PRECARIETÀ

“Figli della crisi”, la protesta dei giovani sardi

“Io non so se vorrò andare via, ma almeno vorrei essere libera si scegliere”

Carla ha 18 anni, frequenta un liceo ad indirizzo tecnico di Cagliari, e con altri suoi coetanei dal 23 dicembre scorso, da quando le scuole hanno chiuse e le vacanze sono iniziate, ha occupato l’ingresso della sede della Regione Sardegna. Carla è tra i “Figli della crisi” che hanno passato le vacanze scolastiche a discutere con gli operai e i lavoratori in lotta, a fare assemblee ad occuparsi del proprio futuro.

“Abbiamo voluto dare un segnale forte – spiega Carla – far sentire assieme a quella dei lavoratori la voce di noi più giovane e degli studenti. Per questo abbiamo montato due gazebo che ci sono serviti da punto d’appoggio e da cucina e le tende per dormire, per farci vedere dalle istituzioni. La solidarietà da parte dei cagliaritani è stata tantissima”.

Peccato però che la stessa attenzione riservata dai cittadini alla protesta non sia arrivata dalle istituzioni, “in questi giorni l’unica che si è presentata a parlare con noi è stata la presidentessa del consiglio regionale Claudia Lombardo, mentre il presidente Cappellacci ha giusto fatto chiamare dalla sua segretaria promettendo un incontro per dopo la Befana”. Non esattamente una grande sensibilità istituzionale, ecco. Ma cosa volevano i “Figli della crisi” dalla Regione Sardegna? Semplice, dicono: “risposte”. Risposte sulle “politiche d’investimento e sulla formazione, sulla progettazione e di uno sviluppo diverso per la nostra regione che non può essere solo industria. Sono tante le idee per valorizzare il nostro territorio solo che non hanno spazio”.

La protesta di questi giorni nasce dalla mobilitazioni studentesche che in autunno hanno coinvolto le scuole del paese contro il ddl ex Aprea. Carla racconta come “molte scuole di Cagliari e del Sulcis hanno occupato o abbiano fatto l’autogestione, come nel resto d’Italia ci sono state molte manifestazioni ma qui il peso di quello che sta succedendo nella nostra regione si è sentito tanto. La mancanza di lavoro e di prospettive è una cosa concreta per la mia generazione. Io non so se vorrò andare via, ma almeno vorrei essere libera si scegliere”.

IL 4 gennaio mattina finirà il presidio dei giovani sardi, durato ben tre giorni più del previsto a testimonianza della vitalità dell’iniziativa. Sul piatto rimangono tutte le questioni che hanno sollevate in queste settimane. Torneranno nelle scuole, alcuni torneranno a studiare nelle università del “continente”, ma Carla rassicura “non abbiamo nessuna intenzione di tornare casa”. Alla precarietà lavorativa ed esistenziale oramai endemica i giovanissimi sardi del Sulcis Iglesiente aggiungono “la sfortuna di provenire da un territorio da sempre sfruttato e depresso. Ora che non conviene più avvelenarci e farci lavorare in industrie e miniere le imprese e lo stato scappano. Questo non può essere accettato”.