MONDO

Educazione americana

Un’inchiesta sui conflitti e i movimenti del mondo della formazione nello spazio continentale americano con contributi da Canada, Brasile, Cile e Argentina, pubblicata su Alfabeta2 nel numero di settembre/ottobre 2013

A Rio de Janeiro, lo scorso luglio, sono nuovamente apparsi i book bloc, quella pratica politica intrapresa a Roma e poi dilagata in diverse mobilitazioni in Europa e non solo. Tra i molti scudi libro che hanno attraversato la capitale brasiliana ne è comparso uno con la scritta “+ educação – opressão”, segno della persistente centralità della formazione anche in quelle esplosioni tumultuose nate al di fuori di scuole e università. Le recenti manifestazioni muovono dalla chiara rivendicazione di voler condividere la ricchezza prodotta socialmente da uno dei principali protagonisti dell’economia sudamericana, al contempo, la richiesta di accesso alle risorse e al welfare va di pari passo con il rifiuto dell’esclusione sociale e dei processi di gerarchizzazione che hanno cristallizzato la società brasiliana. Eppure, nonostante le specificità locali e l’evidente affinità dei tumulti brasiliani con quelli recentemente diffusi nel mediterraneo, intravediamo una costante presenza di rivendicazioni legate alla formazione, così come il protagonismo di soggetti esclusi dalle istituzioni educative o imbrigliati in sistemi di dipendenza e misurazione come quello del debito studentesco.

Queste rivendicazioni sono divenute patrimonio condiviso dei movimenti sociali dispiegati nel continente americano e, in molti loro aspetti, estremamente affini ai problemi posti dai movimenti studenteschi europei durante gli ultimi anni di radicale contestazione al Bologna Process. Il processo di dismissione del pubblico, la mercificazione e la dequalificazione del sapere, così come la produzione di processi di gerarchizzazione ed esclusione sociale possono essere considerati i cardini attorno ai quali si è costituita una “guerra all’intelligenza”, un feroce attacco a tutti quei soggetti protagonisti delle nuove forme di cooperazione sociale. Al contempo, anche le mobilitazioni organizzate inizialmente negli ambiti classici della formazione hanno immediatamente posto il problema del suo superamento, rifiutando le vertenze settoriali e intrecciandosi con le più eterogenee figure produttive che abitano le metropoli. I recenti movimenti hanno tentato, spesso riuscendovi, di costruire un immaginario e delle pratiche comuni a livello transnazionale nel segno dell’irrapresentabilità e della rottura con il paradigma neoliberale, aprendo nuovi spazi in cui creare una radicale alternativa sia nel mondo della formazione che nella società più ampia.

La scelta di collocarsi nello spazio americano non ha nulla a che vedere con il volgere lo sguardo europeo verso il “laboratorio latinoamericano” per rintracciare una sorta di materia empirica su cui applicare teorie o esperienze maturate nell’ormai decaduta fortezza. Piuttosto, evochiamo il Bologna Process, di matrice europea, in quanto esperimento neoliberale caratterizzato da uno statuto tendenzialmente globale. Così come ha avuto carattere transnazionale il ciclo di lotte sulla formazione che, dalla bolla della new economy fino all’attuale crisi economica, ha contestato il modello educativo, svelandone l’iniquità e l’ideologia della retorica meritocratica. I quattro discorsi di una provocatoria “educazione americana” compongono uno scenario ridotto rispetto al più vasto continente, una mappa parziale di sperimentazioni politiche nate all’interno delle più recenti mobilitazioni; analisi di parte legate ad una costante ricerca di dispositivi organizzativi capaci di diffondersi nella società a partire dal processo educativo e dalla critica dei saperi. In questa mappa non ci sono laboratori, né la riduzione dell’americano all’ormai decaduta potenza statunitense, ma territori che compongono nuove regionalità, affatto coincidenti con i confini degli stati. Una mappa che interroga la nostra esperienza ed arricchisce la riflessione politica attraverso uno spazio di relazione con attivisti e ricercatori la cui presa di parola, in forma di testo o intervista, intensifica le connessioni da un lato all’altro dell’Atlantico. Discorsi che provengono da Buenos Aìres, Montréal, Rio de Janeiro e Valparaíso per intercettare le tendenze comuni, le affinità tra corpi capaci di produrre sapere vivo e i nodi problematici su cui i movimenti si stanno confrontando nel presente.

Innanzitutto, l’impatto delle politiche neoliberali e della finanziarizzazione nell’ambito educativo, nonostante le specificità locali, ha avuto esiti piuttosto omogenei in termini di privatizzazione e smantellamento dell’istruzione pubblica. Da un lato, questo processo ambisce ad aumentare il numero degli studenti indebitati, tanto che ormai sono molti a guardare alla mole del debito, in particolare nordamericano, come la prossima bolla speculativa pronta ad esplodere. Dall’altro, l’obiettivo è di innalzare il confine dell’accesso alla formazione, moltiplicando le linee di segmentazione e ampliando così l’esclusione sociale di un numero sempre maggiore di persone.

Tale esclusione di basa su processi di razializzazione che impongono una linea del colore netta e rigida anche all’interno dei luoghi della formazione, ma anche sullo stigma del “fannullone” inadeguato alla competizione capitalista e disadattato della società. Insomma, corpi che sono perennemente fuori luogo per il loro essere troppo formati o poco bianchi, troppo radicali o poco docili all’educazione del biocapitalismo.

Gli scioperi a oltranza, le affirmative action e le imponenti manifestazioni hanno imposto l’irriducibilità dei movimenti sulla formazione alla vertenza studentesca, affermando la centralità delle strade delle metropoli come territorio sovrano in cui si fa nuova soggettività. Nell’affrontare le esperienze di resistenza e dunque la relazione tra lotte sociali e formazione ci inoltriamo, infine, nel mondo variegato delle esperienze di educazione popolare e delle pratiche di autoformazione, in cui la critica dei modelli pedagogico-educativi conduce alla creazione di vere e proprie “istituzioni autonome”.

Leggi gli articoli:

Eric Martin – Oltre gli scioperi studenteschi. Dopo la primavera degli aceri in Quebec

Bruno Cava – Il colore della quota. Il razzismo nelle università brasiliane.

Roberto Vargas – Università autonoma e lotte sociali. Ultime notizie da Valparaiso

Intervista a Natalia Polti – Bachilleratos populares. Pedagogia autogestita a Buenos Aires