MONDO

Cosa sta succedendo nel Brasile di Bolsonaro?

Questo fine settimana è circolata una notizia falsa su un presunto colpo di Stato contro il presidente brasiliano. Nonostante ciò, la pandemia ha senza dubbio esacerbato una crisi politica che lo sta lasciando isolato e con molti nemici, anche tra i suoi alleati, mentre il suo consenso nel paese precipita di giorno in giorno

La decisione del capo di Stato brasiliano, Jair Bolsonaro, di privilegiare in modo intransigente la salute dell’economia rispetto a quella della popolazione non ha fatto altro che accelerare la crisi politica, moltiplicando le critiche sulla sua gestione. Dispone d’una popolarità sempre più scarsa per affrontare l’impatto della pandemia del coronavirus e ormai non si capisce se il suo è un fanatismo ideologico o una reale incapacità ad affrontare la situazione.

Elogio alla disobbedienza

La maggior parte dei governatori dei vari Stati ha disatteso la linea presidenziale di boicottare la quarantena; che fossero di destra o di sinistra si sono coordinati per lottare contro il virus.

Anche il Congresso ha deciso di non ascoltare il capo di Stato e ha articolato politiche insieme ai governatori; il potere giudiziario ha proibito all’esecutivo di portare avanti una campagna contro l’isolamento sociale; già cominciano a vedersi sulle pagine dei giornali articoli contro di lui. Intanto la maggioranza delle persone – che obbedisce gli ordini di quarantena stabiliti dalle autorità locali – esprime il proprio malcontento con cacerolazos dai balconi delle grandi città.

Anche se per ora non c’è nessun indizio di manovre golpiste, una cosa certa: oggi il Brasile vive una situazione di malgoverno, con un Bolsonaro politicamente isolato e sempre più delegittimato.

Il paese è sommerso da una crisi sanitaria. È la nazione sudamericana con più contagi e morti per coronavirus e se il disastro non è maggiore è perché molti personaggi, alcuni dei quali erano prima alleati di governo – come Joao Doria e Wilson Witzel, governatori di San Paolo e Rio de Janeiro –, hanno adottato misure di distanziamento sociale disconoscendo un presidente che solo dopo migliaia di contagi e più di cento morti ha smesso di parlare di “influenzetta”.

Addirittura, durante una riunione del Consiglio dell’Amazzonia con il vicepresidente (il generale in pensione Hamilton Mourao), il governatore dello Stato di Marañao, il comunista Flavio Dino, ha proposto che Bolsonaro consegnasse il potere per fare in modo che «il Brasile arrivi al 2022 in condizioni migliori».

Un sondaggio pubblico riportato da “Datafolha” sabato scorso indica che l’eletto conserva comunque il 33% delle preferenze mentre il suo ministro della Salute, Henrique Mandetta, un medico della lobby delle assicurazioni private, che nella pratica sta adottando risoluzioni in controcorrente rispetto al suo Presidente, gode del 76% dei consensi. 

Sono possibili le dimissioni o l’impeachment?

Di fronte a questo panorama una destituzione di Bolsonaro finirebbe sicuramente per aggiungere un’ulteriore crisi alla situazione sanitaria, economica e politica già di per sé complessa che il paese sta affrontando per colpa dell’imperizia del suo governo. Inoltre, secondo la Costituzione, dato che il Presidente non ha ancora portato a termine la metà del suo mandato, per essere sostituito si dovrebbero convocare le elezioni. Fatto impossibile nel contesto attuale. D’altra parte, l’ex capitano dell’esercito non è in alcun modo disposto a dimettersi. «Da parte mia, la parola ‘dimissioni’ non esiste», ha dichiarato ai media.

Nonostante ciò, il consenso attorno alle sue dimissioni cresce di giorno in giorno. La possibilità dell’impeachment l’ha già messa sul tavolo il Partido de los Trabajadores (PT), ma anche alcuni settori della destra sono d’accordo sul fatto che non si possa andare avanti con il governo. Di fatto, nel Congresso si sono già accumulate varie richieste di giudizio politico.

Ma si tratta di un processo che durerebbe mesi e che farebbe sì che Bolsonaro mobiliti lo zoccolo duro del 30% che gli resta fedele, aumentando i rischi di contagio.

Il malcontento del partito dei militari

Le forze armate, assieme al potere economico e quello evangelico, sono le principali roccaforti che hanno portato al potere Bolsonaro nel 2018. L’attuale vicepresidente, l’ex generale Mourao, è l’uomo forte del partito dei militari. Anche se la notizia del golpe circolata lo scorso fine settimana è falsa, essa è stata diffusa dal portale di notizie militari Defesanet, il che suona più che altro come un’operazione portata avanti tra i mormorii e il malcontento che si fa strada tra le file dell’esercito.

Un malcontento rafforzato dalle dichiarazioni di Eduardo Bolsonaro: il figlio del Presidente, che presiede la Commissione degli Affari esteri della Camera dei Deputati, ha dato la colpa della pandemia al «governo comunista cinese». Questa affermazione ha ricevuto una dura risposta da parte dell’ambasciata asiatica che ha minacciato di prendere delle misure se non fosse giunta una richiesta di scuse. Sono stati proprio i militari a farsi avanti per ricomporre la relazione con Pechino.

D’altro canto, la settimana scorsa l’influente ex comandante Eduardo Villas Boas ha scritto un tweet invitando alla moderazione e chiarendo che il presidente «è spinto dal benessere del popolo e dal futuro del paese», il che è suonata come una chiamata a calmare le acque nell’esercito. Sembra quindi che per il momento il partito militare continuerà ad appoggiare Bolsonaro. Tuttavia, di fronte a una crisi che avanza e a un capo di Stato che non propone soluzioni, la domanda è: fino a quando?

A ogni modo, la possibilità di un rovesciamento per mano dei militari non farebbe altro che togliere dal governo un esponente di ultradestra alienato per mettere un altro esponente di ultradestra ma mentalmente stabile. Uno scenario che comunque non comporterà un futuro democratico ed egualitario per il paese.

Articolo originale pubblicato su notasperiodismopopular

Traduzione in italiano di Elisa Gigliarelli per dinamopress

Foto Marcelo Camargo/Agência Brasil (wikicommons)