PRECARIETÀ

Documento conclusivo dell’assemblea nazionale dei ricercatori del 20 febbraio

In continuità con l’incontro di gennaio tenutasi a Firenze, l’assemblea di Roma ha visto la presenza delle molteplici figure che compongono il frastagliato quanto complesso mondo della ricerca e dell’università (studenti, dottorandi, assegnisti, ricercatori strutturati e non) riscontrando la necessità di aprire una discussione approfondita sulle trasformazioni del comparto, al fine di attuare una completa ridefinizione del sistema universitario e della ricerca.

Ancora una volta si è sottolineato il totale fallimento delle politiche governative sulla formazione degli ultimi 10 anni, o forse sarebbe meglio dire il successo del disegno dei governi italiani, senza distinzione di schieramento, che ha previsto come unico obiettivo il completo e smantellamento del mondo della ricerca e della formazione. E’ chiaro a tutti come la riforma Gelmini di cui ora vediamo tristemente le conseguenze, è stata una catastrofe per studenti, ricercatori, dottorandi e per tutta l’università in generale ed è ormai chiaro come il governo Renzi si ponga in totale continuità con le idee dell’ex ministra. Le parole pronunciate dal presidente del consiglio all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino sono una dichiarazione di guerra non tanto per i baroni (che resteranno saldi alle loro poltrone che siano di serie A o B) ma per gli studenti, le figure che cercano di accedere all’università e per l’autonomia della ricerca in generale. Ora assistiamo alle conseguenze dei tagli draconiani, al blocco del turn-over all’aumento delle tasse d’iscrizione, alla riduzione di borse di studio e di mobilità per studenti dottorandi e ricercatori mentre negli altri paesi EU aumentano i finanziamenti o addirittura come in Germania eliminano le tasse.

Ma il segno del fallimento delle politiche universitarie è altrettanto evidente nella trasformazione del sistema della formazione in generale, riconfigurazione questa definita sul solco della valutazione e del merito. E’ infatti stata espressa come esigenza condivisa la necessità di ridiscutere i sistemi valutativi, ormai principio fondamentale del mondo universitario, a partire dall’idea che anch’essi siano stati nocivi quanto fallimentari. Se ci erano stati presentati come un’arma contro le baronie e le forme clientelari che infestano il mondo della ricerca in Italia, in realtà non solo si sono rivelati un’arma spuntata ma sono stati piuttosto un ulteriore sostegno per gli interessi dei soliti: più che creare ricambio e innovazione, hanno stretto ancora di più il collo del reclutamento, aumentando inoltre le condizioni di precarietà (e quindi di ricattabilità) della figure che tentano di accedere al sistema universitario. Ne sono la prova i dati degli abbandoni universitari, delle espulsioni dal mondo della ricerca post-dottorato, delle condizioni di autosfruttamento e ricattabilità che spesso ricercatori e assegnisti devono “subire”.

E’ necessario dunque intraprendere una discussione approfondita sui sistemi di valutazione, che ne smantelli l’impianto ideologico (la meritocrazia) e che ne smascheri il reale intento volto a creare pochi centri di ricerca specializzati, cosa che di fatto produrrebbe una netta divisione fra università di serie A e di serie B, con buona pace del ruolo sociale e formativo del sistema accademico. E’ chiaro come i parametri utilizzati dai centri valutativi come l’Anvur (gli indici bibliometrici, le pubblicazioni in riviste specializzate, l’internazionalizzazione dei curricula, per dirne alcuni) si basino su sistemi affatto neutri e oggettivi che di fatto limitano l’autonomia della ricerca, influenzata dalla rincorsa alle citazioni, e la qualità della didattica, inficiata dall’esigenza dei ricercatori e dei professori a focalizzarsi su argomenti estremamente specifici e spesso direttamente spendibili sul mercato. All’interno di una formulazione dell’università che immaginiamo e che vorremmo, è’ necessario ridare centralità al ruolo sociale dell’università, alle sue attività formative e di ricerca. Dunque va da sé che qualsiasi azione, rivendicazione, discorso alternativo, sottrazione dalle condizioni di ricattabilità deve essere portata avanti non dai comparti separati dell’università ma da tutti gli elementi che la compongono: studenti, dottorandi, assegnisti e ricercatori, come già era stato detto a Firenze.

Per di più, a partire da una critica netta della governance univeristaria, è auspicabile una ridefinizione delle figure all’interno del mondo della ricerca e dei sistemi di reclutamento per i quali l’allungamento degli anni di assegno o del periodo da rdta sono solo palliativi (ben vengano dunque le proposte del Post-doc reseracher e del ricercatore unico) ma queste da sole non bastano….in termini stretti: è inutile parlare di forme di accesso e di reclutamento se non ci sono i soldi. Diventa dunque fondamentale la richiesta di un rifinanziamento strutturale del comparto universitario e la rivendicazione della gestione autonoma dei fondi di ricerca e dell’accesso a progetti di finanziamento da gruppi non strutturati. Inoltre è necessario aprire una campagna aperta che rivendichi forme di previdenza sociale per le figure del mondo della ricerca che non godono dei diritti minimi (come la disoccupazione o la paternità) e che coinvolga tutte le altre figure precarie. Una campagna del genere si esplicherà in azioni coordinate dislocate su tutto il territorio nazionale, che avranno come obiettivi l’inps e le casse di previdenza.

Per concludere, per fare un passo in avanti e oltre le assemblee passate, bisogna aprire una fase processuale in cui ogni ateneo decida, anche in forma congiunta le azioni da intraprendere, così da aprire una mobilitazione che si estenda in maniera efficace e che sia all’altezza della sfida che ci si porrà davanti nei prossimi mesi.

Si e’ condivisa dunque la scelta di aprire campagne all’interno degli atenei, in cui si portino avanti azioni rivendicative contro le forme di lavoro gratuito a cui siamo costretti a sottostare e che critichino il sistema valutativo nelle forme di:

– Blocchi e forme di sottrazione dalle mansioni che non ci competono.

– Campagne informative e azioni mirate al problema della previdenza sociale stesura di documenti condivisi fra i vari comparti e discusse in assemblee pubbliche.

– Forme di boicotaggio dell’ANVUR e dei sistemi valutativi interni agli atenei.

-Campagne comunicative e di visibilità che pongano al centro la ricomposizione delle figure subalterne dell’università e della ricerca.