CULT

Ciao Elena. Un ricordo della filosofa, scomparsa ieri

Fulmineo e violento, il Covid ha strappato ieri alla vita Elena Pulcini, docente presso l’Università di Firenze; studiosa della globalizzazione, della cura, della crisi ecologica. Una filosofa gentile, che aveva il coraggio di pensare la solidarietà quando lo sport amato dai più è censire senza sosta il «male radicale»

Ieri, il Covid si è portato via Elena Pulcini. Filosofa della politica, assai prima che fosse l’ultima moda «per grandi e per piccini» ha dedicato la sua ricerca alla vulnerabilità e alla cura, alla «vergogna prometeica» e alla catastrofe ambientale.

 

Con i piedi ben piantati nel pensiero critico, era curiosa, si lasciava appassionare dai movimenti sociali, dalle idee controcorrente.

 

Si appassionava, e la passioni erano per lei il terreno, la sorgente della politica. Certo, il confronto con le teorie «normative» (Rawls, Habermas e nipoti) era obbligato, per anni sono state il canone d’altronde; ma ogni volta sapeva cercare una via di fuga, un pertugio, semmai accidentato, per andare altrove.

Ho avuto la fortuna di condurre con Elena Pulcini la mia ricerca di dottorato, a Firenze, ormai molti anni fa. La complicità fu immediata: rovesciando il motto della statista amica di Hayek, entrambi pensavamo che non esistono gli individui, ma solo le relazioni.

Lei, raffinata quanto dolce, seguendo Arendt e Weil, il femminismo dell’etica della cura, ma scavando «dentro e contro» il paradigma antropologico della modernità. Io, ammaliato da Spinoza, da Marx e dai francesi – all’epoca, salvo qualche eccezione, ancora maltrattati dall’accademia –, da lei ho molto imparato. Grazie a Elena, mi sono potuto occupare di singolarità, ovvero quanto la sovranità e il mercato hanno in odio, dalle origini.

Le nostre vite si sono poi separate, ma proprio con l’inizio della pandemia avevamo ripreso a scriverci con frequenza. Ho recensito il suo ultimo libro, assai bello e così urgente, esprimendo la mia gratitudine; progettavamo una lunga intervista per DINAMO, che le piaceva tanto.

Poi qualche settimana di silenzio. Non sapevo, ho saputo solo ieri sera. Provo un dolore grande e tanta rabbia.

 

Rabbia, perché intanto il Paese parla delle piste da sci, delle seconde case, dei viaggi all’estero, delle riaperture. Rabbia, perché ogni giorno muoiono in media cinquecento donne e uomini.

 

Rabbia, perché, nel caos delle autonomie regionali e del potere delle corporazioni, non è vero che i più fragili sono stati vaccinati.

Rabbia, perché ci voleva un piano straordinario di finanziamento della Sanità pubblica, invece continuano a fare affari i privati. Rabbia, soprattutto, perché il vaccino dovrebbe essere un bene comune, globale.

Provo dolore per la scomparsa di una filosofa gentile, che aveva il coraggio di pensare la solidarietà quando lo sport amato dai più è censire senza sosta il «male radicale». Che il dolore si trasformi in lotta, sempre; sono certo che Elena ne sarebbe felice.