EUROPA

Erdogan e l’ipocrisia greca

Negli ultimi giorni, i media greci ci stanno presentando la mossa di Erdogan come una dichiarazione di guerra alla Grecia esercitata con l’arma dei migranti. Eppure, l’uso del corpo dei migranti non è affatto una prerogativa esclusiva del governo turco

Qualche dato necessario: la Turchia al momento ospita il maggior numero di rifugiati di qualunque altro paese nel mondo, 4,1 milioni di persone (di cui 3,7 milioni di siriani), circa il 65% del totale (sì, del totale dei rifugiati del mondo). Giusto per fare un confronto, il numero totale di rifugiati siriani che sono arrivati in Europa dall’inizio della cosiddetta “crisi siriana” si aggira intorno a un milione. La Turchia, tra l’altro, fornisce automaticamente lo status di permanenza legale e protezione temporanea a quanti migrano a causa dei conflitti in Siria dal 2011. Questo status, almeno formalmente, garantisce di non essere rimpatriati in Siria, diritti lavorativi e accesso al servizio sanitario ed educativo nazionale. Quindi, specialmente in confronto alla nostra illuminata famiglia europea, la Turchia pare aver compiuto miracoli rispetto alla crisi migratoria.

Tutto questo è merito dello stato turco e di Erdogan? Ovviamente no. Erdogan beneficia del suo ruolo di protettore tanto sul fronte interno, per gli equilibri che assicura nella sua area di interesse, quanto su quello esterno. L’accordo UE-Turchia (del marzo 2016) ha sancito il ruolo della “rete di sicurezza” che la Turchia è chiamata ad avere nei confronti dell’Europa, con un notevole tornaconto, ovviamente. L’accordo turco-europeo prevede, tra le altre cose, la provvigione di 6 miliardi di euro alla Turchia, la velocizzazione delle pratiche di ingresso della Turchia nell’UE e la sistemazione di un rifugiato siriano in Europa per ogni siriano che torna in Turchia dalle isole greche. Ne escono così vincitrici entrambe le parti, visto che da un lato la Turchia ha bisogno dei suoi accessi verso l’Europa e della legalizzazione dei suoi piani di guerra, e dall’altro i paesi europei sanno bene che un alto numero di migranti minaccia la loro stabilità governativa incomparabilmente di più di quella della Turchia.

Diciamolo nel modo più semplice possibile: Erdogan paga regolarmente e a norma di legge per fare l’accalappiacani d’Europa, il guardiano di coloro che cercano di arrivare qui. Nei fatti, quindi, dal momento in cui è stato apposta la sua firma sul trattato, lo stato turco ha mantenuto in larga parte quanto concordato. In effetti, i flussi umani sono diminuiti del 97% nei primi due anni. L’UE, d’altra parte, non ha rispettato affatto ciò che aveva promesso – fatta eccezione per il suo assordante silenzio circa i crimini commessi dallo stato turco contro i curdi del Rojava e il versamento dell’aiuto economico, non è stato messo in pratica nessun altro punto dell’accordo. Oggi, per una serie di ragioni che hanno a che vedere con i recenti attacchi a Idlib, ma anche con l’inconcludenza dell’UE, Erdogan ha deciso di smettere di mantenere questo accordo.

Immediatamente ­si manifesta il primo paradosso: la rottura del patto da parte dello stato turco, cioè l’aver smesso di vegliare draconianamente i confini con la Grecia, viene presentato come azione di guerra di Erdogan che “agisce come un trafficante”, nel momento in cui neppure l’U.E. ha mantenuto quanto era sancito. Cerchiamo però di guardare un po’ oltre le reciproche questioni di etica. Anche se analizzassimo la situazione con una logica neoliberale di ripartizione e supporto dei profughi di guerra, la Turchia, come emerge da quanto detto, ha fatto incomparabilmente meglio dei paesi europei a questo riguardo (senza che questo voglia dire, per nessun motivo, che i rifugiati non vivano in Turchia in situazioni di reale disperazione). Quindi si potrebbe dire che hanno tutto il diritto, visto ciò che abbiamo detto, di lasciare le persone andare verso le destinazioni che desiderano e che spetta ai governi di queste destinazioni prendersi le proprie responsabilità. Ripetiamolo: questa è una conclusione estremamente semplice che si dà a partire dalle considerazioni precedenti, alla quale si viene portati pure collocandosi politicamente tutto sommato a destra.

Cosa succede ora se alziamo un pochino l’asticella e ci rivolgiamo a una platea di sinistra?

