editoriale

Europa, Europe, Europee

L’impasse dei movimenti europei si affronta solo individuando lo spazio europeo come lo spazio minimo dentro il quale le lotte di classe […] possono riaprire i giochi. Rifondare l’Europa non è un problema elettorale, dividere l’Europa significa frammentare le lotte delle generazioni precarie e meticce che pagano le scelte della Troika.

Arriviamo al punto, senza troppi giri di parole: l’Europa è lo spazio entro il quale la lotta di classe, i conflitti precari e migranti, possono riaprire i giochi. Lo affermiamo da tempo, fortunatamente non siamo gli unici a farlo. A sostegno della nostra convinzione, l’impasse dei movimenti che contro l’austerity si sono battuti, coraggiosamente, nei confini nazionali. Movimenti potenti, fortemente radicati, basti pensare ai movimenti che hanno attraversato i PIIGS, ma incapaci di scalfire la gabbia neoliberale fatta di «svalutazione interna» (compressione dei salari e dei redditi) e privatizzazioni dei commons. Senza un’iniziativa di lotta propriamente transnazionale, capace di fare dell’Europa e dei suoi dispositivi governamentali controparte, l’impasse rischia di prolungarsi e di trasformarsi in blocco, se non in catastrofe.

Sappiamo che, con questa enunciazione, non abbiamo risolto il problema. Sappiamo anche che l’Europa si presenta, prevalentemente, con la violenza della Costituente neoliberale o ordoliberale a trazione tedesca. Alle spinte federaliste che pure hanno contraddistinto l’originaria costruzione europea si è sovrapposta, fino ad eliminarle, l’integrazione funzionale del mercato, la moneta unica, la Banca centrale con la sua indipendenza che, per esser più chiari, vuol dire indifferenza nei confronti degli squilibri sociali che la stabilità dei prezzi porta con sé. Un’Europa intergovernativa le cui istituzioni sono prive di legittimazione o, come il Parlamento, non hanno alcun peso, se non consultivo. Con la crisi, poi, il processo si è approfondito, anzi, possiamo dire che la crisi e la sua gestione sono state l’occasione per fare della natura ordoliberale della costituzione economica europea una vera e propria «gabbia d’acciaio».

Tutto vero. Ma è vero pure che la costituzione economica europea ‒ consapevoli che, nella scena della «governance senza governo», non si dà più alcuna separazione tra economico e politico ‒ ha complessivamente ridisegnato il mercato del lavoro, il regime della mobilità, le gerarchie salariali, lo statuto materiale della cittadinanza. Oggi l’Europa è quella di chi la raggiunge dal Mediterraneo, di chi, dai PIIGS, muove verso le metropoli del Nord. L’Europa è la Costituente neoliberale, ma anche lo spazio su cui insiste una inedita composizione di classe, segnata dalla crisi, qualificata da una “povertà di secondo grado” fatta di spossessamento (del welfare), disoccupazione di massa, bassi salari o retribuzioni. Dividere l’Europa, rilanciando opzioni sovraniste nazionali, significa indebolire e non rafforzare l’iniziativa anticapitalista.

Forse vale la pena soffermarsi sul tipo di anticapitalismo che abbiamo in mente, e lo facciamo aiutandoci con qualche domanda retorica. È preferibile estendere sul terreno europeo la lotta per un welfare universale e per il reddito di esistenza, imponendo alla Germania di pagare un prezzo fin qui non pagato, o piuttosto, spaccato l’euro, decrescere felicemente servendosi, almeno in un primo momento, di un po’ di svalutazione competitiva? Meglio riconsegnare i diritti all’appartenenza di sangue o costruire, nel conflitto per la libertà di movimento, un nuovo ius soli capace di trascinare l’Europa verso il Mediterraneo? Ancora: battersi per un salario minimo continentale allineato a quello tedesco o condannare i PIIGS, con l’aggravante della secessione, ad essere zone speciali sul modello del Guangdong in Cina?

Non abbiamo dubbi: anticapitalismo, per noi, significa redistribuire la ricchezza e non socializzare la povertà. Rompere la gabbia ordoliberale non vuol dire battersi per la frammentazione spaziale, favorendo, inevitabilmente, populismi e destre neofasciste, ma rifare l’Europa.

Va da sé che è necessario far vacillare i confini dell’Europa tedesca. All’Europa della BCE/Bundesbank, a quella intergovernativa, occorre sostituire quella federalista, delle metropoli, aperta a Est e a Sud. Estensione spaziale lungo il battito delle lotte e dell’autogoverno e non frammentazione all’insegna delle piccole patrie. Un’Europa fatta di tante Europe, dove Eurobonds e fiscalità comune, due proposte proprie del riformismo radicale, siano piegate alla pretesa del reddito d’esistenza contro la disoccupazione di massa, del salario minimo contro il dumping salariale che sta imponendo gerarchie e divisioni, alla conquista di un welfare del comune ostile alle privatizzazioni.

