editoriale

Cassa Depositi e Prestiti: dietro lo scontro sulle nomine il fiato corto del governo

Lo scontro che si è aperto sulle nomine dei vertici della Cassa Depositi e Prestiti, e che ha portato all’ennesimo rinvio di una settimana, è illuminante della situazione in cui si trova il governo Lega-5Stelle. Su quelle nomine si intrecciano infatti diversi conflitti

Ve n’è uno che vede contrapposti il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, da una parte, e i due maggiorenti della  coalizione di governo, Salvini e Di Maio, dall’altra.

Essendo il primo di profilo “tecnico” e, di conseguenza, fedele guardiano della stabilità dei conti sulla quale sta particolarmente premendo la Commisisone Europea, ed essendo i secondi necessitati a trovare in qualunque modo risorse per poter almeno avviare qualcuna delle innumerevoli promesse agitate in campagna elettorale e scritte nel contratto di governo, questo scontro avviene non tanto sulle persone che rivestiranno gli incarichi di Amministratore Delegato e di Direttore Generale, quanto sulle competenze dell’uno (che verrà nominato dal Ministro dell’Economia) e dell’altro (che dovrà uscire dal confronto fra Lega e M5Stelle), sulle rispettive deleghe e limiti dell’operatività. Un governo duale che rischia di trasformarsi in conflitto permanente, sia ora che a nomine avvenute.

C’è tuttavia un secondo conflitto legato alle nomine Cdp, che questa volta vede contrapposti Lega e 5Stelle. Passata l’ubriacatura elettorale, diventa infatti sempre più evidente come, date le compatibilità promesse e le consegenti risorse disponibili, il nuovo governo si  appresti a varare nel prossimo autunno una Legge di Bilancio in cui tutte le promesse elettorali di cui sopra non solo non potranno essere realizzate, ma neppure accennate.

C’è poco da girarci intorno. Se, aldilà di roboanti dichiarazioni stampa contro le politiche  di austerità, si decide di stare dentro la trappola del debito e dentro i vincoli di bilancio prefissati dall’Unione Europea, il quadro è tanto chiaro quanto desolante: data la frenata della ‘crescita’ prevista da Banca d’Italia e Fmi, e data la prossima fine -o comunque trasformazione al ribasso- del Quantitative Easing della Bce di Mario Draghi, vanno da subito trovati 8 miliardi anche solo per mantenere la situazione di deficit attuale.

Figuriamoci se, in questo contesto, qualcuno possa anche solo accennare al “reddito di cittadinanza”  grillino o alla Flat Tax leghista.

E allora lo scontro su Cassa Depositi e Prestiti assume i contorni di una guerra fra i due maggiori partiti per vedere chi, riuscendo a mettere le mani sul tesoretto di Cdp, possa almeno provare a scontentare di meno il proprio elettorato rispetto a quello dell’altro.

Perchè una cosa sembra chiara a tutti gli attori in campo: dopo aver sbandierato a destra e a manca l’arrivo della nuova era, sarà difficile continuare ancora a lungo a canalizzare la collera sociale – inventandosi un’emergenza migranti che non esiste – al grido razzista di “prima gli italiani”, se poi quegli stessi italiani chiamati a raccolta non vedono alcun cambiamento concreto delle loro condizioni di vita.

Resta un assordante silenzio che circonda i duelli in corso: quello dei movimenti sociali, delle comunità territoriali e dei Comuni consapevoli, che sull’utilizzo – decentrato, diffuso, partecipativo, finalizzato all’interesse generale – dei 300 miliardi di risparmio postale in pancia a Cassa Depositi e Prestiti saprebbero da subito cosa fare: avviare l’inversione di rotta verso un modello sociale in cui le vite (di chi c’è e di chi arriva) vengano prima del debito, i diritti prima dei profitti, il “comune” prima della proprietà.

 

Articolo apparso sul sito di Attac Italia