ROMA

Dal Gianicolo il mare non si vede

Carlo Verdone e Francesco Merlo, il “ Salva Roma” e le nuove mura urbane.

Dal Gianicolo il mare non si vede e soprattutto non si vede cosa si trova tra il colle e l’acqua. C’è tuttavia lo stesso tanto da guardare perché siamo in alto: 88 metri più su del Tevere. Anche se non è uno dei colli “storici” della città ed urbanisticamente ha dovuto aspettare un bel po’ per essere ricompreso nelle mura urbane in forma compiuta (lo fece il papa Urbano VIII), e diventare il luogo deputato per gettare uno sguardo sulla città.

Anche sporgendosi verso sud, non c’è nulla da fare, il mare non si vede.

Non è sembrato un problema per Paolo Sorrentino che qui ha portato a morire, schiantato dalla “grande bellezza” di quella parte del panorama romano, un turista giapponese appena sbarcato da un pullman GT. Né, il non poter vedere quello che succede in quel vasto territorio dopo che il Tevere, raccogliendo le proprie forze in un paio di anse, riprende la propria corsa verso il mare, ha impedito a Francesco Merlo (La Repubblica sabato 1°marzo ) di scegliere il Gianicolo come luogo di osservazione sulla città in un pezzo dal titolo “La capitale della grande bruttezza”.

Lo ha fatto il giorno dopo che Matteo Renzi e il suo governo hanno decretato (e tre!) che i tanti soldi che Marino non ha trovato e non trova per i bilanci della città (quello passato e quello futuro) potranno essere “anticipati” dal commissario al debito continuando, come in questi giorni Dinamopress ha raccontato, come sempre dal 2008 i meccanismi “creativi” del commercialista Tremonti legati all’approvazione di ogni bilancio comunale capitolino.

Dal Gianicolo il mare non si vede neppure da uno di quei preziosi balconi che punteggiano sia la sua pendice di pietra su Trastevere né quella, ora di pietra ma a lungo boscosa, di Monteverde.

Da uno di questi osservatori che si sporgono dal filo delle case Carlo Verdone, scelta come “vedetta” privilegiata da Merlo, intercetta solo “una nuvola di depressione sulla mia città” per poi aggiungere con dolore, come compiutamente riporta Francesco Merlo, che “mentre a Los Angeles si celebra la Roma metafisica di Sorrentino, qui fallisce quella fisica”.

Verdone dall’alto e Merlo sulla strada vedono sempre la stessa cosa: graffitari, monnezza, puzza di piscio sprigionarsi dalla fermata della metropolitana, zingare, borseggiatori nascosti tra le auto parcheggiate pronti a colpire inesorabilmente. Merlo vede tutto questo in centro. Verdone, per “averci lavorato” assicura che in periferia è lo stesso.

Merlo prende la metropolitana ed ogni giorno (alla stessa ora?) incontra borseggiatrici, sempre uno straordinario saltatore di tornelli che non paga il biglietto e vigili urbani (sono di servizio sulla metro?) che si voltano dall’altra parte.

Carlo si chiede: “dove stanno gli educatori ?” Francesco che si vuole documentare ne trova subito uno. Si fa prendere per mano dal padrone di Roma fa schifo, quel sito internet che, a incessanti colpi di twitter, denuncia graffitari, zingarelle, prostitute, parcheggi in doppia fila, cacche di cani, materassi abbandonati, bivacchi di extracomunitari (come lui li chiama), clochard vecchi e giovani che dormono per strada. Tutti da far rimuovere, perseguire, cacciare. Ad iniziare naturalmente dal suo chiodo fisso, le occupazioni dei movimenti per il diritto all’abitare.

Tutto, e tanto altro, condito dall’odio verso chi non ha più nulla da “dare”essendo stato privato anche delle più elementari forme di vita. Il 30% della popolazione romana, secondo la Caritas, vive in povertà. Per Roma fa schifo l’importante è che non si faccia vedere. Fosse mai che dovessimo chiederci il perché succede questo? Più facile dire che Roma è un’altra cosa e rassicurarsi che l’importante è trovarsi sempre da quest’altra parte : quella disegnata dal privilegio di chi può farcela. Loro ci saranno, ma la città fino a quando potrà proteggerli, dovessimo all’improvviso trovarci a varcare la soglia della sopravvivenza?

Dopo tanta sofisticata ricerca Verdone e Merlo decretano perentoriamente che Roma è fallita indicandocene le cause.

Verdone, l’esperto in periferia per “averci lavorato”, dice che tutto è iniziato con pizze, panini e gelati in vendita nel centro storico; che non si può andare in macchina in via Giulia. Non una parola sul fatto che per trovare posto a tutta quella gente “che ti vuole far mangiare a tutti i costi quelle porcherie” da quegli stessi posti sono stati cacciati decine di migliaia di persone che lì vivevano e quei posti abitavano. Che non si può andare in macchina in via Giulia, ma che solo in macchina, barattando quattro ore ogni giorno della propria vita, si può (per chi ha l’una e l’altro) andare da casa al lavoro.

