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MONDO

Colombia ancora in piazza contro il governo e i massacri paramilitari

Nelle ultime settimane il paese è stato attraversato da intense mobilitazioni e da una violentissima repressione statale, mentre aumentano i massacri e le stragi dei paramilitari. A Roma ne discutiamo il 24 settembre durante l’iniziativa alla Città dell’Utopia per Mario Paciolla

Dalle rivolte e i massacri polizieschi del 9 e 10 settembre, con l’assassinio da parte della polizia e delle forze repressive di 14 persone nelle due giornate di rivolta seguite all’omicidio poliziesco di Javier Ordonez fino allo sciopero nazionale del 21 settembre, la Colombia sta attraversando una fase di enormi tensioni politiche. La repressione poliziesca si è ripetuta anche lunedì scorso nelle piazze e nelle strade, mentre la sindaca di Bogotá, Claudia Lopez, del partito di centro Alianza Verde, ha dichiarato che la polizia ha disobbedito ai suoi ordini quando ha sparato contro i manifestanti ed ha chiesto una riforma delle forze di polizia, aprendo uno scontro istituzionale con il governo nazionale. Si tratta di una situazione gravissima anche a livello istituzionale. Durissime anche le critiche e le denunce del leader della coalizione di sinistra, arrivata al ballottaggio due anni fa,  la Colombia Humana di Gustavo Petro.

Ieri la Corte Suprema ha emesso una sentenza che impone al governo di cambiare le direttive in termini di ordine pubblico, tutelare il diritto alla protesta pacifica, e chiedere pubblicamente scusa dal vivo sulle radio e in televisione per le violenze indiscriminate compiute in occasioni delle repressioni contro lo sciopero studentesco e sindacale dello scorso anno, così come durante le manifestazioni di queste ultime settimane.

Mentre la tensione politica cresce nel paese e il rifiuto della violenza di Stato si estende nella società colombiana, il senatore dell’opposizione Iván Cepeda ha annunciato che depositerà alla Corte Penale Internazionale una denuncia rispetto all’eventuale responsabilità per crimini di lesa umanità del presidente Iván Duque e il ministro della Difesa Carlos Holmes Trujillo per i massacri e le torture commesse dalla polizia.

 

Foto Colombia Informa

 

Lo scorso lunedì 21 settembre migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città per la mobilitazione lanciata dal Comité del Paro Nacional composto da organizzazioni sindacali, movimenti sociali e popolari in tutto il paese.

 

Lanciata per denunciare la violenza del governo ed i massacri in corso nel paese, chiedere verità e giustizia per i 14 giovani assassinati dalla polizia, esigere una riforma delle forze di pubblica sicurezza, la giornata di mobilitazione rivendicava anche misure a sostegno del reddito per i settori popolari e i lavoratori e le lavoratrici colpiti dalla crisi, a fronte della drammatica situazione che il paese sta attraversando.

Nella capitale Bogotà si sono tenute diverse manifestazioni, tutte poi confluite verso la centralissima Plaza Bolivar, epicentro della scena politica e istituzionale, dove si trova il palazzo presidenziale, il Tribunale, la sede del Municipio della capitale e la Cattedrale. Plaza Bolivar e le strade intorno, la centralissima Carrera Septima e il centro storico, sono state ancora una volta lo scenario dell’ennesima repressione dei corpi antisommossa dell’Esmad, che hanno caricato a freddo la piazza con lacrimogeni, cariche, arresti e violenze che hanno colpito anche tanti giornalisti (sono 33 le violazioni della libertà di stampa tra cui 16 atti di violenza fisica contro giornalisti durante le proteste di settembre secondo la FLIP – Fondazione per la Libertà di Stampa).

 

La criminalizzazione della protesta sociale, la stigmatizzazione e la persecuzione violenta contro movimenti sociali, organizzazioni popolari, giornalist*, universitar*, student*, leader indigeni, è stata ancora una volta la strategia portata avanti dal governo e dai media legati alle grandi imprese.

 

La retorica dell’estrema destra colombiana, che ha addirittura accusato le proteste di essere infiltrate o eterodirette dai gruppi guerriglieri, riproduce linguaggio e delle pratiche proprie della logica della guerra che per decenni ha insanguinato il paese, e prova così ancora una volta a chiudere gli spazi per il dissenso e il conflitto sociale.

