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OPINIONI

Depilarsi o non depilarsi: se questo è un problema

Per molte donne la depilazione non è una scelta è un obbligo. Una norma di genere a cui è difficile sottrarsi senza ricevere occhiate e commenti di disgusto

Con l’arrivo dell’estate per tutte coloro che vogliono essere riconosciute come donne arriva una questione dirimente: la depilazione. Come, quanto e dove depilarsi? Quanto tempo, quanti soldi, quanto dolore, quanto spazio mentale da dedicare a questa pratica? Le donne si depilano da sempre? O è un’imposizione che va di pari passo con la sempre maggiore oggettificazione e mercificazione del corpo femminile del mondo moderno? Come sono cambiati gli standard di bellezza del corpo femminile? E in fondo chi ci impone di seguirli se non noi stesse?

Negli ultimi anni si sono compiute piccole grandi rivoluzioni nel mondo delle rappresentazioni dei corpi femminili: le prime pubblicità di rasoi per la depilazione femminile dove si mostrano effettivamente dei peli e non gambe già perfettamente lisce; alcuni brand hanno utilizzato modelle con dei peli per pubblicità che non riguardavano rasoi; e alcune influencer hanno iniziato a parlare di body positivity pubblicando foto dei loro corpi con dei peli. Ben Olid in Contropelo commenta che «la pretesa della depilazione è talmente rigida che spesso i mezzi di comunicazione fanno passare un’ascella depilata da tre settimane, con un velo di peluria quasi invisibile, come una grande trasgressione» (p. 58). In effetti, in Italia oggi più del 90% della popolazione che si riconosce come donna si depila e una percentuale sempre maggiore, più del 40%, della popolazione che si riconosce come uomo ha iniziato a farlo.

Una breve storia della depilazione

La depilazione è una pratica antica, ne troviamo testimonianza nell’antico Egitto, in Grecia e a Roma. Agli albori del mondo arabo fu inventata la depilazione con il filo, ancora oggi utilizzata in tutto il mondo. Ma nel mondo antico la depilazione più che una divisione di genere segnava una divisione di classe, si depilavano gli appartenenti alle classi privilegiate e il clero. Nel Medioevo la religione cristiana contribuì all’idea che la depilazione delle parti intime fosse una pratica peccaminosa, e nel corso dei secoli il corpo della donna venne coperto e nascosto. Come spiega la studiosa Rebecca M. Herzig in Plucked, a Hystory of Hair Removal,è con lo sviluppo della rivoluzione industriale che si iniziano a diffondere nuove pratiche di cura del corpo.

Nella seconda metà XIX secolo, infatti, si dà avvio alla produzione di creme e polveri depilatorie a livello industriale, molte delle quali nelle proprie pubblicità alludono a un’origine orientale delle proprie ricette, alimentando una certa fantasia orientalista di stampo coloniale sui corpi lisci e morbidi delle donne d’oltremare. Questo è il momento in cui i prodotti della cura del corpo escono dalla produzione artigianale delle case e diventano parte della produzione industriale in corso di standardizzazione. 

The American garden (1873)
Dr. T. Felix Gouraud’s Oriental Cream or Magical Beautifier (1911)

Nella seconda metà del XIX secolo, i peli, insieme ad altre parti del corpo, vengono utilizzate come metro di differenziazione e catalogazione razziale. Dopo le pubblicazioni di Darwin «le differenze nella crescita e nel tipo di peli venne descritta come effetto delle forze evolutive della specie» (p. 84), diventando un metodo di classificazione medica. La specie umana si evolve dalla scimmia trovando la posizione eretta e perdendo i peli, in questo processo essere senza peli diventa il simbolo della superiorità della specie umana sugli animali. Avere più peli significa essere più vicino ai caratteri animali, i peli sono quindi un elemento, anche se non l’unico, per distinguere tra le razze. Le persone con molti peli diventano fenomeni da mostrare nei circhi e nel 1878 la neonata associazione dei dermatologi statunitense riconosce la crescita di troppi peli sul corpo come una vera e propria malattia: la hypertrichosis.

Le razze più avanzate e civilizzate, secondo alcune teorie evolutive di stampo darwinista, sono quelle che dimostrano maggiore differenza tra maschi e femmine, al contrario tra gli organismi meno complessi, posizionati nel lato inferiore della scala evolutiva, esistono ancora delle specie ermafrodite. Così nei primi decenni del XX secolo, soprattutto negli Stati Uniti, e in seguito anche negli altri paesi occidentali, i peli vennero associati con lo sporco, la poco igiene, la puzza, e i microbi, facendo aumentare enormemente la richiesta di metodi e tecniche per rimuoverli. Alcuni dei quali non proprio sicuri, come le prime creme depilatorie e i laser.

