MONDO

Diario della staffetta sanitaria da Suruc

Il diario di viaggio della staffetta sanitaria per Suruc, un gruppo di operatori sanitari in viaggio nel Kurdistan turco per portare solidarietà concreta in una terra che resiste con orgoglio

PRIMO REPORT 252

Buongiorno a tutti

Terzo giorno qui a Suruc al centro culturale in attesa che si formi il gruppo che, come gli altri giorni, ci porterà ad un campo a 16 km da qui, lungo la linea di confine. Nel viaggio vediamo le colline di Kobane, ma siamo più interessati a lavorare nei campi e poi alle riunioni che cercare un taxi che ci porti lì vicino per vedere. Secondo la nostra splendida e bravissima guida ci sono circa 10.000 persone nel campo e il lavoro è tanto, moltissimi bambini e donne alcune incinta, pochi gli uomini. Buona organizzazione del personale medico, ma lavorando tra le tende poi ci si rende conto che alcuni ti chiamano per fare visitare i neonati o le anziane.

Non abbiamo sentito dire che i campi si stanno svuotando. È vero che le famiglie vorrebbero tornare a Kobane ma si pongono molti problemi come ci dice in un incontro Faruk il Presidente del centro culturale Amara. Prima di tutto il terreno non è bonificato e ci sono casi di persone che hanno aperto porte nei palazzi e sono saltati in aria o la stessa cosa è accaduta aprendo frigoriferi. Secondo problema è che non ci sono le strutture per alloggiarli e manca l’acqua e l’elettricità. Tutte cose che richiedono tempo, organizzazione e denaro. Altro effetto della delocalizzazione dei profughi da Suruc è che i problemi logistici e sanitari si produrrebbero in due luoghi invece che in uno solo. Ecco perché per adesso sconsigliano i ritorni numerosi. Faruk ci dice che prima e durante i combattimenti c’erano tantissimi problemi da risolvere ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare invece di diminuire sono aumentati. “Abbiamo bisogno di soldi per ricostruire, prima molti venivano a dare la loro solidarietà ma adesso che Kobane è libera tutti pensano che non vi siano più problemi. La luce dei riflettori si è spenta ma abbiamo bisogno più di prima. Abbiamo bisogno di soldi e di contatti istituzionali. Cercateli per noi”. Queste le parole che hanno concluso il nostro incontro. Mentre vi scriviamo Faruk è passato di qua abbiamo conversato tramite il nostro interprete e abbiamo dato le ultime notizie del lavoro della staffetta e della vostra solidarietà: vi invia un abbraccio e un grazie per tutto quello che si fa dall’Italia.

Adesso è finito il tempo di scrivere e di riorganizzare le idee per la giornata, tra poco si parte verso il campo. Un abbraccio da Suruc

Staffetta sanitaria

SECONDO REPORT 262

Buongiorno,

Ieri visita per il campo Rojava, in città, ospitati alla Casa delle donne, il nostro arrivo lo ha dapprima trasformato in un ambulatorio e alla fine una piazza colma di gente che viene e va e dove le donne vengono a parlare dei loro disturbi o fare vedere i bambini.

Tra questi problemi qualcuno che accusa patologie a seguito di traumi emotivi dovuti alla guerra. È il caso di una volontaria del campo che ha 19 anni, ma sembrano molti di più. Ci parla di dolori costanti agli occhi che nessun medico sa curare. Alle nostre domande finalmente risponde che le è sopraggiunto dopo avere visto le persone saltare in aria a seguito dei bombardamenti su Kobane. Per fortuna le nostre mani sono strumento di lavoro e iniziamo a curare il disturbo.

Ma ci sono altri casi di questo tipo, come ci dice un medico molto capace a gestire i problemi nei campi, la percentuale delle persone che soffrono e sono malate aumenta enormemente durante e post guerra.

Quindi un loro problema è fare una diagnosi differenziale tra malattie gravi e quelle che sono di poco conto.

