ITALIA

Dall’agitazione permanente alla rivolta: Non Una Di Meno verso l’autunno

Si è conclusa la due giorni di assemblea nazionale del movimento Non Una Di Meno presso l’Ex-Asilo Filangieri a Napoli. Tavoli tematici, gruppi di lavoro e organizzazione verso il 23 novembre e oltre

Terminata l’Assemblea nazionale del movimento femminista e transfemminista Non Una di Meno che ha visto la partecipazione di oltre 500 persone, con protagoniste circa 50 nodi e realtà territoriali dal nord al sud dell’Italia, dando vita ad un dibattito intenso, plurale e articolato.

Interpreti LIS durante i momenti di plenaria delle due giornate e spazio bimb*, in una assemblea attraversata da persone di tutte le età. Si è iniziato con il saluto dalle detenute trans nel carcere maschile di Poggioreale, un inferno nel quale agiscono di concerto tutte le forme di violenza possibili e in cui si marcano e si rafforzano le norme di razza, di classe e di genere e sessuali. Una istituzione dove si è mobilitata più volte Non Una Di Meno Napoli e ha dato inizio ad un percorso di presenza dentro e fuori il carcere con alcune donne trans per assumere la necessità della sua abolizione.

Momenti plenari, gruppi di lavoro e tre tavoli strutturati su aree tematiche tematici: violenza ambientale, ecologia e transfemminismo; autodeterminazione transfemminista contro la violenza di genere e dei generi; sguardi intersezionali, strumenti e pratiche collettive transfemministe di lotta e di mutualismo.

 

I tavoli hanno ripreso il lavoro di elaborazione collettiva a partire dal Piano femminista di Non Una Di Meno, per riattualizzarlo alla luce delle sfide  presenti e di un quadro politico mutato. Se si è interrotta l’aggressione clerico-fascista del governo di Verona, la lettura condivisa, al di là di formule semplificatorie, è che la discontinuità annunciata dal nuovo governo sia nel segno della sostanziale continuità patriarcale e neoliberale.

 

Nel primo tavolo, emerso il claim «distruggiamo il patriarcato, non il pianeta!» con la consapevolezza che la lotta transfemminista è imprescindibile alleata della lotta contro la violenza ambientale.

 

Tra le questioni emerse: «come impostare la questione dei consumi in una prospettiva che non sia solo sul piano della scelta individuale, ma in una lotta politica collettiva e anticapitalista sostenibile?». Ci si è posto anche il tema di come costruire sinergie con chi lotta in difesa del proprio territorio saccheggiato e depredato, dall’Italia all’Amazzonia.

Nel secondo tavolo, si è partit* dall’analisi della violenza come strutturale, sistemica, politica e sociale e considerando i dati sui femminicidi, sugli omicidi di matrice transfobica, sulle violenze intrafamiliari, insieme alla questione dello svuotamento della Legge 194, l’obiezione di coscienza dilagante, la violenza ostetrica, la patologizzazione delle persone trans e non binarie, la violenza mediatica e delle istituzioni. Mentre i corpi delle donne e delle persone LGTBQIPA+ sono sotto attacco, insieme ai centri antiviolenza, case rifugio, case delle donne, consultori e consultorie, è necessario «sferrare un’offensiva capace di mettere in circolo la nostra potenza sovversiva e che parta dall’agitazione permanente per rilanciare una rivolta trans femminista».

Nel terzo tavolo, molti gli interventi che hanno messo al centro il reddito di autodeterminazione, incondizionato e universale, slegato dalla prestazione lavorativa, dalla cittadinanza e dalle condizioni di soggiorno. Ribadita l’importanza di incentrare un ragionamento sul salario minimo europeo, per contrastare i salari da fame e i meccanismi di gender pay gap, di dumping salariale e di segregazione lavorativa delle donne e delle/dei migranti; insieme ad un welfare universale, gratuito e accessibile a tutt*, non basato, dunque, sul modello familistico.

Dopo la mattina di lavoro dei tavoli, la plenaria della seconda parte dell’assemblea nazionale di sabato, si è aperta con la lettura della lettera scritta dalla sorella di Elisa Pomarelli e con la critica radicale alla narrazione tossica del suo femminicidio, da parte di alcune testate giornalistiche e media mainstream. Commozione e lacrime, insieme a tanta rabbia, con la consapevolezza di dover essere sempre «il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce!».

