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Elezioni in Turchia: Erdogan prepara i festeggiamenti, ma la partita è ancora aperta

Il prossimo 24 giugno le elezioni anticipate in Turchia, le prime dopo la riforma costituzionale voluta da Erdogan, al governo dal 2002, per accrescere il suo potere. Ma l’esito delle urne non è così scontato nonostante la feroce repressione delle opposizioni e del dissenso.

 

 

Manca poco più di un mese alle elezioni anticipate del 24 giugno volute dal Presidente della Repubblica Erdoğan e dai suoi alleati del MHP (Milliyetçi Hareket Partisi, it. Partito del Movimento Nazionalista). L’ormai inossidabile leader turco, che con il suo AKP (Adalet ve kalkınma partisi, it. Partito della giustizia e dello sviluppo) è al potere dal 2002, ha voluto infatti incassare prima del tempo i possibili vantaggi che avrebbe nel caso vincesse con questa prima inedita tornata elettorale in cui si voterà secondo il nuovo sistema uscito dal referendum costituzionale dell’anno scorso, con il quale è stato sancito l’avvento del presidenzialismo.

Il vincitore dalle elezioni, infatti, ricoprirà il ruolo di Presidente della Repubblica con le nuove funzioni a lui attribuite dopo il referendum costituzionale. La principale ed essenziale novità, tra le diverse approvate con la riforma, è il cambiamento della funzione del Presidente della Repubblica, da figura prevalentemente rappresentativa a detentore del potere esecutivo. Infatti in sostanza è stato abolito il ruolo del governo e del primo ministro, con il Presidente della Repubblica che assume tutte le sue prerogative. Come decretato nel nuovo testo, lo stesso giorno ci saranno anche le elezioni politiche che andranno a designare i rappresentanti del Parlamento, in cui la sfida è ancora più aperta, con la reale possibilità per Erdoğan di essere eletto Presidente della Repubblica ma di ritrovarsi a capo di una coalizione che non avrà la maggioranza parlamentare. Infatti, se per la Presidenza della Repubblica, come vedremo, i maggiori partiti di opposizione hanno presentato ognuno la propria candidatura, per le elezioni politiche hanno trovato un accordo che ha portato alla formazione di una inedita coalizione, da cui è rimasto fuori solo l’HDP (tr. Halkların demokratik partisi, it. Partito democratico dei popoli), ciò che rafforza l’impatto elettorale delle opposizioni. Nel caso anche l’HDP riuscisse a entrare in Parlamento, superando lo sbarramento del 10%, lo schieramento a guida AKP potrebbe non avere la maggioranza dei seggi.

In tal senso è utile soffermarsi sugli attori politici che sono chiamati a “giocarsi” la vittoria elettorale tra poco più di un mese per capire quanto in realtà rischia il “sultano”.

Per la carica di Presidente della Repubblica sono 5 i principali candidati. Ci sarà un primo turno che decreterà il nuovo Presidente solo se uno dei candidati dovesse prendere il 50% + 1 dei voti. Altrimenti si andrà al ballottaggio tra i due candidati più votati. Ed è qui che si racchiude la maggiore insidia per Erdoğan che, sebbene sia saldamente in testa in tutti i sondaggi e abbia buone possibilità di uscire direttamente al primo turno, nel caso dovesse arrivare al ballottaggio potrebbe correre dei seri rischi, soprattutto se tutte le opposizioni dovessero fare appello al voto per l’altro candidato, chiunque esso sia, come sembra trapelare in questi giorni. Ma per capire il quadro che si prospetta, vediamo meglio chi sono questi 5 principali candidati.

Partiamo proprio dal Presidente uscente che è espressione ovviamente del suo partito AKP, ma anche degli alleati MHP e il BBP (Büyük Birlik Partisi, it. Partito della Grande Unione). Una coalizione denominata Cumhur ittifakı (it. Alleanza della gente) nella quale si salda perfettamente il nazionalismo di destra e la cosiddetta sintesi turco-islamica (tr. Türk-İslam sentezi). Uno schieramento che porta avanti il nuovo tipo di sciovinismo, in realtà già esistente da tempo ma affermatosi e radicatosi davvero con l’era Erdoğan, nel quale hanno trovato una sintesi vincente, da un punto di vista elettorale, appunto, gli ideali nazionalisti turchi e il conservatorismo islamico.

