Dalle pratiche del «Comune», al diritto alla città

Venerdì 8 marzo al via un ciclo di seminari al Nuovo Cinema Palazzo.

Da venerdì 8 marzo a giungno 2013 si terrà un ciclo di seminari al Nuovo Cinema Palazzo, con il patrocinio dell’Istituto Svizzero di Roma, dal titolo “Dalle prariche del “Comune” al diritto alla città”.
Il primo incontro (8 marzo, ore 17) vedrà la partecipazione di Ugo Mattei (Università di Torino), Paolo Maddalena (vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale), Michele Luminati (Direttore dell’Istituto Svizzero di Roma) e avrà al centro la “genealogia della proprietà”. Per il programma completo leggi qui.

Gli ordinamenti europei hanno assunto come proprio il primato dell’individuo e con esso della proprietà privata come leva dell’efficienza e del progresso annullando i valori relazionali e collettivi. Nell’incapacità degli Stati di dare risposte alla complessità del vivere, il primato culturale della gestione privata non ha trovato rivali. La sovranità ha sorretto le logiche privatistiche o le ha assunte come proprie. Quest’alleanza tra pubblico e privato ha rafforzato l’ondata di privatizzazioni e di dismissioni di beni demaniali insieme ad un definitivo arretramento dell’interesse pubblico e della funzione sociale della proprietà e dunque delle regole che disciplinano l’interesse privato rispetto ai processo di sviluppo e di urbanizzazione.

La pratica di riappropriazione, cura e restituzione dei beni comuni rilancia il dibattito sulla proprietà privata e sul superamento della dicotomia pubblico/privato come categorie interpretative della relazione con i beni (U. Mattei, 2012). I beni comuni si collocano fuori dalla nozione di appartenenza e prefigurano forme di accesso non basate sulla titolarità ma sull’uso, su pratiche ribelli e relazioni collettive e cooperative. Reinterrogare l’attualità della funzione sociale della proprietà, alla luce del diffondersi della riappropriazione di spazi fisici e simbolici, può costituire un modo per arginare l’espansione speculativa nelle nostre città ma rischia di rispondere ad una lettura residuale e strumentale dei beni comuni. Essi prenderebbero corpo solo laddove sia estremo il disinteresse o la compressione di diritti diffusi. L’uso politico del diritto non si estende solo all’individuazione di strumenti giuridici che possano strategicamente sostenere la pratica del “comune” ma nella capacità ri-creativa del diritto e non solo del diritto codificato ma anche di quello consuetudinario e di quello giudiziale. Quali norme, istituti, dispositivi consentono di radicare il comune? Quali si prestano a forzature, permeabilità e metamorfosi rispetto a queste pratiche emergenti?

La città negata produce i propri anticorpi : forme di resistenza urbana collettiva che generano processi creativi del “comune”, qui le lotte prendono corpo, qui diversi mondi trovano spazio di convergenza e relazione. Partiamo dall’occupazione degli spazi culturali ad alto valore simbolico riappropriati negli ultimi due anni (il Cinema Palazzo e il Teatro Valle a Roma, e via via in un contagio progressivo molti altri in tutta Italia) e restituiti a comunità sempre più ampie e reticolari per ripensare al sistema di norme in cui siamo immersi. Un diritto vivente che muove dalla produzione di nuove pratiche, di consuetudini, di precedenti. Si tratta di esperienze che si oppongono a una visione essenzialmente assolutistica della produzione di norme e al primato della proprietà rinviando a “diversi” (P. Grossi, 1977) e “opposti” modi di possedere. Due secoli di studi focalizzati sulla centralità della proprietà privata hanno reso opaca la categoria dell’uso. Gli istituti esistenti (l’uso, diritto individuale su cosa altrui disciplinato dal codice civile; gli usi civici, diritti collettivi su beni pubblici o privati di matrice consuetudinaria) non rendono ragione della tensione fra uso e proprietà che proprio la rivendicazione dei beni comuni fa emergere ogni giorno. Come rinnovare la categoria degli usi collettivi non come riduzione della proprietà ma come prospettiva opposta e garanzia d’accesso a diritti più ampi? In che modo ridefiniamo la relazione tra diritti formali, uso e disponibilità del potere di agire? Come pratichiamo gli usi tra forzatura, riconoscimento e autonomia?

