MONDO

Esercito turco e milizie jihadiste entrano ad Afrin

Nella notte è iniziato l’ingresso nella città simbolo del Rojava delle truppe di Ankara e di milizie islamiche che seminano sangue, morte e orrore, con la piena complicità della comunità internazionale

Alla fine, quello che si temeva e quello che si è sperato intensamente di evitare è accaduto.  L’esercito turco, secondo esercito della NATO, alleato con milizie jihadiste quali Al Qaeda e Al Nusra è entrato nella città di Afrin. I pochi racconti che arrivano e le immagini diffuse sono inquietanti. Appena entrati, hanno distrutto la statua del fabbro Kawa, simbolo della resistenza del popolo curdo contro il tiranno Dehok, da cui ha origine la tradizione del Newroz e che è una sorta di mito fondativo per i curdi.

Sono rimasti ancora in città moltissimi civili, intrappolati dalla difficoltà a mettersi in salvo e la loro vita ora è seriamente in pericolo, già circolano racconti di torture ed esecuzioni sommarie. I morti civili durante i bombardamenti e gli attacchi di ieri sono decine e decine.

Due combattenti, Nudem delle YPJ e Muhammed dello YPG, sono stati catturati e decapitati, i loro corpi sono stati appesi in strada.

Anche chi è scappato dalla città è a rischio. Fonti locali hanno riportato che un grosso convoglio di civili che stava tornando nella città di Jindiresse è stato colpito dalle bombe degli aerei turchi. Testimoni oculari parlano di 250 morti, ma è tutto molto difficile da verificare al momento.

I pochi contatti rimasti invitano a non dichiarare caduta la città. Combattenti YPG e YPJ sono ancora presenti e continuano a resistere all’invasione in molti quartieri, con attacchi e azioni di sabotaggio.

In un comunicato congiunto, i portavoce di YPG e YPJ e della Amministrazione civile di Afrin hanno dichiarato che sono stati messi in salvo gran parte dei civili ma la resistenza nella città continua.

I responsabili di questo massacro, di questa ingiustizia senza limiti hanno nomi precisi, si chiamano Unione Europea e Stati Uniti che non hanno mosso un dito, non hanno esercitato la minima pressione diplomatica perché il tiranno Erdoğan si fermasse.

Sono questi stessi responsabili di oggi, quelli che parleranno spudoratamente di difesa della democrazia, di lotta al terrorismo in occasione del prossimo attentato in Europa. Loro, oggi, hanno permesso che un esercito loro alleato, assieme a milizie jihadiste, distruggesse una città simbolo della più straordinaria esperienza di democrazia e convivenza plurietnica del Medioriente.

Sono proprio questi responsabili e le élìtes economiche che li sostengono che continueranno a fare affari con Erdoğan, continueranno a pagarlo perché impedisca ai migranti in fuga di raggiungere l’Europa, continueranno a pagare per avere accesso a risorse e per far crescere i propri mercati in Oriente.

Non dimentichiamolo mai.

Intanto le comunità kurde nel mondo rilanciano per una giornata mondiale di mobilitazione a sostegno di Afrin per sabato prossimo, 24 marzo.