MONDO

Elezioni tunisine: primo bilancio provvisorio

La prima tornata delle presidenziali e le parlamentari hanno mostrato un forte calo dell’affluenza e un’estrema frammentazione: domenica prossima si scontreranno per la Presidenza un austero candidato conservatore sostenuto dagli islamisti e un miliardario populista appena scarcerato

Il 15 settembre scorso si è svolta la prima tornata delle elezioni presidenziali in Tunisia, l’unico paese realmente pluripartitico dell’Africa settentrionale, con affluenza assai bassa (45%, rispetto al 64% delle prime presidenziali del 2014 dopo il rovesciamento nel 2011 del regime di Ben Ali, recentemente defunto in esilio). Il voto si è disperso fra 26 candidati e i primi due, che andranno al ballottaggio il 13 ottobre prossimo sono Kaïs Saïed (18,4 %) et Nabil Karoui (15,8 %). Il primo è un professore di diritto ultra-conservatore, appoggiato informalmente da Ennahdha, il secondo è un magnate populista della televisione, imprigionato per evasione fiscale e malversazioni varie. In complesso entrambi i candidati hanno usufruito di una rivolta anti-sistema dell’opinione pubblica, deluso dai governi precedenti e da una situazione economica sempre più catastrofica, come testimonia anche il crescente flusso migratorio verso l’Italia con i famosi “barchini”. Resta però indecifrabile se questa reazione si orienti verso una nuova fase rivoluzionaria dopo il 2011 o verso un affidamento a soluzioni autoritarie o populiste segnate da qualche “uomo forte”.

La frammentazione senza precedenti dello scenario politico risponde evidentemente al fallimento della vecchia élite post-rivoluzionaria del partito laico Nidaa Tounes e del defunto presidente Béji Caïd Essebsi, da una parte, degli islamici moderati di Ennahdha dall’altra. Frammentazione che esprime tutte le difficoltà economiche di un paese dove la disoccupazione ufficiale è al 15% e l’inflazione al 7% e dove la corruzione è endemica e assai forte l’infiltrazione jihadista fra le nuove generazioni e che è stata confermata dalle elezioni parlamentari del 5 ottobre, cui ha partecipato il 41,3% degli aventi diritto contro il 68% del 2014. In via ancora ufficiosa la distribuzione dei 217 seggi, già oggetto di contestazione, sarebbe la seguente: 52 seggi per Ennahda; 39 per Qalb Tounes, il partito del candidato Presidente Nabil Karoui; 21 per la Corrente democratica, Attayar; 19 alla Coalizione Dignità, Karama, considerata vicina ai radicali islamici; 17 per il Partito dei destouriani liberi, movimento nostalgico del passato regime di Ben Ali; 15 a Tahya Tounes, il partito del premier uscente Youssef Chahed; 15 al Movimento popolare, coalizione di partiti di sinistra; 4 al Partito “Errahma”; 4 a Machrou Tounes, formazione di ispirazione laico-progressista; 4 a Nidaa Tounes, il partito un tempo egemone; 3 Albadil; 3 Unione popolare repubblicana; 2 ad Afek Tounes; 2 a Speranza e lavoro; 2 a Aich Tounsi, movimento della società civile; 11 a candidati indipendenti  e 5  a formazioni politiche minori che hanno ottenuto un seggio ciascuno.

È probabile che al secondo turno delle presidenziali i due candidati in lizza, dovranno cercare di attingere, al di là del risultato dei partiti di riferimento (Ennahdha e altre forze islamiche per l’onesto conservatore Saïed), l’appena costituito partito personale Qalb Tounes per Karoui, alla pletora di indipendenti e micro-formazioni. Sempre che Karoui, verso cui confluirebbero forzosamente tutte le forse laiche e di sinistra, sfugga alla tagliola e alla cattiva fama del procedimento giudiziario e sia dichiarato eleggibile. Entrambi traggono forza da una critica radicale del regime uscente e dell’anarchia che ne sta derivando, grazie all’immagine di “buon padre di famiglia” che il primo persegue mediante l’appello alla legge e all’ordine contro le derive neoliberali, il secondo grazie a spregiudicate operazioni di carità distributiva e di contatto diretto con i più poveri. Due soluzioni, a loro modo, avverse alla vecchia élite, che scavalcano l’opposizione, spesso fantasmatica, fra modernisti e islamisti e cercano di rispondere alla drammatica crisi delle passate conquiste economiche e sociali senza regredire al regime pre-2011. Dietro la dispersione dei candidati e dei partiti si profila una radicalizzazione degli interessi e delle loro rappresentanze che inibisce ogni equilibrio centrista quale si era affermato fra il 2014 e il 2017 e lascia intravedere una polarizzazione non convenzionale, in cui alcune istanze di classe sperimentano l’appoggio all’islamista Saïed e correnti populiste si identificano nel miliardario Karoui. Scomposizioni che non dovrebbero sorprendere, sia pure in altro contesto, un lettore italiano che abbia vissuto il collasso del sistema partitico tradizionale e i malumori della crisi. La via dei barchini tocca due territori non così distanti.

Sugli esiti di questa instabilità torneremo dopo il secondo turno delle presidenziali di domenica prossima. Alla vigilia di quel voto, giusto ieri, Karoui ha ottenuto la scarcerazione e ha potuto tenere un appello elettorale finale, migliorando le proprie possibilità di successo.