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Ex libris

Esce oggi nelle sale italiane per soli tre giorni (a Roma all’Eden e al Barberini) “Ex Libris: New York Public Library”, il nuovo film di Fredrick Wiseman, uno dei più grandi documentaristi contemporanei, che in quest’opera riflette sulla dimensione comune ed egualitaria di una grande istituzione pubblica newyorkese: la biblioteca

Agli occhi di un nostro lettore medio, che può acquistare una birra e un panino a un H/24 o all’alimentari sotto casa in qualsiasi orario, ma che non riesce a leggere un libro in biblioteca dopo le 18 – e non parliamo di sabato o di trovare un luogo dotato di wi-fi e aria condizionata in cui studiare ad agosto – a quegli occhi il documentario di Frederick Wiseman Ex libris: The New York Public Library, deve apparire più o meno un film di fantascienza. In primo luogo per la fisicità della biblioteca: sedi decentrate nei principali quartieri, consistenza dei depositi di libri, periodici, immagini, efficienza dei servizi di consultazione, prestito e assistenza, facilitazione all’accesso elettronico. Ve l’immaginate la nostra Biblioteca Nazionale (quella dove non si possono portare libri propri e dove è leggendaria la difficoltà di utilizzo di prestito, fotocopie e wi-fi) fornire agli utenti router ben dotati di giga e assistere i vari lettori non esperti? Forse dipende dal fatto che impiegano personale competente e retribuito, non ricorrono a precari malpagati (quando lo sono), e ricevono più soldi dalle autorità pubbliche e dai privati.

Ma non di questo vogliamo parlare, piuttosto del ruolo che le biblioteche svolgono a New York questo è l’obbiettivo di Wiseman, che suole documentare la vita e la prassi delle grandi istituzioni americane: positivo in questo caso, come critico era l’approccio verso la polizia di Kansas City nel suo famoso Law and Order (1969). E lo fa citando Toni Morrison, per cui le biblioteche pubbliche sono i pilastri della democrazia: non solo archivi agevolmente consultabili, ma proprio centri di diffusione del sapere, dell’educazione e del dibattito, grandi istituzioni complementari del lavoro accademico, scolastico e para-scolastico, luoghi di attiva vita comunitaria e di politica di prossimità, al limite dei nostri centri sociali talora. La mente collettiva della città, il suo general intellect materializzato in schede, vetro e cemento, stanze e persone riunite che prendono la parola.

Molti sono gli esempi documentati, ambientati nei vari edifici della Library: da quello originario della 476 Fifth Av. con i leoni marmorei, alle molteplici succursali di quartiere, alle istituzioni delegate o affiliate (certo il più emozionante, anche per la toponomastica, è il Schomburg Center for Research in Black Culture, 515 Malcolm X Blvd.). Si va dai negletti diritti degli agnostici (Dawkins, su cui si apre il documentario), ai Deli come testimonianza residuale della vita comunitaria e sessuale degli ebrei fra le due guerre, dalla critica degli ideologi sudisti Fitzhough e Calhoun al “lavoro libero” dei salariati industriali nordisti e, viceversa, dal sostegno di Marx a Lincoln contro quel radicalismo reazionario al nesso fra ghettizzazione e crimini di prossimità, dalla denuncia da parte di attivisti neri dei libri di testo scolastici che considerano l’importazione forzosa degli schiavi alla stregua dei liberi migranti asiatici ed europei (pur nella retorica di una “nazione di immigrati” che farebbe bollire il sangue di tutto l’ormai compatto fronte nostrano degli aiutiamoli a casa loro) ai più sofisticati dibattiti sull’orientalismo o la secolarizzazione. Il vertice (una vera e propria gag) è toccato in un esperimento didattico per sordi, dove si offrono due letture alternative (a voce e con il linguaggio dei gesti) delle righe iniziali della Dichiarazione di Indipendenza – una collerica e rivendicativa di sinistra, l’altra edificante e pacificata di destra. Sarebbe da farsi con la nostra Costituzione, su lavoro, proprietà, beni comuni… Il documentario si chiude con una citazione del nostro Primo Levi, chimico e scrittore, sul rapporto fra invenzione creativa e materialità del reale.

In continuità con la grande tradizione del documentarismo del New Deal ma con le caratteristiche rinvenibili in tutta l’infinita narrazione della vita della società americana (oltre 40 film) da parte dell’87-enne maestro (soppressione della voce commentante, montaggio “oggettivo” di riprese e discussioni che fanno emergere indirettamente le contraddizioni di un’istituzione) anche questo Ex libris – un termine antiquario che fa spiccare per contrasto la grande campagna contro la “notte digitale”, l’impegno per un’alfabetizzazione comunicativa che attenui i dislivelli culturali e razziali – mostra senza ambagi tutte le ambiguità e i problemi irrisolti del welfare cittadino, di cui la biblioteca vuole essere elemento costitutivo e di punta. Si veda l’evidente scarto fra la raffinata lezione a Manhattan sulla cinquecentesca raffigurazione düreriana del rinoceronte e l’uso della sede nel Bronx per arruolare nella protezione civile e nella guardia di frontiera i disoccupati locali, oppure le lunghe ma essenziali discussioni nel board della biblioteca sui finanziamenti pubblici e privati e le conseguenti scelte politico-amministrative e culturali, inclusa l’irrisolta questione dell’uso dei locali da parte dei senzatetto che vogliono dormire al caldo… Non semplice metodo osservazionale o cinéma vérité ma costruzione drammatica con il minimo apparente di interferenza autoriale, rispettando “eticamente” i materiali di base ma conferendo loro senso nel montaggio. Con le parole di Weisman: «My films are based on un-staged, un-manipulated actions […] The editing is highly manipulative and the shooting is highly manipulative. What you choose to shoot, the way you shoot it, the way you edit it and the way you structure it, all of those things represent subjective choices that you have to make […] I think they’re a fair account of the experience I’ve had in making the movie».

Una mescolanza molto originale di “trama” orientata e fonti non manipolate con cui, non a caso, Wiseman, dopo i molti riconoscimenti come documentarista, si presenta in gara per il Leon d’Oro, nella categoria dei veri “movies”.