POTERI

Come alle banche così alle imprese

Un’analisi del FARE del governo Letta, ovvero come affidarsi ad un repertorio consolidato

Spacciato per programma straordinario, ridà fiato a chi (le imprese) non ha finito le opere con i soldi che ha già preso. Così, come già sperimentato per le banche, si salva chi ha prodotto il danno. Né si blocca la voracità della finanza nel conquistare le città. Continueremo ad abitare, male, in un territorio, di fatto, disastrato e sempre più nelle mani dell’abusivismo criminale.

Il decreto del “fare”, presentato dal governo nella conferenza stampa del 15 giugno, parla le parole di sempre: semplificazione e lavori. Questi ultimi: vecchi da continuare; nuovi da mettere in cantiere. Il tutto riunito nell’adagio, anch’esso certo non inedito, dello “sblocca cantieri”. Niente di nuovo, dunque, se non ci fosse stato un approfondimento presentato dalla ministra alle politiche agricole Nunzia Di Girolamo (Pdl) sul “contenimento del suolo”.

Sembrerebbe, dunque, l’intenzione del governo di riprendere a parlar di città. Su come intervenire con tre miliardi da destinare a opere pubbliche; su come limitare e cercare di contenere l’espansione edilizia e infrastrutturale che, nel nostro paese, aggredisce in maniera incontrollata aree agricole alla voracità di 35.000 ettari l’anno. Come dire che, anno dopo anno, scompare un pezzo di territorio grande quanto circa quattro volte una città come Napoli.

Questo in un territorio che come quantità di suolo coperto, con il suo 7,3%, è il doppio della media europea. E’ stato calcolato che negli ultimi dieci anni case, strade, servizi abbiano mangiato terreno, per circa un 9% in più di quando si sono (2001) seduti a tavola. Un convivio ricco, quindi, di porzioni giornaliere pesate intorno ai 40 ettari.

E’ in questo scenario di cannibalismo dell’abitare (mangiare proprio le forme del territorio che lo dovrebbero garantire) che convivono i due mercati delle costruzioni: quello legale in crisi (come si può leggere nella nostra inchiesta per DinamoPress “Carpentieri Coraggiosi” ) e quello illegale che, secondo il recentissimo Rapporto di Legambiente sulle Ecomafie,sembra surfare sulla crisi essendo passato: dall’essere quotato il 9% (2006), del totale di quanto costruito, all’attuale 17%(2012).

Insomma, a saper leggere bene i dati, sembrerebbe che nel suo “fare” Letta abbia deciso di procedere come se tutto questo non ci fosse. Risuonare la medesima musica con i medesimi suonatori. Affidarsi al repertorio consolidato.

Perché dar credito (tre miliardi) ancora a quelle imprese? Le medesime che foraggiate per attentare al territorio con assi autostradali (pedemontana veneta e tangenziale milanese), per autostrade (tra Agrigento e Caltanissetta), con il Quadrilatero destinato a devastare le Marche, con linee metropolitane bretelle e corridoi viabilistici; hanno lasciato tutto abbandonato e non finito. Le stesse che hanno consumato soldi pubblici senza essere chiamate a rispondere: perché? Chi ha fatto quelle stime di costo, chi le ha validate, chi si è impegnato rispettarle?

Tutto questo al posto per esempio di: rivedere opere, studiare la loro possibile rigenerazione o riconversione almeno per quelle allo stato di progetto; non destinare parte di quei fondi per opere insensate e incrementare il fondo per la prevista indispensabile messa in sicurezza e manutenzione del patrimonio scolastico. Perché?

La risposta si trova nelle città dove, per la prima volta, accade che nella classifica degli investimenti, quelli indirizzati ai prodotti della la finanza prevalgono rispetto quelli del mercato immobiliare della casa; sono le obbligazioni a essere in testa nella hit dei risparmiatori italiani. Questo comporta, come sta avvenendo, che l’alienazione sempre più spinta del patrimonio pubblico, la creazione di fondi di investimento, saranno gli elementi chiamati a disegnare il nostro abitare e le nostre città.

La finanza ha messo la mano sul costruito e vuole continuare a serrare le mani sulla sua gola, così si legge il combinato disposto allegato alla manovra del governo riferito al consumo di suolo.

Una “norma di civiltà” a pesare quanto terreno sia possibile “interessare” con costruzioni. Pesi e misure da definire attraverso la Conferenza Stato-Regioni. Solo che, tanto per restare a Roma, parliamo di un territorio dove sono 59mila sono gli ettari urbanizzati sui 129mila complessivi che costituiscono la superficie comunale!

Un provvedimento assolutamente tardivo che non riscatta neppure quel poco di buonsenso che contiene (sottrarre la destinazione degli oneri di costruzione dalla spesa corrente dei comuni per destinarli finalmente alla manutenzione della città) prevedendo forme premiali per chi recupera ovvero per chi, la finanza di cui sopra, modificando destinazioni d’uso e scegliendo cosa fare di edifici ricevuti dallo stato per un tozzo di pane, avrà, grazie all’altra parola magica “semplificazione” il via libera per fare quello che vuole rispetto vincoli, pareri, allineamenti, demolizioni, ricostruzioni.

Una città di latta. La fine di quella pubblica.