EUROPA

Cosa cambia dopo il suicido di Dominique Venner?

DINAMOpress ne discute con il giornalista Guido Caldiron.

Guido Caldiron si occupa da anni di destra radicale, ha lavorato a Liberazione, il Manifesto e Pubblico. Attualmente collabora con Europa e MicroMega, tra poche settimane uscirà il suo nuovo libro “Estrema Destra. Viaggio nella nuova internazionale nera” per Newton e Compton. Guido è un anche un attento osservatore dei fatti francesi, a cui ha dedicato due volumi per Manifesto libri “Banlieue” e “I fantasmi della République. La Francia al tempo di Sarkozy”. Con lui abbiamo deciso di parlare del suicidio di Dominique Venner, ricostruendone anche la biografia, per provare a capire che conseguenze avrà sulla destra radicale francese e sul fronte di opposizione ai matrimoni omosessuali che domani tornerà in piazza.

Chi era e che storia aveva nella destra radicale francese Dominique Venner?

Di Venner si poteva parlare come di uno dei “grandi vecchi” dell’estrema destra francese. Cresciuto nell’opposizione al’indipendenza algerina, Venner aveva servito prima la Francia come paracadutista e quindi aveva partecipato alle azioni dei terroristi fascisti dell’Oas, scontando per questo anche più di un anno di carcere. Chiuso quell’ultimo capitolo dell’avventura coloniale di Parigi, era entrato a far parte di Europe Action, un gruppo radicale che – sotto la guida di alcuni ex collaborazionisti, come Jacques Ploncard d’Assac, rifugiatosi a Lisbona nel dopoguerra e stretto collaboratore del regime di Salazar, e membri delle ss francesi, come lo scrittore Saint-Loup o Pierre Bousquet – aveva riunito gli studenti nazionalisti. Ed è tra i giovani di questa organizzazione che nascerà nel 1968 il Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne (grece, “gruppo di ricerca e studio per la civiltà europea”): la “casa madre” della Nouvelle Droite, la nuova destra intellettuale che, in particolare sotto la guida di Alain de Benoist ha contribuito in modo decisivo a rinnovare il vocabolario e le coordinate ideologiche dell’estrema destra, ad esempio “trasformando” il vecchio razzismo biologico in “differenzialismo”, il modo in cui populisti di destra e razzisti definiscono ancora oggi la loro visione di una impossibile convivenza e meticciato tra culture e popoli. Venner incarnava perciò sia la figura del “guerriero” che quella dell’ideologo, si era formato come de Benoist con gli scritti di Evola e della Rivoluzione Conservatrice tedesca e attraverso la mitologia nordica e indoeuropea (per non dire ariana e nazista). Era così noto nell’ambiente di destra che quando all’inizio degli anni Settanta doveva nascere il Front National, per federare tra loro in quel progetto le diverse componenti estremisti, si era fatto il suo nome prima di quello di Jean Marie Le Pen. Negli ultimi decenni Dominique Venner aveva scelto di continuare la sua battaglia politica “in difesa della civiltà europea” attraverso scritti di taglio storico, era un grande conoscitore dell’opera di Yukio Mishima e di Pierre Drieu la Rochelle e la direzione della Nouvelle Revue d’histoire, pubblicazione apertamente estremista ma distribuita nel circuito della grande stampa nazionale. Aveva scritto anche decine di libri dedicati alle armi e a particolari fasi della Storia militare.

Credi che la morte di Venner potrebbe portare ad una recrudescenza di violenza da parte dell’estrema destra francese?

Questo sembra essere stato l’auspicio di Venner che prima di spararsi dentro la chiesa di Notre Dame aveva postato sul suo blog un messaggio che spiegava le ragioni del suo gesto e in cui sosteneva che per «continuare la mobilitazione (contro il matrimonio gay) saranno necessari dei gesti nuovi, spettacolari e simbolici che (…) risveglino la memoria delle nostre origini: stiamo entrando in un tempo in cui le parole devono essere sostenute dagli atti». Per questo, continuava il messaggio, «scelgo di darmi la morte al fine di risvegliare le coscienze assopite e per insorgere contro il fatalismo. Amo la vita e non mi aspetto nulla dopo la morte, se non la continuità delle mia razza e del mio spirito». Il punto è che per Venner come per una buona parte del movimento sceso in piazza negli ultimi mesi, quella contro i diritti dei gay è solo una parte della battaglia in atto. Per Venner «i desideri individuali distruggono le nostre radici identitarie e soprattutto la famiglia, la base più intima e solida della nostra civiltà millenaria»: radici che oggi sarebbero minacciate soprattutto «dal grande progetto di rimpiazzare la popolazione della Francia e dell’intera Europa» con gli immigrati musulmani. L’ultimo libro di Venner, che l’uomo aveva appena finito di scrivere al momento della sua morte e che sarebbe uscito postumo nel giugno di quest’anno, è intitolato Un samouraï d’Occident, Le bréviaire des insoumis (Un samurai d’Occidente, breviario dei rivoltosi) e fa, ancora una volta, riferimento alla necessità di ribellarsi contro “l’invasione islamica”. Lo ha pubblicato un piccolo editore di destra, Pierre Guillaume de Roux, lo stesso che aveva suscitato un aspro dibattito nel 2012 dando alle stampe l’Eloge littéraire d’Anders Breivik, il pamphlet dedicato dallo scrittore Richard Millet allo stragista di Oslo. Quindi è chiaro che l’orizzonte che emerge dall’immaginario che circola in questi ambienti è quello della “guerra”, o se si preferisce della “guerra razziale”. Oggi a Parigi è molto probabile che ci siano incidenti e violenze, che del resto hanno accompagnato le manifestazioni del genere fin da novembre.

