MONDO

Chiapas. Escuelita de libertad

Ma cos’è questa Escuelita? In cosa consiste questo nuovo strumento caratterizzato da tratti originali e insoliti che il movimento zapatista sta utilizzando per tornare a fare rete con i movimenti messicani e globali, dopo anni di poca comunicazione?

Dal 24 al 30 dicembre 2013 ho avuto la fortuna di partecipare in Chiapas alla seconda edizione del Primo Livello della “Esculita Zapatista; La Libertad para l@s Zapatistas!”

Infatti dopo una prima edizione ad Agosto 2013, l’esperimento della Escuelita si è ripetuto in due corsi, a fine Dicembre il mio ed inizio Gennaio l’altro, intervallati da grandi festeggiamenti per il ventesimo anniversario dell’insurrezione zapatista del 1 gennaio 1994.

Ma cos’è questa Escuelita? In cosa consiste questo nuovo strumento caratterizzato da tratti originali e insoliti che il movimento zapatista sta utilizzando per tornare a fare rete con i movimenti messicani e globali, dopo anni di poca comunicazione?

Il 24 Dicembre, di mattina presto, siamo arrivati in circa 1800 attivisti al CIDECI – La Universidad de la Tierra – , periferia di San Cristobal de Las Casas, per partecipare alla Escuelita. Numeri simili ci sono stati anche nel turno di Gennaio.

Attraverso una organizzazione davvero elevata e ammirevole, i compas ci hanno smistato a seconda del Caracol a cui eravamo stati destinati al momento dell’iscrizione.

Assieme a circa 340 attivisti da tutto il mondo, vengo destinato al Caracol 1, La Realidad. Prima di mezzogiorno parte la nostra lunga carovana di 12 camionette molto precarie attraverso strade altrettanto precarie, verso la Selva Lacandona. Il viaggio è faticoso, con molte soste e vari pezzi da sostituire ai nostri mezzi che si rompono. Arriviamo a La Realidad poco dopo le 22 di sera, e l’arrivo compensa la fatica del viaggio: centinaia di compas ci accolgono calorosamente gridando a pugno teso “Zapata vive! La Lucha Sigue!” e ”Il Pueblo Unido, Jamas serà vencido!”

Ad ogni attivista-studente della Escuelita viene assegnato un Votàn, un “guardiano” cioè una sorta di accompagnotore/trice, membro/a attivo del movimento, che diventa anche traduttore spagnolo/lingua indigena e sopratutto un sostegno per lo studente per capire e approfondire lo zapatismo con l’intensità che solo il rapporto personale può garantire.

La mattina del 25, dopo un momento collettivo sui temi centrali del movimento, veniamo inviati nelle comunità dove ci aspettano le famiglie che hanno deciso di accogliere le coppie di studente + votàn. Ad ogni studente, un votàn; ed a ogni coppia, una famiglia (diversa da quella dell’accompagnatore). Visto quanti siamo e considerata dispersione del territorio, è impressionante lo sforzo che il movimento sta facendo per la Escuelita.

A me capita una famiglia tzotzil della Comunità di Villanueva nel municipio di Tierra y Libertad. Da La Realidad viaggiamo per due ore e mezza con un camion attraverso uno sterrato, nel profondo della Selva, e poi più di un ora a piedi per un sentiero che alterna salite, fango fino alle ginocchia e ponti di legno sospesi su fiumi. Altri attivisti vengono portati in comunità che si raggiungono solo con un ora di navigazione per fiumi o con più ore di cammino per sentieri.

La mia comunità è molto vicina al Guatemala, in una di quelle “Tierras Recuperadas” che l’EZLN è riuscito a sottrarre a grandi proprietari terrieri nel 1994 durante l’insurrezione, e che oggi sono abitate per lo più da famiglie costrette a lasciare le proprie comunità originarie per la pressione militare della controinsurgencia, subita nel corso degli anni ’90.

La Escuelita è quindi anzitutto uno strumento per fare conoscere agli studenti la geografia zapatista, così ricca di storia, di vita e di memoria.

I giorni successivi li trascorro nella famiglia che mi ospita. Alterniamo momenti di vita quotidiana, di lavoro nel cafetal o nella milpa, con pomeriggi in cui leggiamo assieme i testi preparati per la Escuelita e ci confrontiamo sulle sfide presenti del movimento zapatista.

L’Escuelita quindi parte dal presupposto che tutti possono insegnare lo zapatismo, perchè esso è teoria e pratica assieme (caminar preguntando, dissero alcuni anni fa), esso è vita vissuta ed è Resistenza. L’Escuelita crede che proprio fondendo il personale con il politico, in un eccezionale rapporto peer-to-peer, si possa apprendere e si possa condividere.

