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Cannes #1: Cannes nella Francia dei Gilets Jaunes

Cannes è iniziato anche quest’anno sotto il segno della politica con le dichiarazioni anti-trumpiane di Iñárritu e i primi film in sala. Dalla critica moralistica al capitalismo di Jim Jarmusch che ha aperto il Festival con la parodia horror “The Dead don’t Die” al film di Ladj Ly sulle banlieues, “Les misérables”, nella Francia dei Gilets Jaunes, il cinema porta sullo schermo il dibattito politico attuale

Nella 72ima edizione di Cannes i Gilets Jaunes rimangono apparentemente sullo sfondo. Nella Francia macroniana e neoliberista, Cannes rimane il punto di resistenza di un’economia che si vuole antica, aristocratica, tradizionale, come rende chiaro il manifesto di un giovanissimo e bellissimo Alain Delon, che finalmente mette in immagine il maschile, ma – come è stato sottolineato dalla bufera di critiche – di un uomo omofobo e vicino al Front National di Le Pen. Nel frattempo, a Parigi, imperversa il dibattito sul film di Ruffin e Perret, a metà tra fiction e cinéma du reél, la prima opera sul movimento dei Gilets Jaunes che per 27 settimane ha conquistato le strade delle città di tutta Francia. « Je veux du soleil !» è stato al centro di moltissime proiezioni in piazza e ha prodotto un acceso dibattito anche tra i Gilets Jaunes, tra chi ha ritenuto che il film finalmente smonti gli stereotipi e i cliché sul movimento e chi lo ha giudicato troppo centrato sulla figura del regista che tenta di rafforzare il suo ruolo politico.

 

 

Durante la cerimonia di presentazione, sia l’attore-presentatore Édouard Baer che il presidente della giuria Alejandro González Iñárritu hanno esplicitamente sostenuto l’importanza dello stare insieme in una sala cinematografica, rivendicando la visione collettiva contro quella privata dell’home video. Alle spalle ci sta tutta la polemica ormai biennale con Netflix, i cui film anche quest’anno non sono stati selezionati nel concorso principale per l’impossibilità di trovare un accordo tra chi vorrebbe dare la precedenza alla distribuzione nazionale nelle sale cinematografiche (il delegato generale di Cannes Thierry Frémaux) e la piattaforma più utilizzata a livello mondiale, che, invece, non ha retrocesso sulla contemporaneità dell’uscita dei film in sala e a casa. I film prodotti da Netflix, tuttavia, saranno alla Quinzaine e al Marché.

La critica al sistema capitalistico e sociale attuale che prova a non scadere del tutto nella mera autorappresentazione dell’industry sulla Croisette, viene, come è accaduto anche l’anno scorso con la “marcia delle donne” partecipanti al Festival, da alcune figure, come lo stesso Iñárritu, che si è espresso contro il muro Messico-USA di Trump in coda alla conferenza stampa ufficiale. Il regista si è pronunciato duramente contro le politiche di Trump sottolineando come, anche nel contesto di Cannes, non si possa dimenticare il destino dei “fratelli messicani”, che erano stati anche al centro dell’installazione virtuale Carne y Arena, premiata sempre a Cannes nel 2017. E poi, naturalmente, i temi politici vengono agitati anche dagli stessi film.

 

Credit : Abbot Genser / Focus Features © 2019 Image Eleven Productions, Inc.

 

Jim Jarmusch ha aperto il Festival con The Dead don’t Die, film che sulla scia di Only Lovers Left Alive, torna sul tema della fine del mondo, rappresentato da un cinema horror e di genere mimato e sconfessato in versione indy. Il film si svolge a Centerville, in un luogo sperduto dell’Ohio, diviso tra persone ai margini della società, strenui sostenitori della whiteness, polizia, ragazzi detenuti al riformatorio: insomma gli Stati Uniti di Trump. A causa delle operazioni di fracking sui due poli, l’asse terrestre si è spostato e il cataclisma ecologico è ormai divenuto realtà a tutti gli effetti. È così che inizia questa Notte dei morti viventi rivisitata e citata, a cui manca però la tensione, la ritmica e l’ansia dell’horror, mentre emerge in primo piano, forse in modo fin troppo didascalico, il tema politico. Infatti, a causa del collasso ecologico, si risvegliano gli zombie. Ma chi sono questi zombie?

 

Credit : Frederick Elmes / Focus Features © 2019 Image Eleven Productions, Inc.

Se tutti sono incantati dagli schermi del proprio smartphone, alcuni reclamano xanax e altri ancora caffè: nel mondo del capitalismo avanzato i morti che si risvegliano ritornano ossessivamente sulle dipendenze consumistiche di cui soffrivano in vita. Ma nell’”apocalisse pop” e “zombie” di Jarmusch il finale e il destino di tutti i suoi personaggi (da Swinton a Iggy Pop, da Gomez a Buscemi e Murray), pure se a prima vista già scritto, si apre a due risoluzioni diverse: alla possibilità di una salvezza che viene da altrove, oppure alla morte prodotta dal sistema economico e politico. Dead don’t Die, come canta il country di Sturgill Simpson, ci indica che il futuro che sembra già tutto incluso in uno script predefinito, si può riscrivere differentemente.

 

 

Al realismo di Victor Hugo si ispira invece Les Misérables di Ladj Ly, che si rifà all’esperienza dei riots nelle banlieues del 2005. Il film si apre, come nelle più note immagini che ritraggono le lotte dei Gilets Jaunes, sullo sfondo dell’Arc de Triomphe durante i mondiali del 2018 al suono della Marsigliese. Il centro di Parigi viene visitato dai banlieusards solo durante l’unificazione temporanea prodotta dalla vittoria calcistica, per poi tornare nella ripetizione monotona degli edifici da dodici piani tutti uguali della periferia. Il film racconta la crisi profonda del patto “nazionale” ed europeo che si fonda su diseguaglianze ed ingiustizie permanenti, sul razzismo di fondo, sull’oltrepassamento continuo della soglia che conduce alla guerra civile. L’occhio della telecamera, che il regista, come da dichiarazioni in conferenza stampa, considera un’”arma”, è anche l’occhio superiore del drone che vede dall’alto il conflitto tra la polizia locale e un gruppo di ragazzini,  nonché  le ingiustizie perpetrate a colpi di flashball. Lo scontro osservato è sia verticale (della banlieue contro la polizia) che orizzontale (dei diversi gruppi tra loro) e nella progressione del film non risparmia nessuno, perché come notava lo stesso Hugo, ogni politica è autrice dell’educazione che produce. Se i Gilets Jaunes, le cui manifestazioni sono all’ordine del giorno da diversi mesi in Francia, rimangono sullo sfondo, anche nei film di Cannes si tematizza la crisi radicale delle istituzioni politiche ed economiche attuali e l’efferatezza poliziesca nel gestirla. L’Arc de Triomphe, i flashball: anche Ladj Ly ci sta dicendo che il trattamento che prima veniva riservato alle sole banlieues si è esteso a macchia d’olio, come cifra della politica francese. E non solo.