Domenica il composito, fronte del “no” ai matrimoni omosessuali, che va dai neonazisti al popolo delle parrocchie tornerà in piazza. Cosa rappresenta nella società francese questo tipo di mobilitazione?

Da un lato il tentativo di dare una spallata da destra al governo socialista attraverso la piazza, dall’altro il riemergere di una sorta di “Francia eterna” e profonda, quella della provincia rispetto alle metropoli, delle aree più omogenee in termini comunitari rispetto alle zone dove la République ha il volto del melting-pot, infine l’emergere di una coalizione di tutte le fedi – nelle manifestazioni hanno sfilato soprattutto gruppi cattolici, ma affiancati anche dalle maggiori associazioni musulmane del paese, da gruppi protestanti e da piccole realtà delle comunità ebraiche – contro le leggi laiche dello Stato. Per quanto riguarda la destra, accanto ai politici dell’Union pour un Mouvement Populaire, ump, il partito guidato prima da Nicolas Sarkozy e oggi diretto da Jean-François Copé che tenta un’operazione “all’italiana” – vale a dire di mettere la propria bandiera su quanto si muove a destra cercando di far fuori il Front National, specie in vista delle amministrative dell’anno prossimo – agli appuntamenti di piazza contro il “matrimonio gay” hanno partecipato esponenti del Front National e dei gruppi dell’estrema destra extraparlamentare: dagli universitari del Groupe Union Défense al Bloc Identitaire, passando per gli skinheads della Jeunesses Nationalistes e i monarchici dell’Action Française, oltre alle diverse sigle del cattolicesimo integralista e lefebvriano. Il 13 gennaio, alla più grande tra queste manifestazioni – a cui, secondo gli organizzatori, avrebbero preso parte oltre un milione di persone – accanto ai deputati del Front National Gilbert Collard e Marion Maréchal Le Pen, e a Bruno Gollnisch, parlamentare europeo dello stesso partito, ha sfilato anche Nick Griffin, leader del British National Party.

Temi etici e d’identità rischiano di polarizzare sempre di più società complesse messe in tensione dalla crisi, dai processi d’immigrazione e dalla globalizzazione. Un messaggio “reazionario” e nazionalista quanto spazio può conquistare in Europa?

Intanto si deve registrare come la mobilitazione contro il matrimonio per tutti abbia assunto molte delle caratteristiche che ha avuto fino ad oggi la battaglia dell’estrema destra contro l’immigrazione. Un dato reso esplicito da esempio dai toni del Bloc Identitaire, formazione della nuova estrema destra che va oggi per la maggiore che ha spiegato in un proprio comunicato: “E’ il popolo francese che è sceso in piazza, la maggioranza silenziosa che non ha né sindacati né «consigli comunitari rappresentativi» (un riferimento alle istituzioni che riuniscono ebrei e musulmani nel Paese, nda) che parlano a suo nome. In questo la manifestazione contro i matrimoni omosessuali ha indicato qualcosa di fondamentale: manifestando per la difesa della famiglia, i manifestanti hanno voluto difendere la loro identità, perché quando si sente che si sta rischiando di diventare degli stranieri a casa propria e che ci viene rubato il nostro Paese, è la famiglia l’ultimo baluardo di resistenza”. Perciò il problema è che lungo l’asse identità-morale-famiglia emerge ancora una volta la battaglia ingaggiata dalla destra sul welfare e sulla ridefinizione delle stesse regole della partecipazione alla cittadinanza – si tratti di “stranieri” o di “minoranze” – è chiaro che in una fase in cui la crisi è la norma e in cui le biografie degli individui si compiono talvolta senza incontrare mai i servizi e i diritti sociali, una simile propaganda può anche riuscire a fare breccia nella società. In questo senso si può leggere l’abbraccio crescente tra il vecchio mondo centrista conservatore e le nuove destre – ciò che sta accadendo in Francia contro il “mariage pour tous” – e più in generale l’emergere di un sentimento euroscettico che indica in Bruxelles la causa di ogni problema, come già accaduto con gli immigrati nelle ultime stagioni, all’ombra del quale prendono forma sinergie e nuove ipotesi di coalizione. Complessivamente la destra sembra disporre di un proprio “pacchetto di crisi”, con tutte le differenze nazionali e locali, da proporre al malessere sociale diffuso. Temo che in occasione delle elezioni europee del prossimo anno questo fenomeno, già ampiamente visibile, indicherà tutta la sua pericolosità.