Il secondo candidato maggiormente accreditato è Muharrem Ince, del CHP (tr. Cumhuriyet Halk Partisi, it. Partito popolare repubblicano), professore di fisica, deputato dal 2002 e contraddistintosi nella sua carriera parlamentare per un’aperta opposizione ad Erdoğan, ma anche per il tentativo di rinnovare il proprio partito e soprattutto la sua classe dirigente. Sicuramente una delle migliori candidature delle ultime tornate del CHP, ma difficilmente riuscirà a vincere, per l’ormai atavica difficoltà del suo partito, espressione della tradizione politica kemalista, di raccogliere consensi significativi nelle regioni anatoliche e nel Sud-Est del Paese a maggioranza curda. Inoltre proprio in queste ore si stanno verificando diversi problemi legati alla scelta delle candidature parlamentari, con la vecchia nomenclatura del partito a farla da padrona nelle decisioni, circostanza che non favorirebbe di certo un’ascesa nei consensi. L’unica sua chance è rappresentata dal possibile ballottaggio in cui, con l’eventuale appoggio degli altri partiti d’opposizione, potrebbe giocarsi le residue speranze di vittoria.

Il terzo candidato, anzi la terza candidata è Meral Akşener, personalità di spicco fuoriuscita dal MHP proprio per la saldatura dell’alleanza con Erdoğan, fondatrice del neonato partito iyi parti (it. buon partito). Probabilmente rappresenta l’outsider di questa tornata elettorale per due ragioni: l’effetto sorpresa legato alla novità della sua formazione politica e la capacità di dare rappresentanza a quell’elettorato nazionalista di destra ostile all’AKP che si è sentito tradito dal MHP, ma anche a pezzi di settori legati agli ambienti kemalisti più conservatori che sembrerebbero preferirla al CHP. In un panorama politico poco avvezzo alle novità, la Akşener potrebbe davvero essere la sorpresa di questa tornata elettorale, ma ovviamente anche per lei valgono le stesse considerazioni fatte poc’anzi per Ince, ovvero risulta praticamente impossibile che possa vincere al primo turno e avrebbe qualche possibilità di affermazione solo se si andasse al ballottaggio e dovesse essere lei a fronteggiare Erdoğan.

Il quarto candidato è Temel Karamollaoğlu del Saadet Partisi (it. Partito della felicità), espressione di quella parte di conservatorismo islamico ostile a Erdoğan. Le sue chance di vittoria, così come anche di arrivo all’eventuale ballottaggio, sono praticamente nulle, ma senza dubbio rappresenta una candidatura che potrebbe erodere diverso consenso all’attuale Presidente, soprattutto nelle regioni anatoliche più conservatrici. Cosa non di poco conto, nell’ottica di ostacolare la vittoria al primo turno della coalizione a guida AKP, vero obiettivo di tutte le opposizioni.

Il quinto dei principali candidati è Selahattin Demirtaş, rappresentante dell’HDP, attualmente recluso in carcere in seguito alla stretta repressiva scatenata contro le organizzazioni che sostengono la causa curda e contro le opposizioni in generale, soprattutto quelle legate ai movimenti sociali e politici di sinistra. E proprio da quest’ultime trae forza la candidatura di Selahattin Demirtaş, sostenuto da diverse forze politiche e sociali della sinistra radicale turca e curda. D’altronde è l’unico candidato realmente vicino alle aspirazioni degli esclusi di Turchia, strenuo sostenitore di una reale democratizzazione del Paese che possa dare diritti e dignità a tutti. Una realtà che si rispecchia nelle candidature parlamentari, con la scelta di molti protagonisti delle battaglie politiche e sociali più importanti di questi anni e una importante apertura agli esponenti della cultura e della cosiddetta società civile più invisi al governo AKP. L’obiettivo principale è quello di riuscire a ostacolare il più possibile l’elezione al primo turno di Erdoğan, ma soprattutto, per quanto riguarda le elezioni politiche, riuscire di nuovo a superare la soglia di sbarramento del 10% per entrare in Parlamento. In tal senso, oltre al sostegno delle forze della sinistra radicale e dei movimenti, l’HDP è riuscita a stringere un accordo con gli altri principali partiti curdi del Paese. Una mossa che rafforza ancora di più l’HDP nel Sud-Est a maggioranza curda, territorio che ancora una volta potrebbe essere decisivo non solo per il superamento della soglia di sbarramento, ma anche per contribuire a non far avere la maggioranza alla coalizione guidata dall’AKP.