 

Foto: Casa Fractal Cali

 

Contro questa logica violenta che il governo continua a riproporre sono scese in piazza migliaia di persone non solo nella capitale ma anche a Medellin e Cali, le altre due principali città della Colombia, ed anche qui la repressione della polizia ha colpito le manifestazioni pacifiche che denunciavano la violenza di Stato. Significative sono state anche le mobilitazioni a Cucuta, Pereira, Bucaramanga e Popayan, la capitale del Cauca, scenario pochi giorni prima di un’altra grande protesta indigena. Oltre cinquemila comuneros e comuneras dei popoli Misak, Nasa y Pijao sono scesi in piazza in difesa della vita, contro l’etnocidio e la devastazione del territorio ed alla fine della manifestazione hanno abbattuto la statua del genocida spagnolo Sebastián de Belalcázar, simbolo del colonialismo, della violenza e dei massacri contro i popoli indigeni. «Chiediamo rispetto per la vita dei nostri leader, delle donne, per i nostri bambini, siamo figli della terra, dell’acqua e del fuoco: non ci hanno mai sconfitti, siamo qui a lottare per la vita con la forza della nostra gente, 485 anni dopo i primi massacri coloniali». Dopo un “processo storico” contro il genocida spagnolo, hanno abbattuto la statua situata su una collina sacra dei popoli indigeni che da migliaia di anni vivono nel Cauca e che oggi continuano ad organizzarsi per resistere all’avanzata estrattiva e alla violenza statale.

Nelle piazze delle scorse settimane, ricostruendo una connessione pratica, politica e simbolica con lo sciopero nazionale degli ultimi mesi del 2019, con la Minga indigena e le manifestazioni studentesche, migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissime, stanno costruendo un nuovo protagonismo popolare basato sulla rivendicazione della pace, sulla denuncia dei crimini di Stato e del modello necropolitico neoliberale, narco-capitalista ed estrattivista.

 

Proprio a partire dalla compresenza strutturale e dalle differenti combinazioni di questi regimi di accumulazione del capitale è possibile comprendere quel che sta avvenendo in questi ultimi mesi ed in particolare durante questa drammatica crisi pandemica in Colombia.

 

Foto: Casa Fractal Cali

 

#NosEstanMasacrando

Con questo hashtag circolano da mesi le notizie su questa ondata devastante di violenza nel paese. Questo aumento esponenziale dei massacri, delle stragi e delle sparizioni, è parte di un regime che combina repressione statale e dispiegamento delle azioni nei territori delle forze narco-paramilitari.  Sono 61 i massacri avvenuti solamente nel 2020, nei territori dove le speranze di pace dopo gli accordi tra il governo Santos e le Farc si stanno infrangendo contro una quotidianità dove la violenza paramilitare ritorna giorno dopo giorno a colpire giovani, leader sociali, donne, militanti ed ex guerriglieri che hanno scelto la via della pace.

Una significativa intensificazione di violenze si è data nell’ultimo mese, quando la Corte Suprema ha decretato la detenzione domiciliare preventiva per l’ex presidente ed attuale senatore di maggioranza, leder del partito di governo, Alvaro Uribe Velez, nell’ambito di un processo che lo vede indagato per le responsabilità nella fondazione del Bloque Metro di Antioquia, una delle formazioni paramilitari più violente della recente storia del paese. Un fatto senza precedenti, al centro di tensioni politiche enormi in Colombia. Come ha scritto Sergio Segura, “l’azione della Corte Suprema potrà avere successo solamente se accompagnata da una mobilitazione di massa, per mettere in crisi definitivamente il futuro di Uribe come leader politico e l’esistenza stessa del Centro Democratico, il suo partito di estrema destra, per lo meno nella sua dimensione guerrafondaia e autoritaria.”  Le formazioni paramilitari, che secondo diverse organizzazioni per i diritti umani sono legate all’estrema destra, ai proprietari terrieri e a diversi settori del governo, hanno intensificato dinamiche di controllo del territorio durante la quarantena, imponendo anche il coprifuoco in alcune zone, al tempo stesso favorendo e sostenendo una nuova avanzata delle frontiere del narcotraffico, in collegamento con i cartelli messicani.

 

Durante gli ultimi mesi migliaia di persone, 11.800 persone solo negli ultimi sei mesi, secondo Indepaz, soprattutto indigeni e contadini, sono state costrette ad abbandonare i propri territori in diverse aree rurali e ad emigrare nelle periferie delle grandi città, mentrele loro terre vengono consegnate ai processi di colonizzazione delle coltivazioni di coca o dei progetti estrattivi.

 

Intanto sono ripresi anche i conflitti armati tra esercito, paramilitari e le formazioni guerrigliere, dalle dissidenze delle ex Farc all’altra gueriglia ancora attiva nel paese, l’Esercito di Liberazione Nazionale, che si era seduto ai negoziati per la Pace stabilendo una tregua unilaterale come dimostrazione di volontà politica di pace, e che dopo la decisione del governo di interrompere unilateralmente i negoziati e riprendere i bombardamente, ha ripreso le azioni armate. Con l’inizio della pandemia, l’ELN ha dichiarato una tregua unilaterale, durata fino a poche settimane fa quando nuovi combattimenti si sono tenuti in varie regioni.