Merlo prima se la prende con gli occupanti del Valle. Per lui un “centro sociale”. Per i romani e non solo, un luogo che da tre anni, oltre a tanto altro, offre alla città e al mondo, come testimonia la fittissima messe di riconoscimenti ottenuti, una serie infinita di spettacoli e “avvenimenti” quando gli altri teatri, come Merlo afferma “sono luoghi di ricreazione per la terza età, quando va bene”. Poi, commuovendosi affacciandosi sul balcone di Carlo “come da un palco di anfiteatro , ha una vista che toglie il fiato, sul magnifico fallimento” concorda con il suo ospite “forse a Roma tutto meriterebbe di fallire”.

Dal Gianicolo il mare non si vede, naturalmente, né che lì, tra il Gianicolo e il mare, in quel vastissimo territorio sospesa tra una miriade di (brutti) palazzi, di (brutti) centri commerciali, c’è anche la grande gabbia del CIE con cui Roma risponde a chi , sfidando la morte, è venuto a chiederci aiuto.

In quella grande gabbia tutto quello che fa orrore a Verdone e Merlo non c’è. Non si vende pizza a taglio, non ci sono attori di centri sociali, cacche di cani, alberi piegati. Nessuno ruba nulla a chi viene rubata l’esistenza. Lì i graffiti raccontano di sogni di vita che il nostro paese e la nostra città recide in forma dispotica e crudele. Lì non ci sono tornelli da saltare, solo sbarre, cancelli, gabbie, piastre di cemento. La metropolitana non ha quella fermata. La salta, passa tangente. Dai vagoni non si vede nulla di quello che quei muri nascondono.

E’ qui che Roma fallisce. Qui rinnega la sua stessa natura di città capace di accogliere tutti. Carlo, Francesco, “la Repubblica” non riescono a vedere fino a lì perché vorrebbero che Roma trovasse nuovamente la capacità di ridisegnare nuove mura. Come è accaduto a Urbano VII che ha inglobato il magnifico Gianicolo andando ad attaccarsi ai ricorsi e ai blocchi possenti delle mura aureliane che l’avevano un po’ trascurato.

Dal Gianicolo il mare non si vede; si vede però ed anche bene il Campidoglio e non c’è bisogno neppure di sporgersi tanto. Chissà se i due, Carlo e Francesco incontrandosi ancora su quel balcone simile “a un palco di un anfiteatro” si sentiranno più protetti vedendo che il giovane Presidente de Consiglio ha dato il via alla costruzione delle nuove mura della città. Le “precise indicazioni di un obbligo di risanamento” a cui Renzi, in materia di bilancio, ha legato la concessione monetaria di andare avanti come prima, non sono forse nuove mura serate intorno la vita di tutti noi ? Siamo alle solite: il debito delle città sarà spalmato su chi le città abita. Non si tassano patrimoni , ma le persone. Così come i padroni della finanza hanno deciso. Vogliono farci vivere (?), garantendosi con il patto di stabilità, tenendoci stipati all’interno della tagliola del debito. Ci chiederanno di onorarlo tentando di strappare, dopo averle privatizzate, le risorse di tutti.

Roma non sarà fatta fallire finché sarà possibile cavar soldi dalla vita quotidiana di tutti noi. Non è certo un caso che il salvataggio (sic) sia stato accompagnato dalla rimodulazione della Tasi. Il contributo sui servizi indispensabili che sarà possibile stirare fino allo 0,8 per mille e così come già deciso da Letta peserà anche su chi è in affitto.

Chi colpisce le persone e non i patrimoni non guarda i twitter di Roma fa schifo deve solo tenere a bada, accontentandolo un pochino, chi dovrà fare questo sporco lavoro. Roma, in quanto ente locale, rappresenta il terreno dove il conflitto esploderà in tutta la sua forza.

Le esternazioni di queste ore del Sindaco Marino dimostrano che tutto questo, il senso della partita, sembra sfuggirgli . Roma è oggi al centro di un progetto di finanza preciso che tende a cancellare ogni residua parte della città pubblica, a ghermire ogni risorsa comune, ad abbattere ogni forma d’identità. Roma è oggi il luogo scelto dalla finanza per fare territorio. Con il terzo decreto Salva Roma non si è accontentato Marino (come imprecano leghisti e grillini), ma si sono poste, le fondamenta di tecniche di governo capaci di impadronirsi della città e rispondere così a quanto deciso altrove. Fuori e lontano da queste nuove mura.

In questo nuovo spazio non c’è bisogno neppure di tendere il braccio per far illudere il cagnolino di turno che s’illude di guidare le danze. Potrà correre dove vuole, allontanarsi, tornare indietro, stare davanti. Si da corda, ma in realtà, senza neppure fare la fatica del gioco di polso, si resta padroni della situazione. Lo sanno bene: con i guinzagli telescopici, saranno sempre loro, i padroni, a decidere cosa la bestiola dovrà fare e come farla E’ questa la tipologia di guinzaglio, per Roma e il suo sindaco, che il Governo Renzi /Alfano sembra aver scelto. Senza neppure tendere il braccio Roma potrà ancora per un po’ saltellare qua e là .

Noi però non abbiamo collari e abbiamo capito che chi crede di aver il guinzaglio di Roma in pugno, a sua volta ha il collo ben serrato in una morsa di acciaio. Non sarà una vita da cani.