Agli inizi del ‘900, nel mondo occidentale, quando le donne bianche iniziano a rivendicare il diritto di voto e una maggiore integrazione nel mondo del lavoro, aumenta esponenzialmente il controllo sui corpi femminili, tramite nuove pratiche igieniche e di bellezza. Si sviluppa l’industria cosmetica, viene inventato il rossetto da borsa, e la medicina inizia studi dedicati al corpo femminile, come quelli sulla cellulite. La depilazione è parte di questo nuovo regime di controllo sui corpi delle donne, e allo stesso tempo un simbolo di progresso e superiorità razziale utilizzato dalle stesse donne bianche.

La depilazione: atto costitutivo del divenire donna

Se la storia della depilazione segue dei processi diversi nelle diverse culture del mondo – dal mondo arabo con una lunga storia di depilazione alla religione sikh che vieta il taglio di peli e capelli sia per le donne che per gli uomini – oggi la pressione alla depilazione è fortissima in tutto il mondo.

Quando si mostra il corpo femminile deve essere liscio e senza alcun pelo. Dagli anni ‘90, con la diffusione della cera completa “alla brasiliana” non è più accettabile avere peluria nemmeno nella zona pubica. Depilazione completa: braccia, gambe, inguine totale, baffetti, sopracciglia e l’eliminazione di qualsiasi pelo superfluo su qualsiasi altra parte del corpo, mento, viso, schiena, e chiaramente capezzoli. Con i più disparati metodi: crema depilatoria, rasoio, cera a caldo, cera a freddo, cera al miele, silk epil, laser, luce pulsata. Con più o meno dolore e una quantità non indifferente in soldi investiti. Del resto, come scrive una ditta di epilazione laser nella sua pubblicità: «il vero amore non ha peli».

La fanzine Pely edita da Edizioni Minoritare (liberamente scaricabile qui, e alla quale ho contribuito io stessa) raccoglie diverse storie che raccontano la relazione con i propri peli, scritte subito dopo la fine del primo lockdown, e pubblicate senza alcuna sovra costruzione narrativa. Ne esce fuori un racconto di «inaspettata coerenza», come si legge nelle poche righe di introduzione, dove le storie si rimandano l’una con l’altra in «un sentire comune».

Molte storie hanno in comune un rito di passaggio che segna il momento in cui da bambina si diventa donna: la prima depilazione, che avviene poco prima o poco dopo la prima mestruazione, per sfuggire dallo sguardo e dalle prese in giro del gruppo di pari. Un rito perché si ripete, ancora e ancora, e costruisce il rapporto con il proprio corpo.

«A 13 anni ho iniziato a sanguinare e a detestare il mio corpo. Non solo cambiava, ma cambiava il modo in cui tuttx si relazionavano con noi (…). Per essere la femmina che mi veniva richiesto che fossi ho iniziato a trattare i mie peli come attorno a me era normale trattarli, estirpandoli, rigorosamente con la cera calda». «Sono sempre stata molto pelosa, forse perché sono scura un pelo spesso e folto. Ho iniziato a depilarmi a 13 anni, prima con il silk epil poi ceretta. Ero fissata con il voler essere liscia, completamente liscia, il pelo sul mio corpo mi disgustava».  «Primavera della seconda media. Un mio compagno di classe mi fa notare che con quei peli sui polpacci faccio “schifo”». «Avevo dodici anni e avevo terminato la mia esibizione al saggio di danza classica. La mia insegnante si avvicinò. “Non mi è piaciuto” – disse. E no, non stava parlando del balletto, ma del piccolo cespuglio di peli neri che non avevo rasato sotto le ascelle. Fu umiliante». «Ho sempre utilizzato una lametta per radermi, più o meno dai 10 anni in poi. Ho iniziato abbastanza presto poiché il mio essere scura e pelosa mi rendeva diversa dalle altre bambine e più vulnerabile agli occhi degli altri (non solo coetanei, talvolta anche adulti e familiari).» «Così un giorno, come impazzita, mi tolsi quasi tutte le sopracciglia e costrinsi mia madre a farmi la ceretta. Iniziò per me un periodo di vera e propria ossessione: dovevo rimuovere qualunque pelo. Mi rendeva felice togliermi i peli, ma al tempo stesso mi faceva male». Tutte le storie risuonano grande sofferenza, dolore, e un forte senso di inadeguatezza.

