ROMA

Case popolari: Ater a rischio fallimento stacca riscaldamento a inquilini

Nelle scorse settimane, l’Ater aveva iniziato a staccare il riscaldamento agli inquilini delle case popolari che non riescono a pagare le bollette. La loro protesta ha imposto il ripristino dell’erogazione del gas, ma è il modello di gestione dell’abitare che va cambiato.

Da quando è arrivato il freddo, continuano a moltiplicarsi le segnalazioni in molti quartieri di Roma, dove centinaia di famiglie sono state lasciate dall’Ater senza riscaldamento o con questo ai livelli minimi. Una scelta draconiana e semplicemente contro qualsiasi forma di  buon senso e rispetto delle condizioni di fragilità, una violazione dei più basilari diritti, a cui ci sembra abbia fatto da apripista il famigerato articolo 5 del piano casa, che permette di staccare le utenze agli occupanti abusivi.

Ora, dopo le proteste degli inquilini, l’Ater si è decisa a normalizzare la situazione. Come si legge in una nota: «In considerazione dei numerosi solleciti ricevuti dalle associazioni degli inquilini nonché dagli utenti stessi, l’Azienda, pur nell’attuale situazione di sofferenza finanziaria, ha deciso di mantenere gli orari contrattuali di funzionamento degli impianti termici centralizzati».

Ma la chiusura dei riscaldamenti o la loro erogazione a singhiozzo, è il risultato di una precisa scelta da parte dell’Ater, rivendicata esplicitamente anche nel comunicato di cui sopra, annunciata negli scorsi mesi: negli stabilimenti degli inquilini morosi l’azienda aveva infatti annunciato che si sarebbe proceduto con il taglio del gas. E così è stato. L’ente che gestisce le case popolari a Roma è schiacciato dai debiti e ha scelto di cominciare a raccogliere qualche soldo dagli ultimi, da chi non riesce a pagare le bollette.

Decenni di malagestione rischiano così di provocare una vera e propria emergenza sociale, scaricando i costi verso il basso. Così, la campagna contro gli inquilini senza titolo facoltosi, rischia di giustificare lo sgombero di tanti inquilini senza titolo che hanno occupato costretti dalla necessità.  Allo stesso modo, se si vuole davvero fermare l’odioso fenomeno della compravendita a nero delle case popolari all’interno di un circuito che alimenta l’economia criminale, l’unica vera possibilità è proporre una soluzione dignitosa per chiunque ne abbia diritto, non rivendicare il rispetto di graduatorie infinite che non rispondo all’emergenza abitativa.

Ieri, centinaia di inquilini con e senza titolo hanno manifestato davanti alla Regione Lazio, in rappresentanza dei comitati sorti in diversi quartieri della città e del sindacato Asia-Usb, ottenendo un incontro con i gruppi consiliari. Sul piatto, molte questioni: le politiche per l’emergenza abitativa, la costituzione di una commissione di inchiesta sulla gestione dell’edilizia cooperativa e convenzionata, il rifinanziamento del piano decennale per la casa, la tutela degli inquilini degli enti previdenziali.

Il patrimonio immobiliare pubblico potrebbe essere una risorsa incredibile, essendo in grado al contempo di soddisfare un diritto basilare e insieme di costituire il primo mattone di un’abitare comune. Invece, assistiamo all’abbandono di questo patrimonio, lasciato letteralmente marcire e cadere a pezzi, mentre la guerra tra poveri si scatena per accaparrarsi un alloggio e le istituzioni tentano di capire come far quadrare i conti. C’è un’alternativa: ma per praticarla bisogna mettere da parte le logiche da ragioniere e coinvolgere chi abita la città comune.