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Brava gente? Il Del Boca “cinematografico” e la decostruzione di un mito

Che ruolo hanno film e media nell’opera dello storico di Novara? Un breve excursus, tra la partecipazione a Inconscio italiano di Luca Guadagnino agli appunti su Il Leone del deserto di MustaphaAkkad

Nell’autunno del 2011, tra le stanze dell’Institute for Ethiopian Studies di Addis Abeba, iniziavano a prendere consistenza le voci di un possibile riconoscimento all’attività di ricerca di Angelo Del Boca, nome tenuto in altissima considerazione dagli studiosi dell’istituto. Il tutto si concretizzò qualche anno dopo, quando gli fu conferito il titolo di Doctor of Letters honoris causa dalla Addis Ababa University.

Per la prima volta, questo titolo veniva assegnato a uno storico straniero che aveva ricostruito le vicende del colonialismo italiano prestando particolare attenzione non solo allo studio dei documenti dei colonizzatori, ma anche alla prospettiva e alle storie di chi subì le loro violenze. Sempre nel 2011, usciva il film-saggio Inconscio italiano diretto da Luca Guadagnino. L’opera intesse un dialogo tra materiali audiovisivi di propaganda sull’invasione dell’Etiopia e le parole di studiosi che commentano le brutalità fasciste e la struttura razzista dell’impero dell’Africa Orientale italiana. Tra queste voci, spicca proprio quella di Angelo Del Boca.

Seduto nel suo studio, avvolto dai libri, ripercorre la storia dell’espansionismo italiano. La lucidità delle sue osservazioni e la nitidezza dei suoi ragionamenti disinnescano il portato propagandistico dei filmati di propaganda: le immagini d’archivio, spogliate dal loro significato originale, acquisiscono un valore tutto nuovo in quanto la mediazione e ri-mediazione dello storico permette loro di parlare al presente della società italiana, sovraesponendole eredità razziste eautoassolutorieche agiscononella contemporaneità.

Questo è un processo tutt’altro che scontato, in quanto la complessità del rapporto coloniale – delle strutture epistemiche, politiche ed economiche che esso ha generato – è sovente analizzato attraverso strumenti concettuali altrettanto sofisticati. Raccontare in maniera chiara delle vicende legate all’espansionismo è una qualità rarae Del Boca in ciò eccelleva.

In queste ultime settimane si sono moltiplicati i messaggi e i ricordi legati alle tante attività del giornalista e storico novarese. Nella sua vita egli ha coniugato la lotta al nazifascismo e quella alle letture autoassolutorie del passato nazionale, declinate in particolare negli splendidi studi sull’espansione coloniale italiana nel Corno d’Africa e in Libia.

L’esperienza nella Settima Brigata Alpini di Giustizia e Libertà, e in particolare il suo impegno nel piacentino contro la 162esima divisione Turkestan, sono state decisive in questo percorso. Non è un caso che la sua prolifica parabola narrativa e di ricerca si sia aperta (Dentro mi è nato un uomo, 1947) e chiusa (Nella notte ci guidano le stelle, 2015) con riflessioni sull’esperienza partigiana. E non è un caso che nel 1965, anno del suo primo lavoro sulla storia coloniale italiana (La guerra d’Abissinia), uscì anche I figli del sole, scritto insieme a Mario Giovana: una raccolta di articoli giornalistici sulla dimensione transnazionale del nazi-fascismo e di come i suoi lasciti si siano annidati nelle società uscite dal secondo conflitto mondiale.

Nel dialogo metaforico tra queste due opere si scorgono alcuni elementi chiave per comprendere la sua prospettiva critica: l’espansionismo quale laboratorio per le atrocità perpetrate durante il secondo conflitto mondiale; il fatto che le identità nazionali di stati “periferici” nella geografia dell’imperialismo hanno avuto, come loro “lato oscuro”, la colonialità; la consapevolezza che l’imperialismo non sia finito con la decolonizzazione.

Temi questi che latentemente connettono la monumentale tetralogia pubblicata da Laterza su Gli italiani in Africa Orientale e i volumi sugli Italiani in Libia e che trovano sintesi nel celebre Italiani, brava gente?, titolo questo che riprende il celebre film di Giuseppe De Santis uscito nel 1965. Tuttavia, è il punto di domanda posto da Del Boca alla fine del suo titolo – interrogativo che non compare nel nome del film – che sottintende un ribaltamento rispetto al ritratto tutto sommato positivo degli italiani mandati sul fronte sovietico descritti da De Santis.