Infatti, come accennato ad inizio articolo, se per quanto riguarda la Presidenza della Repubblica, nonostante tutto, la vittoria sembrerebbe ancora una volta alla portata di Erdoğan, potrebbe essere proprio la composizione del Parlamento l’incognita che non fa dormire sogni tranquilli all’AKP. L’inedita coalizione d’opposizione che correrà unita per eleggere i prossimi deputati della TBMM (Türkiye Büyük Millet Meclisi, it. Grande assemblea nazionale di Turchia), il Parlamento turco, formata da CHP, iyi Parti, Saadet Partisi e Demokrat Parti, denominata Millet ittifakı (it. Alleanza nazionale) ha buone possibilità di contendere la maggioranza alla coalizione guidata dall’AKP. Senza dimenticare il ruolo decisivo dell’HDP che, nel caso dovesse superare di nuovo lo sbarramento ed entrare in Parlamento, potrebbe rivelarsi ancora una volta il vero ago della bilancia, soprattutto in relazione al fatto che nel Sud-Est del Paese è l’unico attore politico che può sconfiggere l’AKP, come già successo nella scorsa tornata elettorale. La questione curda, infatti, risulta ancora una volta decisiva in termini di consenso, soprattutto nelle regioni in cui i curdi rappresentano la maggioranza della popolazione. Erdoğan negli ultimi anni ha irrimediabilmente compromesso la sua immagine di pacificatore, diventando, anzi, uno degli oppositori più feroci delle formazioni politiche e sociali che sostengono la causa curda. L’assedio, il coprifuoco, gli arresti delle principali cariche politiche filo curde, i veri e propri massacri compiuti a Cizre e in altre città, la sostituzione dei sindaci eletti dalla popolazione, l’inquietante appoggio alle milizie islamiste e l’intervento militare diretto in Rojava, rappresentano una frattura ormai insanabile. Senza dimenticare il peso dell’alleanza con il MHP, partito ultranazionalista da sempre acerrimo nemico dei curdi.

Per completare il quadro relativo alle elezioni politiche, è interessante menzionare anche il tentativo del TKP (Türkiye Komünist Partisi, it. Partito comunista di Turchia) di candidare esponenti del partito come indipendenti. Non avranno bisogno di superare lo sbarramento del 10 %, ma resta il nodo legato al consenso non facile da ottenere su larga scala, nonostante la crescita del partito e l’importante base militante di cui dispone. Tema principale che portano avanti, ovviamente, è quello legato al conflitto capitale-lavoro, questione a volte trascurata, almeno qui da noi, quando si parla di Turchia, ma che riveste un ruolo cruciale all’interno del Paese.

Infatti, al di là delle alleanze e dell’importante fattore che rivestono l’interventismo militare in politica estera e interna, la questione curda, il prolungamento ormai infinito dello stato di emergenza, con la conseguente enorme repressione scatenata nel Paese, non bisogna dimenticare che la Turchia da qualche anno sta attraversando una fase di recessione che non aveva mai vissuto da quando l’AKP è al potere. L’inflazione cresce, la lira turca subisce una svalutazione costante, il Pil non si attesta più sulle percentuali di qualche anno fa (cosa che aveva fatto le fortune elettorali di Erdoğan) ma anzi è ormai irreversibilmente in calo e di conseguenza le vertenze lavorative aperte sono innumerevoli. Questa circostanza sta scalfendo molto l’immagine del leader dell’AKP quale uomo della provvidenza, artefice della crescita economica turca ed è un aspetto non di poco conto nello scenario politico attuale. Non bisogna sottovalutare, infatti, il peso sul voto dei fattori socio-economici in un Paese che vede la forbice delle diseguaglianze allargarsi, con un serio aumento del tasso di povertà e disagio sociale.

Le elezioni del 24 giugno, quindi, saranno un test molto importante, il cui esito appare incerto. L’agibilità politica delle opposizioni è stata messa a dura prova dalla feroce repressione degli ultimi anni, ma nonostante tutto il governo AKP non è riuscito a silenziare completamente il dissenso. La partita anzi, paradossalmente, per la serie di fattori elencati, potrebbe essere più aperta che mai.