L’analisi condivisa in assemblea non  limita lo sguardo al panorama italiano, ma immediatamente anche all’occupazione del Rojava, un attacco diretto alla rivoluzione delle donne, un atto di guerra patriarcale.

La solidarietà al Rojava e alle donne curde ha fortemente animato la due giorni. Sabato sera dopo la prima giornata, in centinaia si sono riversat* nelle strade di Napoli per una manif sauvage per supportare la lotta curda. E proprio la parola “rivolta” al centro delle rivendicazioni di Non Una Di Meno viene articolata come «Tolhildan che significa letteralmente “vendetta”, ma c’è un concetto molto profondo dietro a questa parola nella cultura rivoluzionaria del popolo curdo: vendetta non è uccidere il nemico per la cui mano la tua compagna o il tuo compagno sono caduti, bensì costruire il mondo per il quale loro hanno lottato fino all’ultimo giorno. E dobbiamo costruire un mondo: il mondo che sogniamo».

Il corteo è stato animato da alcune torce, riprendendo la campagna “Diamo Lucha alla città” in solidarietà alla Casa delle donne Lucha y Siesta di Roma, che rischia di essere cancellata dal comune di Roma.

Dopo quattro anni di movimento, la sfida verso l’autunno e oltre è quella di continuare ad incarnare la vera discontinuità sul piano dell’esistente, alla luce dei vari avvicendamenti delle forze governative che «non sono all’altezza delle questioni strutturali e radicali che noi poniamo».

In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stata lanciata a Roma la manifestazione nazionale nel giorno 23 novembre, che vedrà tutte le assemblee territoriali in sinergia per la costruzione della stessa, con la previsione di una prossima assemblea nazionale a Roma il 24 novembre verso lo sciopero globale dell’8 marzo prossimo.

La violenza maschile e di genere sono al centro della mobilitazione del 23 novembre, da combattere anche dal punto di vista della giustizia patriarcale nei casi di violenza e nei percorsi di denuncia e fuoriuscita, al netto dell’incapacità delle misure istituzionali e politiche come il “Codice Rosso”, recentemente entrato in vigore, che si rivela inefficace se non deleterio per la tutela delle donne che denunciano stalking e violenza. E se il DdL Pillon “va nel cassetto” temporaneamente, la PAS (sindrome da alienazione parentale) che era contenuta nello stesso, entra nei tribunali come strumento ritorsivo contro le donne. Ribadiamo di nuovo che si tratta di un concetto sul quale anche la comunità scientifica esprime enormi perplessità.

Come ribadito anche dal nodo Palermo-Messina, l’intersezionalità nelle lotte che caratterizza Non Una Di Meno dalla sua nascita, significa anche intersezionalità concreta nei luoghi e negli spazi attraversabili da tutte le soggettività dei territori e delle città.  Inoltre il rischio di neutralizzazione dei centri antiviolenza femministi così come l’attacco rivolto agli spazi femministi come la casa rifugio autogestita Lucha y Siesta sono indizio lampante di continuità con i precedenti governi e amministrazioni.

 

Accolta anche la data del 22 novembre, in occasione del TDoR (Transgender Day of Remembrance) giorno della memoria per le vittime di transfobia, spesso invisibilizzate e la partecipazione a Roma e nei territori della Trans Freedom March.

 

Al grido emozionato di «Jin, Jîyan, Azadî», assunta anche la partecipazione di Non Una Di Meno alla data del 1 novembre, per uno spezzone di donne, durante la mobilitazione nazionale indetta da Uiki Onlus, Rete Kurdistan Italia e dalla comunità curda contro la vergognosa guerra che la Turchia sta muovendo non solo verso la popolazione curda, ma anche assira, armena, araba, turcomanna, cristiana, siriaca. Il 29 novembre Non Una Di Meno ha accolto anche la partecipazione al quarto sciopero globale lanciato da Fridaysforfuture.

«Abajo el patriarcado! Que va a caer, que va a a caer!… Arriba el transfeminismo que va a vencer!» uno slogan globale cantato con gioia, lacrime e rabbia in queste giornate, con la consapevolezza che la strada da fare è tanta, ma lottare contro la violenza machista insita nell’intreccio tra patriarcato e capitalismo è il campo di battaglia del femminismo globale.

Il racconto per immagini della due giorni