ITALIA

Cosa succede dopo il sisma in centro Italia?

Dopo quasi due anni dal terremoto nelle zone di Accumoli, Arquata del Tronto e Amatrice la vita delle popolazioni locali è ancora sospesa tra ordinanze, installazioni temporanee, alberghi, affitti e container. Un gruppo di inchiesta multidisciplinare, nato grazie alle Brigate di Solidarietà Attiva, presenta i primi risultati della ricerca

“Questo è uno scopo molto importante: non solo non c’è uno scarto, un divario e una contraddizione tra l’inchiesta e questo lavoro di costruzione politica, ma l’inchiesta appare come un aspetto fondamentale di questo lavoro di costruzione politica.”

Raniero Panzieri (1965), Uso socialista dell’inchiesta operaia

 

Emidio D’Ascoli è un martire cristiano venerato nell’area dell’appennino centro-italiano, come protettore dei terremoti. Treviri, la sua città natale, è la stessa che qualche secolo più tardi diede i natali a un grande scienziato e filosofo cui siamo ugualmente affezionati.

Emidio di Treviri è invece un gruppo di ricerca sulla gestione del post sisma in Centro Italia. Nasce nel dicembre del 2016 in seno alle Brigate di Solidarietà Attiva, un’associazione di mutuo soccorso presente sul cratere fin dalle prime ore dopo il sisma. Dal loro quotidiano lavoro di presidio del territorio e dall’osservazione delle dinamiche in atto è emersa l’urgenza di avviare una ricerca pubblica, volontaria e militante, che interrogasse criticamente il post terremoto, coinvolgendo dottorandi, ricercatori e professori da tutt’Italia, provenienti da diversi campi disciplinari. Scienziati sociali, architetti, psicologi, urbanisti, antropologi, ingegneri hanno aderito all’appello, dando vita a un’esperienza di ricerca collettiva e autogestita capace di produrre conoscenza critica dal basso.

Le competenze multidisciplinari hanno permesso di condurre un’analisi delle ricadute della gestione del post-sisma nei suoi vari aspetti: il denominatore comune è l’ipotesi che l’evento catastrofico non sia in sé il terremoto (inteso come forza esterna), ma l’esito di processi storico-sociali asimmetrici, che contribuiscono a sviluppare vulnerabilità e ad acuire disuguaglianze già esistenti.


Lo sciame sismico che ha colpito il Centro Italia fra il 2016 e il 2017 ha visto una prima emergenza caotica tra risposte istituzionali tardive ed equivoche, solidarietà dal basso,  popolazioni trasferite a decine di chilometri e private della loro capacità di autodeterminazione. Un post-disastro sospeso tra ordinanze, installazioni temporanee, alberghi, affitti e container, che ha visto moltiplicare le alternative possibili dei terremotati, declinate a seconda della loro capacità di accesso ai capitali relazionali, economici, culturali. Le soluzioni messe in campo dalle istituzioni hanno contribuito ad allontanare gli abitanti verso le aree urbane del versante adriatico, innescando processi di frammentazione delle comunità e di medicalizzazione del disagio psicologico e non riuscendo a supportare le attività del settore agricolo formali e informali. Le SAE, i moduli abitativi d’emergenza ancora in fase di consegna ai terremotati, si stanno rivelando una risposta mal formulata per le reali necessità di chi ci abita. Le “casette” comportano inoltre un consumo di suolo e alterazioni del territorio su cui sorgono, partecipando in maniera irreversibile alla sua compromissione.

In aree già soggette a processi di impoverimento e spopolamento, inoltre, le uniche strategie di rilancio che iniziano a delinearsi sembrano essere quelle turistico-ricettive, perpetuando forme di sviluppo legate a doppio filo al modello estrattivista del consumo di “tipicità” in territori sostanzialmente privati della loro componente umana.


Viene spontaneo chiedersi quale idea di territorio venga promossa o assecondata per queste aree, quale ruolo giochino le comunità originarie in questo dibattito e quale posto occuperanno, se lo occuperanno, nel futuro assetto del territorio.

L’emergenza si rivela ancora un volta la scusa per dare soluzioni contingenti ai problemi strutturali del Belpaese, nella vana attesa di un approccio organico e di una filosofia chiara di gestione degli eventi capace di considerare le istanze e la partecipazione diretta delle popolazioni coinvolte.

Sembra dunque fondamentale coniugare la produzione di conoscenze scientifiche con la promozione di strumenti efficaci nella lotta dei terremotati e delle popolazioni delle aree interne: per questo Emidio di Treviri si è posto da subito in una posizione di confronto continuo con i territori in questione, denunciando di volta in volta errori e pericoli di questa gestione, con l’obiettivo di generare conoscenza utile ad invertire la rotta dei processi di spoliazione in atto nel post-disastro.

La ricerca e i suoi risultati saranno presentati a Roma in due occasioni:

Giovedi 22 febbraio al DICEA, via Eudossiana 18, ore 16:00

Venerdì 23 febbraio a Officine Zero (vi U. Partini 20), ore 18:00.
In quest’occasione sarà anche proiettato il  corto-documentario “Dopo il terremoto. Cultura materiale e pratiche quotidiane nel cuore dei Sibillini” e sarà presentata la mostra fotografica realizzata nell’ambito del progetto di ricerca. L’evento sarà seguito da un aperitivo di auto-finanziamento.

Il lavoro di Emidio di Treviri sarà raccolto nel volume “Sul fronte del sisma”, in uscita a maggio per DeriveApprodi.