OPINIONI

Fisica e metafisica degli accadimenti ucraini

Che siamo arrivati alla III guerra mondiale è notizia esagerata, ma certo la tensione internazionale è più seria di quella all’interno del Governo dei Migliori, anche se la questione dell’allargamento della Nato non pesa quanto la revisione del catasto

L’ingresso surreale dei veicoli bianchi dei peacekeeper russi tra la folla esultante e i fuochi d’artificio a Donèck hanno suggellato, per il momento, l’abile operazione con cui il brigante Putin ha messo nel sacco il brigante Biden. La lotta di classe non c’entra e i riferimenti storici allo spirito atlantico, all’esportazione della democrazia e alla Santa Madre Russia, chiese ortodosse comprese, erano orpelli per gonzi quanto le rievocazioni dei martiri di Majdan o le citazioni ambigue di Lenin. Di strategia in senso popolare e rivoluzionario, di rarità badousiana delle sequenze politiche, perfino di Grande Politica in salsa trontiana non esiste traccia: abbiamo solo geopolitica tradizionale, che consente due livelli di lettura.

Primo livello, tutto fattuale. Il boss Biden, incalzato nei sondaggi per le elezioni di mid-term dal boss Trump, ricorre al vecchio trucco dem di mobilitare la frangia elettorale indecisa su una presunta minaccia agli Stati Uniti e comunque intorno al suo Commander-in-Chief.

Provoca la Russia manipolando il complice ucraino (con cui ha legami “filiali” di lunga data), suggerendone un’improbabile inclusione nella Nato. I russi, ancora furiosi per l’annessione alla Nato (contro gli accordi verbali stretti fra Reagan e Gorbaciov nel 1989) degli ex-satelliti in Europa orientale e nel Caucaso – annessione resa possibile da un decennio alcolico eltsiniano e di anarchia oligarchica dopo lo scioglimento dell’Urss – hanno deciso di porre fine all’accerchiamento, in pratica proclamando: «c ripigliamm tutt chell ch’è o nuost». Buone ragioni strategiche (neppure a Kennedy nel 1962 fece piacere avere i missili sovietici a Cuba e quella volta si andò molto più vicini alla conflagrazione nucleare), ma in sostanza una logica mafiosa speculare all’offerta bellica irrefutabile di Biden all’elettorato imperialistico Usa. Tutti e due i boss hanno poi uno smacco afghano da far dimenticare – più bruciante e fresco quello di Biden.

Inoltre Putin si è mosso molto meglio, nella sostanza e nella forma.

Nella sostanza, perché difendeva con le spalle al muro la sopravvivenza di una Russia con la Nato e i missili alla porta di casa nonché tutti i fantasmi imperiali di epoca zarista e staliniana, Nella forma, perché lo faceva in prima persona, mentre Biden agiva a distanza mandando avanti assatanati tifosi bellici (Polonia e Paesi Baltici) e lo sciagurato capro espiatorio ucraino e minacciando sanzioni che sarebbero ricadute soprattutto sui suoi alleati europei – Italia per prima!

L’enorme debolezza di Biden è stata anche di mandare allo sbaraglio gli alleati specificando in anticipo che non li avrebbe sostenuti con un aiuto militare diretto ma solo fornendo armi e compensando (chissà come) le perdite economiche per le sanzioni. Chissà come avrebbe sghignazzato Niccolò nell’osteria di San Casciano…

Infine Biden ha adottato la tattica controproducente di annunciare rumorosamente l’imminente invasione russa diretta su Kiev-Kytv con date precise smentite dai supposti invasori russi e posticipate di volta in volta. Al lupo, al lupo, ma il lupo non solo non si è visto lì ma si è materializzato altrove nel posto più imbarazzante per gli allarmatori. Con l’effetto di premere sui sondaggi statunitensi (peraltro appena di un paio di punti) e di destabilizzare il regime del comico Zelens’kij e di farne fuggire capitali e oligarchi spaventati, togliendo credibilità ad agenzie di intelligence e stampa mainstream che abboccava, L’occupazione formale di terre già proprie ha trasformato completante la scena diplomatica, come era avvenuto per la Crimea, rendendo irreversibile una secessione etnica già avviata.

Una delle due gang è diventata più popolare, l’altra perde coesione e consensi. Di giustizia non è il caso di parlare. Putin si sta riprendendo una parte di quanto perso con la caduta del Muro, anche se resta lontanissimo dai fasti imperiali di un tempo. Biden pagherà l’insuccesso con un crollo dei consensi interni Usa e con rapporti sempre più critico con l’Europa. Non stiamo neppure a immaginare il prezzo economico di questa avventura per l’Europa e per l’Italia. Ripresa e resilienza diventano barzellette con il deficit energetico e l’inflazione. Un orizzonte nero di carbone, altro che transizione verde.

Avevamo parlato di un altro livello di lettura, meno schiacciato sulla fattualità. Non parliamo certo di etica o di lotta di classe. Parliamo di metafisica, di metafisica dei giochi.

Chiunque frequenti romanzi, film e serial statunitensi (e noi li amiamo alla follia) ha imparato 1) che il baseball è la metafora della vita, 2) che delle sue regole non ci si capisce un cazzo. Noi europei e latinx siamo di osservanza calcistica e riconosciamo pure la mano di Dios. La strategia di Biden ci è risultata incomprensibile come le regole del baseball.

Che la geopolitica abbia a che fare con gli scacchi è invece un luogo comune, sin dalle origini iraniche. E i russi non sono secondi a nessuno, a livello di massa, in questa specialità. Anche stavolta lo si è visto – dato che proprio di manovre geopolitiche si trattava, non di grande politica repubblicana.

Io non ne so niente, ma tutti mi dicono che il top dei giochi strategici appartiene alla Cina e che vi sia una loro profonda connessione con l’arte della guerra e la filosofia taoista. Chissà se c’entri qualcosa con il ruolo defilato assunto dalla Cina in questa crisi e se la vittoria finale – beninteso in questa mano – non tocchi a Xi…

Immagine di copertina da commons.wikimedia.org