Questo rapporto poi riesce a costruirsi in modo realmente orizzontale: il tipico gap Nord/Sud che viviamo quando ci relazioniamo con popoli del “Sud”, che di solito viene coperto con relazioni di aiuto/potere, qui viene completamente eliminato. Ti senti a fianco di una famiglia, senti che hai molto da imparare da loro e che loro sono curiosi e interessati a quello che sei e che vivi tu. Uno scambio del genere è purtroppo raro da sperimentare in contesti postcoloniali così marcati invece da verticalità e dipendenza.

Il movimento non ha paura di mostrarsi nudo agli studenti giunti in comunità, espone chiaramente progressi e debolezze, problemi e sfide che si trova ad affrontare. Si parla molto dell’Autonomia così faticosamente strappata al governo, che si fonda nei tre livelli decisionali, le comunità, i municipi e i sei Caracol governati dalle “Giunte di Buon Governo”. Ma Autonomia oggi è anche il BANPAZ, il Banco Popolare Autonomo Zapatista a cui si può chiedere prestiti per spese mediche a tassi bassissimi. Autonomia sono le decine di scuole e di Promotori di Educazione e le decine di microprogetti di lavoro collettivo per pagare viaggi, spese e per sostenere il movimento. Autonomia è anche la gestione della giustizia, e vengono raccontati episodi esemplari, come quello di un gruppo di migranti dal Centro America che era di passaggio in Chiapas verso gli Stati Uniti, sotto il controllo di un trafficante, il pollero. Il gruppo di guatelmaltechi e honduregni viene liberato mentre il trafficante viene costretto per giorni a svolgere lavori per la collettività e tutto questo senza armi “perché è la coesione del popolo e la nostra partecipazione l’arma più forte”.

L’attacco più grande che il movimento sta vivendo ora è quello dei progetti economici del governo messicano nelle comunità, finalizzati a dare denaro o beni materiali in modo assistenzialista e poco trasparente a chi abbandona lo zapatismo. I compas spiegano che questo attacco è oggi peggio anche del paramilitarismo (che pure in altri Caracol è ancora diffuso), perchè spezza le comunità in modo spesso irreparabile, umilia e sottomette le persone, e indebolisce la costruzione di Resistenza realmente collettiva.

Mi sono chiesto spesso nei giorni nella Selva cosa significasse per gli zapatisti la libertad, a cui era intitolata la scuola. La risposta che mi sono dato è che, per loro, libertà è anzitutto autodeterminazione collettiva e comunitaria che crea autonomia dal governo e dal sistema neoliberista. Credo che nel nostro quotidiano troppe volte siamo costretti a rinunciare a questa libertà collettiva o la esercitiamo solo negli spazi territoriali che difendiamo, mentre ci limitiamo a perseguire le legittime libertà personali e individuali. Considerando invece le molte battaglie collettive che abbiamo perso in questi anni, (per il diritto ad un lavoro dignitoso e sicuro, per scuola e università pubbliche, per la tutela dell’ambiente) mi pare che in alcuni di questi ambiti, ogni tanto facciamo fatica anche solo a sognare di poterci autodeterminare collettivamente fino ad essere autonomi e quindi liberi dal neoliberismo.

Invece gli zapatisti ci credono pienamente, costruiscono ogni giorno questa libertà collettiva, e fanno pure uno sforzo enorme per condividerla, contaminandoti con una speranza e con una dignità che in certi momenti ti sconvolgono, in altri ti commuovono.

Mi colpisce quanto lo zapatismo, oggi come 20 anni fa, riesca a trovare un equilibrio straordinario e geniale tra due elementi. Da un lato il suo essere una lotta specifica e territoriale che non si lascia annacquare da nessun presunto universalismo – è, e rimane una lotta indigena in un paese in cui gli indigeni vivono una quantità infinita di discriminazioni. – Ma dall’altro lato il movimento sa interpretarsi sempre in chiave sistemica come lotta che è parte della Resistenza globale contro il neoliberismo, così da intrecciarsi al movimento internazionale e da evitare completamente il rischio di degenerazioni nazionalistiche o localistiche della propria battaglia.

Prima di lasciare la mia famiglia allora domando “Ma perché per voi è così importante il rapporto con gruppi di internazionali?” Alla mia domanda rispondono un po’ tutti, la madre, il mio votàn e il figlio maggiore che mi dicono convinti “Se anche un giorno il Chiapas tutto fosse libero sarebbe solo uno. Il neoliberismo ci costringe a queste condizioni di povertà e sfruttamento, e lo fa qui come nel resto del mondo. Non saremo mai davvero liberi finché non lo saremo tutti. Vogliamo condividere con voi la nostra autonomia e la nostra Resistenza perché una volta ritornati nel vostro paese, all’interno dei vostri contesti e nella forma e modalità che riterrete opportune possiate costruire anche voi autonomie e Resistenze al neoliberismo. E questo poi lo dice anche il nostro slogan, Para todos todo! para nosostros nada!, Te lo ricordi no?”

Eh già,… e come potrei mai dimenticarlo?