 

Foto: Casa Fractal Cali

 

In risposta ai massacri paramilitari e militari, erano scese in piazza in tanti territori del paese già il 21 di agosto migliaia di persone denunciando le responsabilità del governo. Le stragi compiute da paramilitari, narcotrafficanti e militari hanno colpito giovani, afrocolombiani, attivisti, ex-combattenti, indigeni e donne. Nelle stesse ore in cui si svolgevano le manifestazioni nel mese di agosto, altri 17 persone sono state assassinate tra Arauca, Cauca e Nariño in un solo giorno. Il presidente Duque è stato duramente contestato quando si è recato a Samaniego, Nariño, dopo la strage dove hanno perso la vita 8 giovani: in centinaia hanno gridato “Vogliamo pace e giustizia, basta guerra” accusandolo di connivenza con i gruppi paramilitari.

 

Negli ultimi mesi sono stati diversi i casi di violenta repressione contro il Movimento di Liberazione della Madre Terra, una esperienza molto importante di recupero delle terre ancestrali da parte del popolo Nasa nella regione del Cauca.

 

Nel mese di agosto, la polizia e l’esercito sono entrati assieme alle guardie private dell’impresa Asocaña nei territori del Resguardo Páez de Corinto, liberati dal movimenti indigeno, ed hanno assassinato a colpi di armi da fuoco Jhoel Rivera, comunero del movimento indigeno e Abelardo Lis, giornalista indipendente di Radio Payumat Nación Nasa, colpito mentre faceva le riprese per denunciare la repressione che ha causato diversi altri feriti colpiti da armi da fuoco. I territori indigeni del Resguardo Páez de Corinto sono stati recuperati nel 2014 dalle comunità Nasa, in lotta per recuperare le terre ancestrali usurpate da imprese multinazionali e colombiane legate alle monoculture della canna da zucchero. Scortati dall’esercito, i trattori delle imprese hanno distrutto le coltivazioni delle comunità indigene mentre i militari sparavano sulle comunità in resistenza.

L’Organizzazione Nazionale degli Indigeni della Colombia ha denunciato le gravi responsabilità politiche del governo Duque e la sistematica violazione dei diritti umani e dell’accesso alle terre riconosciute dalla Costituzione come terre ancestrali.

 

Recuperare il proprio territorio, in un paese tra i più diseguali al mondo per l’accesso alla terra e devastato dalla violenza, è una delle principali rivendicazioni dei tanti popoli indigeni in Colombia e in tutta l’America Latina.

 

Foto: Casa Fractal Cali

 

Secondo il Centro Studi per la Pace Indepaz dalla firma degli accordi di pace nel 2016 fino al 15 luglio del 2020, sono stati assassinati 971 leader sociali , 218 ex guerriglieri uccisi dopo aver lasciato le armi. Per quanto riguarda il primo semestre di quest’anno, sono ben 166 leader sociali e 36 ex combattenti a essere stati uccisi, con un incremento pesante durante il periodo di isolamento obbligatorio e di quarantena ancora in vigore nel paese.

In questo contesto di costante violazione dei diritti umani, poco più di due mesi fa, è stato ucciso in circostanze tutt’ora da chiarire Mario Paciolla, cooperante italiano che lavorava per la Missione di verifica degli Accordi di Pace per le Nazioni Unite, che stava accompagnando e sostenendo il processo di pace nella regione del Caquetá. Per chiedere verità e giustizia per Mario, e per tutti i leader sociali, uomini e donne assassinati in Colombia, risulta decisivo costruire spazi di solidarietà internazionale, denunciando le violazioni dei diritti umani da parte del governo e la volontà di affossare gli Accordi di Pace sottoscritti a L’Avana nel 2016 tra le Farc e il governo Santos.

Gli Accordi di Pace costituiscono la premessa per la possibilità di chiudere definitavamente con la logica della guerra ed aprire spazi di lotta per la giustizia sociale e la trasformazione politica. Quello che migliaia di persone, organizzazioni, movimenti, indigeni, afrodiscendenti, donne e uomini stanno provando a costruire giorno dopo giorno e che per questo vengono massacrati, perseguitati, uccisi.

Denunciare quel che sta accadendo nel paese, dare visibilità alle lotte in corso, costruire relazioni e tessere spazi comuni con i movimenti sociali che in Colombia difendono i territori dall’estrattivismo, si oppongono alle devastazioni sociali e ambientali, costruiscono una alternativa alla logica della guerra e del saccheggio capitalista delle vite e dei territori è una scommessa che parte dalla lotta per la verità e giustizia per Mario e per gli attivisti e le attiviste massacrate in Colombia, per andare oltre e costruire possibilità per la trasformazione sociale nella crisi planetaria che viviamo.

Immagine di copertina: Casa Fractal. Manifestazione a Cali, 21 settembre 2020