Angelo Del Boca per primo ha posto in luce come la costruzione del mito degli “Italiani brava gente” sia avvenuta non semplicemente per amnesie e dimenticanze, ma attraverso azioni politiche e culturali definite e definibili, quindi osservabili con metodo storico-critico.

Esempio è la trattazione della vicenda del film del regista siro-americano Mustapha AkkadIl Leone del deserto (1981). Nel film, per usare le parole dello storico, si “narra l’epopea del capo partigiano” Omar al-Mukhtàr, che si oppose strenuamente alla colonizzazione italiana e che fu impiccato dai fascisti nel 1931. Giudicato «lesivo dell’onore dell’esercito italiano», il film non ottenne il nulla-osta di censura. Fu quindi proiettato quasi di nascosto in alcuni cineclub, oppure in lingua originale inglese in eventi quali il Rimini cinema (1988) o il Festival dei popoli (2002).

L’ostracismo nei confronti del film, per Del Boca, è parte di una “più vasta e subdola campagna di mistificazione e di disinformazione, che tende a conservare della nostra recente storia coloniale una visione romantica, mitica, radiosa. Cioè falsa” (Italiani, brava gente, p. 85). La vicenda di questa pellicola viene quindi usata come esemplificativa di tutta una serie di strategie del silenzio che hanno volontariamente estromesso dal dibattito pubblico l’analisi delle pagine più efferate e violente della storia d’Italia.

Ciò che colpisce nella sua opera non è semplicemente la quantità di fonti mobilitate a servizio di una ricostruzione puntuale e tagliente dei fatti politici, militari e sociali sull’oltremare, ma anche lo sguardo panoramico con cui ha intrecciato vicende più sfumate e in apparenza secondarie, che tuttavia hanno contribuito alla sedimentazione di un immaginario positivo e autoassolutorio della vicenda coloniale.

Ad esempio, l’attenzione all’impianto iconografico e in particolare cinematografico a supporto dell’espansionismo fascista ritorna sovente nei suoi volumi: i servizi dell’Istituto Luce sarebbero stati lo «strumento più appropriato» per educare alle presunte differenze razziali. Anche i film fiction sull’impero contribuirono diffondere immaginari strumentali al dominio, mostrando tuttavia anche «il mondo dei bianchi con le sue contraddizioni, i suoi vizi, e i suoi delitti», considerazioni che hanno anticipato linee interpretative che sarebbero maturate anni dopo.

L’intrecciarsi senza soluzione di continuità di politica espansionistica e rappresentazione cinematografica emerge poi nella ricostruzione di alcune delle missioni esplorative che originarono alcuni celebri filmati dal taglio etnografico, uno su tutti il resoconto della spedizione Franchetti in Dancalia del 1929. Del Boca puntualizza che la missione e il film furono in realtà occasione per intessere dei contatti segreti con i Ras che si opponevano al potere centrale del Negus e che avrebbero potuto sostenere l’Italia in una futura invasione dell’Etiopia.

Questi esempi provano ulteriormente lo sguardo aperto e meticoloso di una figura enorme, la cui opera non è stata solo innovatrice, ma anche profonda e matura sin dalla sua origine. Nella sua vita Del Boca scelse una parte contro i nazi-fascisti; il modo con cui hai studiato e raccontato il colonialismo italiano, i suoi rivoli e i suoi meccanismi politici e culturali, è dalla parte del rigore scientifico, dell’impegno critico e della comprensione di come quel passato abbia riverberato nell’Italia del dopoguerra e in quella del presente.

Il suo lavoro ci ricorda che quella vicenda non è un capitolo chiuso, e invita ad uno sforzocontinuo per scandagliare una memoria coloniale carsica, che riemerge e ritorna minacciosamente nella percezione dell’alterità nazionale, nei dispositivi che regolano l’accesso alla cittadinanza, nelle pratiche discriminatorie che permeano la contemporaneità.

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Immagine di copertina: di anonimo – Trenta anni di vita italiana di Pietro Caporilli, vol I Nastasi editore, pag 290, Pubblico dominio