Dopo il meeting di Agorà99, che si è svolto a Roma lo scorso novembre, un ulteriore e importante passo nel consolidamento di una prospettiva di europeismo radicale è stato compiuto a Madrid, nell’incontro “El nuevo rapto de Europa”, promosso dalla Fundación de los Comunes e dalla rete europea di musei L’Internazionale. Attivisti e intellettuali da tutta Europa si sono ritrovati, dal 27 febbraio al 1 marzo, in una tre giorni di intensi dibattiti, seminari, discussioni all’interno del Museo Reina Sophia. A Madrid è stato ribadito un dato di fondamentale importanza: per molte realtà di movimento del Nord e del Sud, dell’Est e dell’Ovest, la dimensione europea è assunta – proprio oggi, nel culmine della sua crisi – come lo spazio comune, l’unico possibile, nel quale dispiegare azione politica e continuità organizzativa, immaginazione politica e nuova istituzionalità.

Si è perciò deciso, nel corso della tre giorni, di avviare un processo di scrittura aperta di una Carta per l’Europa. Il richiamo alla forma della Carta va inteso correttamente. Non si tratta certo di alludere alla scrittura di una nuova Costituzione ‒ forte è stata la consapevolezza che sul piano europeo la grammatica della mediazione costituzionale, propria degli Stati nazione, non sia più riproponibile ‒ né tanto meno di attestarsi su una mera dichiarazione dei principi e dei diritti.

La Carta vuole essere un dispositivo di enunciazione comune delle lotte e nello stesso tempo può assumere, all’interno dei singoli momenti di lotta, il volto di una “petizione”. Il riferimento storico più appropriato e suggestivo ci sembra quello del cartismo inglese. Mutatis mutandis, due aspetti di quell’esperienza assumono oggi, sul piano europeo, un carattere “programmatico”, tra le macerie delle forme politiche della modernità: lotta per la democrazia espansiva, per la riappropriazione della decisione comune, e affermazione dei commons contro la rendita e la proprietà.

La Carta per l’Europa, come abbozzata nei suoi contorni a Madrid, si propone come un processo aperto di scrittura collettiva, uno strumento volto a comporre e potenziare le lotte e a ridefinire le stesse condizioni di possibilità, i presupposti, sui quali rifondare lo spazio politico europeo.

Rifondare l’Europa non è un problema elettorale, così come non confondiamo, e non si possono confondere, le istituzioni del lavoro vivo da costruire con quelle statali. Rompere l’impasse dei movimenti europei, e farlo a partire da una prospettiva europeista e anticapitalista nello stesso tempo, significa mettere da parte scorciatoie di qualsiasi genere, siano esse elettorali o, seppur antagoniste, nazionali o identitarie. La nostra strada, senza equivoci, è quella tenace di chi, oltre i ripari dell’identità, vuole organizzare i non organizzati (il lavoro precario e migrante, i disoccupati ecc.) e farlo su un terreno produttivamente continentale. Altrettanto, però, riteniamo che il processo animato da Tsipras e da Syriza sia interessante, per il discorso che sta producendo nel dibattito politico: un’Europa del riformismo radicale, ostile alla «gabbia d’acciaio» ordoliberale. I movimenti, oggi più che mai, non sono in alcun modo rappresentabili, ma che la scena della flebile rappresentanza europea sia attraversata da una faglia come quella che Syriza ha saputo essere in Grecia non può che sembrarci cosa utile. Non essendo impegnati nella scadenza elettorale di fine maggio ed essendo estranei al processo della Lista Tsipras in Italia, che presenta evidenti limiti nella proposta e nella cultura politica, possiamo con libertà, e con il pragmatismo che sempre dovrebbe contraddistinguere i movimenti anticapitalisti, esprimere questo giudizio.

Per quanto riguarda i movimenti il mese di maggio, con il Primo maggio e la settimana di mobilitazione (15/24 maggio) promossa da Blockupy, la carovana migrante che convergerà a Bruxelles (26-27 giugno) e poi il vertice UE sulla disoccupazione giovanile, previsto in Italia per inizio luglio, possono essere grandi occasioni per far esplodere una rete di lotte che pretendono e costruiscono, dal basso, un Europa di tutt’altra natura. Una sfida complicatissima, indubbiamente, l’unica importante, però, su cui far convergere le nostre energie migliori.


A seguire il Preambolo della Carta per l’Europa discussa e elaborata a Madrid:

We live in different parts of Europe with different historical, cultural and political backgrounds. We all continuously arrive in Europe. We share experiences of social movements and struggles, as well as experiences of creative political work among our communities, on municipal and national levels. We have witnessed and participated to the rise of multitudes across the world in 2011.

In fact, the European ‘we’, we are talking about here, is unfinished, it is in the making, it is a performative process of coming together.

In the wake of the financial crisis we have experienced the violence of austerity, the attack on established social and labour rights, the spread of poverty and unemployment in many parts of Europe. We have faced a radical transformation of the constitutional framework of the EU, which has become more and more the expression and articulation of capitalist and financial command. At the same time we have lived through a profound displacement of national constitutional frameworks, we have learned that they do not provide any effective defence against the violence of the crisis. In the ruins of representative democracy, xenophobic chauvinisms, ethnic fundamentalisms, racisms, new and old forms of fascism proliferate.

We rise up against all this.

We want to initiate a different kind of constituent process on the basis of social and political struggles across the European space. This Charter aims to open up a process towards a radical political and economic change of Europe focussing on the safeguarding of life, dignity and democracy. It is a contribution to the production and creation of the commons, a process of democratic regeneration in which people are protagonists of their own lives. In the squares and the networks we have learned something simple that has changed forever our way of inhabiting the world. We have learned what ‘we’ can achieve together.

We invite people across and beyond Europe to join us, to contribute to this charter, to make it live in struggles, imagination, and constituent practices.