora indica lui. Quel piccolo uomo di merda con i pantaloncini della tuta, con gli occhiali neri, con quel marsupio sulla spalla. Ma certo, lui. Lui che un anno fa, forse di più, nella stessa linea del bus, si era attaccato e strusciato a me, su di me, sulla mia gamba come un cane. E allora avevo urlato, mi ero staccata rapidamente, ma di pochissimi centimetri; l’autobus pieno non mi aveva permesso alcun movimento. Ero costretta. E lui urlava con un timbro più (im)potente per silenziarmi: «ma questa è matta, ‘sta bugiarda, ma chi te tocca…» e lì un rapido alterco binario, finché  – lo ricordo perfettamente – ha alzato il pugno come per scaraventarmelo sulla faccia e allora ho urlato ancora di più e finalmente qualcuno ha parlato, qualcuno è intervenuto, ma non a mio favore. Davo fastidio. «E basta che torniamo tutti stanchi dal lavoro… e smettetela… tutte le sere ce n’è una…». Come se fosse un litigio tra bonaccioni, tra passeggeri molesti, come se trovarsi con un uomo che si masturba sulla tua gamba, perché è l’unico lembo di corpo a cui può accedere con l’autobus pieno di corpi ammassati, fosse la cosa più normale del mondo… comunque sembrava apparire la più normale di quel mondo, dello stralcio di società rappresentata dai transitanti del mezzo, uomini e donne di diverse età. Sono andata avanti appena ho potuto, con le mani che tremavano ancora, con le urla che non riuscivo a ricacciare in gola; inveivo contro di lui, ma sola. Sono scesa alla fermata successiva, non ho retto.

Invece stamattina la merda non ha trovato la stessa società o forse sì, ma con altri strumenti collettivi, se non propriamente (ancora) individuali.

La signora seduta accanto a me scatta in piedi: «donne, aiutatemi, non state zitte! Questo bacherozzo la deve smettere; tutte noi lo conosciamo bene…» e tutte in pochi secondi lo abbiamo additato, circondato, lo abbiamo accusato, abbiamo gridato e fatto fermare l’autobus. E la ragazza dagli occhioni a mandorla con una sua amica dai capelli blu, piccole donne coraggiose che dicevano di sì con rabbia incerta, sì, che bisognava fermarlo, denunciarlo, che anche loro volevano. E l’amica dai capelli colorati diceva di poter essere una testimone, diceva che poteva dire, che voleva dire. Ed ecco che l’autobus si ferma, sale l’Autorità Costituita, i carabinieri, e circa 7-10 donne di tutte le età denunciano il molestatore, anzi, il violatore, il bacherozzo, mentre altre scese dall’autobus applaudivano… «braveeee». Ed ecco due giovanissime ragazze, che scoprirò in seguito non essere neanche maggiorenni, coraggiose e forti di una collettività di donne adulte intorno a loro, ma anche di una consapevolezza di genere che si sta costruendo, che si sta processualmente incorporando. E dopo un anno, forse più, la leva potente della dicibilità della denuncia di gruppo rispetto un maschile violento e violatore, arriva attraverso due giovani ragazze, ragazzine, riscattandoci tutte, tutte insieme, in una violenta mattina di ordinarie molestie.