Nella città si spazializzano le ingiustizie e proliferano le frontiere, è qui che si riarticola il conflitto contemporaneo. La trasformazione della relazione fra pubblico e privato è specialmente evidente nella gestione dello spazio urbano. Il consumo di suolo causato dalle politiche di riqualificazione urbana e dalle dinamiche di gentrification determina effetti di esclusione di gruppi, classi, individui. Lo spossessamento dei cittadini dal bene comune-spazio urbano concorre al controllo dei corpi e alla costruzione delle identità che si muovono nella metropoli (Marella, 2012) e pone il problema di rimettere al centro l’idea di città che vogliamo e immaginiamo. L’esclusione dallo spazio urbano è esclusione dallo spazio politico, dai processi di civilizzazione e quindi dalla società (Lefevre, 1976). Guardare alla città nel prisma concettuale del bene comune significa, in primo luogo, riconoscere che essa è un bene, non una merce. Comune, quindi non individuale: un insieme di elementi materiali e immateriali che solo temporaneamente possono essere goduti o fruiti dai singoli, ma che appartengono alla comunità nel suo insieme. Il nocciolo della definizione sta nel processo stesso d’invenzione della città: nel suo essere nata in funzione del soddisfacimento di esigenze che singoli, famiglie, tribù non erano in grado di soddisfare senza unirsi, collaborare, condividere (E. Salzano 2007). Se la città è un’opera collettiva determinata dalle fitta trama d’interazioni tra soggetti sia nella contesa per gli spazi sia nei processi di significazione e rappresentazione, il diritto alla città non è solo diritto al controllo dei processi di urbanizzazione ma diritto di riappropriarsi del processo materiale e immateriale di creazione urbana. Esso è diritto di trasformare noi stessi trasformando la città per renderla conforme ai nostri desideri (Harvey, 2012). Le variazioni dell’inclusione e dell’esclusione non sono processi impersonali ma il risultato, a diversa scala, di rapporti tra Istituzioni, apparati, collettività. In che misura la promozione illimitata dell’individualismo e della privatizzazione contiene un pericolo mortale per la cittadinanza e, per contraccolpo, la premessa per una sua nuova configurazione all’interno del tentativo di ripensare la capacità politica collettiva (E. Balibar, 2012)? Quali pratiche, quali esperienze e quali dispositivi rendono sostanziale il diritto collettivo alla città? Quali riproducono forme di esclusione e marginalizzazione?

La geografia delle insorgenze racconta una trama densissima e diffusa di lotte per i diritti dove si realizza una critica pertinente, quotidiana e potente alla deriva neoliberista e dove freme la vera dimensione politica globale fatta di molteplicità di esperienze e di soggettività incarnate. La norma è sempre meno «trascendentale» e si presenta sempre più aperta e permeabile alle trasformazioni. Un innegabile bisogno di diritti si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione, innerva la stessa politica. Un’operosa molteplicità di uomini e donne trovano e soprattutto creano occasioni per non cedere all’esclusione e alla subordinazione scrivendo una quotidiana dichiarazione di diritti (S. Rodotà, 2012). “Il diritto ad avere diritti” in una prospettiva costituente è capacità attiva di rivendicare diritti in uno spazio pubblico e della possibilità di non essere esclusi dal “diritto di battersi per i propri diritti”. Come le pratiche del comune soddisfano bisogni collettivi essenziali e dunque realizzano diritti fondamentali? Come ridefiniscono la soglia fluttuante tra resistenza (il diritto minimo) ed esclusione (il non-diritto) e in che senso possono delineare pratiche conflittuali, autonome o dirette nell’esercizio di diritti? Come prefigurano nuove forme di cittadinanza? In quali casi e a quali condizioni possono produrre nuove istituzioni tra il rinnovamento del repertorio delle regole e la produzione di autonomia?.