Questa linea di confine però è fragile e alcuni apparentemente con disturbi di poco conto possono sottintendere a patologie più gravi.

Le persone più seguite sono le donne gravide e i bambini, senza contare chi presenta patologie gravi, che comunque sono più sporadiche.

Anche stamane dopo l’incontro con il responsabile, che è chirurgo presso l’ospedale della città, partiremo verso il campo dove hanno più esigenze. Ma non è da escludere che cureremo anche qualcuno in città come è accaduto ieri.

Per la cronaca sono arrivati dalla Grecia volontari di Syriza, insegnanti che vorrebbero arrivare a Kobane per ricostruire una scuola.

Buona giornata a tutti dal centro culturale Amara.

Staffetta sanitaria

TERZO REPORT 272

Ieri sera siamo tornati da Suruc. La mattina di venerdì siamo andati a vedere Kobane dalla collina di fronte prima del confine, riconoscibile prima dalla fila di profughi che vuole rientrare in città e poi dalla bandiera turca che sventola. Parliamo con la nostra guida, un uomo di 34 anni, che ha lasciato il dottorato in Sociologia a Istanbul per venire ad aiutare. Ci dice che le persone vogliono rientrare al più presto nonostante Kobane sia totalmente distrutta, con l’intento di contribuire alla ricostruzione e di cercare un ritorno alla normalità. Come si può impedire questa necessità? Malgrado sia pericoloso, le autorità non possono impedire questo lento esodo.

Risaliamo sul furgone e andiamo a vedere il villaggio di Mesher. Il capo villaggio abbraccia i nostri amici che ci accompagnano e poi noi. Ci ringrazia di essere li a testimoniare la solidarietà verso il loro popolo. Molti italiani siano già passati di qua con le precedenti staffette.

In mattinata molti abitanti si muovono, alcuni vanno a prendere aste lunghe dove sono issate le bandiere curde e un corteo si forma, tutti in fila indiana per poi trovarsi schierati di fronte Kobane. Inizia il saluto ai martiri, ai combattenti e alla città. Un canto è intonato da una bambina a cui tutti rispondono e poi slogan. Insieme, un uomo e una donna dirigono la manifestazione.

Terminato il saluto, ci portano a vedere il museo dei martiri dei combattenti caduti: dentro vediamo le fotografie delle donne e degli uomini che con atti veramente eroici hanno fermato lSIS. A contorno una biblioteca, composta da qualche centinaio di libri. Tenere viva la cultura qui significa contribuire alla ricostruzione, a mantenere viva l’identità.

Vedere quei volti di ragazzi ventenni che non ci sono più è emozionante, pensi alle loro vite distrutte come quelle delle ragazze sfigurate o mutilate dalle bombe che abbiamo incontrato o quelle delle ragazze di 12/14 anni che gestiscono le vie delle tende facendo da tramite tra i malati e il personale sanitario. Vite che sono state stravolte, desideri mai più realizzabili.

Quando andiamo via, torniamo a lavorare passandoprima dal centro, dove veniamo intervistati da una responsabile del Partito e dopo una analisi di cosa secondo noi manca per ottimizzare il lavoro nei campi è lei che a dirci di cosa hanno bisogno.

Prima di tutto personale che sia specializzato in traumi psichici post guerra.

Poi soldi per le protesi.

Queste sono le priorità, queste le risorse più difficili da trovare. Ci dice lanciate un appello di solidarietà a chi lavora negli ospedali, perché cerchino di capire come fare ad ottenere protesi o soldi. Ditelo in Italia.

Fino a sera rimaniamo nei campi a lavorare con i profughi. Le giornate potrebbero non finire mai perchè c’è sempre un bambino, una donna o un’anziana che ha bisogno di essere visitata o ascoltata.

La sera ci rimangono in testa le parole della responsabile, i volti dei mutilati e le difficoltà insormontabili che si presentano. Bisogna essere dei titani e ci chiediamo se alcuni hanno ancora la forza.

La staffetta sanitaria