Depilarsi o non depilarsi?

Molte di queste persone, che scrivono sulla fanzine Pely, raccontano, poi, come hanno cercato di migliorare il rapporto con il proprio corpo iniziando un percorso di accettazione che è passato, per moltə, anche attraverso la libera ricrescita dei propri peli. Ma per chiunque voglia essere riconosciuta come donna, al di fuori dei propri circoli safe, la reazione sociale che si riceve alla propria peluria è la repulsione e la derisione. Un po’ come fanno le tre conduttrici dell’Hush videopodcast di Singapore che, chiamate a parlare di peli in una cornice body positive, non riescono a reprimere il disgusto per chi sceglie di non depilarsi… ma chiaramente senza giudizio!

«Nella pittura di tradizione europea, non dipingere il pelo sul corpo femminile è stata una convenzione solidissima (…) – scrive Mura Gancitano in Specchio delle mie Brame – In effetti, a essere ritratte come pelose e baffute sono ancora oggi le donne ritenute vittime di una cultura arretrata o le streghe. Se una donna sceglie di non depilarsi è considerata indecente o provocatoria». Già le suffragiste erano descritte come pelose, ma sono le femministe della seconda ondata per la prima volta a rivendicare la pelosità come liberazione dall’oppressione patriarcale.

Ben Olid nel suo libro spiega il suo percorso per una non depilazione felice e un “futuro peloso”. Ma questo percorso non è uguale per tuttə: «Se sei convenzionalmente attraente, senza dubbio, puoi farti vedere con le ascelle pelose», cioè puoi lasciare una piccola parte del tuo corpo non depilata se hai sufficienti “punti di desiderabilità”.

Ma per tutte coloro la cui femminilità e desiderabilità è costantemente messa in questione, le donne razzializate, le donne di classe non agiata, le donne trans, non depilarsi non è sempre un’opzione praticabile a meno di non ricevere «ancora più commenti negativi (sporca, schifosa, porca) rispetto alle bianche di classe elevata, per le quali viene considerata un’eccentricità perdonabile (solo perché rispettano tutto il resto)» (p. 60). Quindi la scelta di non depilarsi non dovrebbe essere inserita in una scala dove il punto più alto è la capacità di agire contro l’oppressione patriarcale e il punto più basso è l’essere completamente sottomessa, anche perché in questo modo si sottintende l’idea che tutte le donne fronteggino le stesse conseguenze rispetto alle proprie azioni, ma in realtà non è così, soprattutto per coloro che sono sottoposte a molteplici discriminazioni.

Inoltre, sembra quasi che non depilarsi ci riavvicini alla versione naturale di noi stesse, come se esistesse una sola versione di noi stesse sempre uguale e valida nel tempo, e non cambiasse con le trasformazioni del nostro corpo e della nostra età. Mentre affrontare la depilazione o non depilazione potrebbe essere un percorso per avere una relazione con il nostro corpo più consapevole. In questo senso, la depilazione o la non depilazione possono essere uno spazio di trasformazione del sé da vivere non come un’imposizione sul proprio corpo ma come una possibile forma di sperimentazione. Per comprendere cosa ci piace o meno, e riflettere su come le forme di bellezza siano una mediazione tra noi stessə e le imposizioni eterocispatriarcali.

Come scrive Camille Froidevaux-Metterie in Les corps des femmes la ricerca della bellezza non è più solo una forma di alienazione dal nostro corpo e asservimento al desiderio maschile, come scriveva Simone de Beuvoir alla fine degli anni ’50, perché le lotte femministe hanno cambiato di molto la vita delle donne. Oggi quando scegliamo come vestirci, truccarci o depilarci, stiamo decidendo come vogliamo apparire a noi stesse e agli altri/e, un’appropriazione di noi stesse, non un’alienazione da noi stesse, certo non scevra da enormi e pesanti condizionamenti sociali.

Questo spazio di ricerca sul nostro corpo ci dovrebbe traghettare dall’essere oggetto di desiderio a soggette del desiderio. Una ricerca per l’autodeterminazione e la consapevolezza di sé, in lotta per la libertà di essere e di apparire come più ci piace, senza giudizio per come altrə scelgono di essere e di apparire.

E ora che l’estate sta finendo possiamo iniziare da questa piccola sperimentazione e ricerca sui nostri corpi, nascosti sotto pantaloni lunghi, e chissà cosa ci aspetterà alla prossima, e sempre più calda, estate.

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