Allora ci tocca constatare che, se Erdogan «usa a suo beneficio i dannati della terra», questo succedeva soprattutto precedentemente, quando teneva in gabbia migliaia di di persone all’interno dei suoi confini, al fine di molti e diversi vantaggi! A parte la disumanità, però, la situazione precedente faceva comodo sia al nazionalismo di casa nostra che al governo greco e quindi restava nell’invisibilità, come del tutto normale nella realtà greca. Al contrario, il cambio di rotta attuale viene considerato come una grave azione di attacco, quando in realtà non consiste in nulla se non nell’irrompere del desiderio degli stessi rifugiati/migranti: quello di andarsene. A prescindere dal suo movente e dai suoi piani, Erdogan sta mettendo in pratica quello che chiediamo e che dovremmo chiedere come sinistra: permettere e promuovere, sotto certi punti di vista, la libera circolazione delle masse impoverite. C’è dunque da chiedersi perché alcune persone che vorrebbero considerarsi di sinistra possono allo stesso tempo acconsentire alla tesi secondo cui questa azione della Turchia comporterebbe una qualche incredibile disgrazia per la nostra Grecia.

Diciamolo meglio: i profughi non sono le pedine di Erdogan; non li raccoglie lo stato turco da qualche magazzino e non li attiva per i suoi fini imperialistici. Sono persone con desideri autonomi, che ovviamente non sono turchi e/o agiscono per ordine degli ufficiali turchi, ma che sono o vittime dell’impoverimento globale (alla produzione del quale ha concorso in gran parte l’Occidente), o vittime di guerra. Vogliono arrivare in Europa per cercare una vita migliore. I recenti sviluppi geopolitici e la concorrenza tra l’UE e la Turchia semplicemente hanno permesso loro di intravedere una finestra di accesso maggiore a ciò che desideravano sin dall’inizio: questo è tutto.

E ovviamente non fa meno ridere l’obiezione secondo la quale, però, i rifugiati in questo momento si trovano al confine Turchia-Grecia e non Turchia-Bulgaria. Il viaggio dalla Turchia verso la Bulgaria, infatti, è molto più difficile, comporta l’attraversamenti di montagne, il freddo e lunghe distanze fatte di mura e, in generale, è un percorso che non ha mai registrato un particolare flusso, neanche prima dei «progetti satanici di mobilitazione di Erdogan».

Non è solo che il modo in cui Erdogan sta utilizzando i migranti in questo momento si accorda ai desideri di questi ultimi. È anche la solita ipocrisia greca, è anche che parliamo continuamente delle storture del nostro vicino per non guardare le nostre. La Grecia utilizza da decenni i migranti in tutti i modi possibili: come forza di lavoro a basso costo, come “problema umanitario” per mendicare qualche fondo europeo, come carta di negoziazione per il memorandum. Perché, per dire il vero, visto che la memoria circa questi temi ha purtroppo le gambe molto corte, bisogna ricordare che sono passati solo cinque anni da quando Panos Kammenos, allora ministro della difesa nazionale del governo Syriza-ANEL, minacciava che avrebbe inondato l’Europa di migranti e jihadisti (!!!). Sulla stessa lunghezza d’onda, poi, ma con altri toni si era collocato il piano moderato Nikos Kotzias.

Per finire, gli ultimi sviluppi della questione dei rifugiati portano la Grecia, ma soprattutto la sinistra greca, davanti alle sue responsabilità. Non è affatto casuale o frutto di equivoco che alcuni abbiano adottato la posizione che la responsabilità di tutta questa situazione ce l’abbia Erdogan e questo non cambierà né con questo articolo, né con altri simili. L’incommentabile segretario di Syriza ha dichiarato ieri che «chiuderebbe lui stesso i confini», così, per non lasciarci col dubbio. La sinistra greca ha scelto di scaricare la colpa su Erdogan precisamente perché ha sondato il nazionalismo aggressivo dei greci (come avrebbe potuto non farlo), il quale purtroppo ha preso velocemente le dimensioni di un movimento molto più grande di quanto non sia riuscita a fare la sinistra sullo stesso tema, e ha considerato che prendere una chiara posizione anti-nazionalista le sarebbe costato troppo in termini di voti.

Le cose però, almeno in una prima fase, sono molto semplici: non è causa né di Erdogan – specie quando non fa null’altro che lasciare che ci sia libertà di migrare – né ovviamente dei rifugiati, da qualunque parte del mondo essi provengano. È a causa delle guerre, dei motivi politici che le producono, della mostruosa sperequazione della ricchezza in questo triste mondo e, certamente, del gran numero di nostri compatrioti greci che si è tuffato in profondità nello schifo questa ultima settimana. Una logica istanza della sinistra dovrebbe essere la libertà di migrare, l’apertura delle frontiere per i rifugiati e i migranti da parte dell’UE e infine, a un certo punto, la soppressione delle strutture che producono violenza, povertà, annegamenti in mare, i morti sotto le bombe.

Contiamo oltre 20.000 morti solo nel Mediterraneo dall’inizio del 2014. Che ciascuno rifletta su cosa risponderà se gli venisse chiesto cosa ha fatto mentre tutto questo succedeva.

 

Articolo apparso sul sito The Press Project

Traduzione a cura di Viola Vertigo