MONDO

Brasile, il paradiso può attendere

Un racconto dal paese che attende i mondiali di calcio 2014. Tra le contraddizioni della crescita economica, movimenti e conflitti sociali, un nuovo assalto alle enormi risorse naturali del paese.

Nel candomblé brasiliano, religione sincretica e totemica africana trapiantata in Brasile all’epoca delle deportazioni coloniali, Xango é l’orixà vendicatore: ha un carattere collerico e imprevedibile ed un temperamento violento, é un giustiziere che castiga i malvagi e riporta l’equilibrio dopo un passaggio distruttore, per queste caratteristiche è spesso stato assurto a simbolo di riscatto degli schiavi contro i colonialisti. La sua indole coraggiosa fa di lui un cacciatore: dai suoi amori si generano altri orixas minori, alcuni semidei che, mescolati tra gli uomini, crearono stirpi semi-divine. Come in altre filosofie religiose, la cosmogonia animista crede fortemente che dallo scontro tra le forze elementari nasca continuamente il mondo e che la continuità con l’universo e la natura si acquisisca attraverso l’abbraccio di una forza sacra che fluisce in tutte le cose, un caos creatore contenuto in tutti gli esseri viventi.

Il Brasile é un gigante nervoso ed impaziente come il suo orixà: luccicano come le sue lame alcuni quartieri delle megalopoli, ma meno splendente é l’astro che illumina molti altri agglomerati urbani in cui si stima vivano quasi 12 milioni di persone lungo tutto il paese; il colore verde-oro della bandiera nazionale “ordem e progresso” ha assunto progressivamente tinte piú fosche, fino a virare ad un tono piú cupo: verde petrolio.

Dal 2003 in avanti, una nuova corsa spasmodica é iniziata nel paese piú ricco di risorse naturali di tutto il Sud America, la quale non ha risparmiato nemmeno ciniche polemiche sulla paternitá federale o statale dei profitti ricavati dallo sfuttamento dell’oro nero, ed un impulso senza eguali (negli altri Brics) é stato dato alla ricerca di giacimenti sia interni che off-shore e conseguentemente alle trivellazioni per sfruttare, anche attraverso tecnologie di fracking, enormi quantitá di idrocarburi.

Un sintomo conosciuto agli economisti piuttosto che ai medici, il cosiddetto “male olandese” si profila all’orizzonte brasiliano, una febbre che sembra aumentare inesorabilmente la temperatura sociale del paese, oltre che contribuire fortemente a quella globale: la relazione esistente fra la repentina allocazione di investimenti economici governativi per lo sfruttamente delle risorse naturali, in un settore decisamente capital-intensive ed il parallelo declino del settore manufatturiero con vocazione invece fortemente occupazionale. Ovvero quando la scoperta di ciclopiche quantitá di idrocarburi possa rappresentare una condanna piuttosto che una fortuna, facendo innalzare troppo rapidamente la rendita proveniente dalle commodities del nuovo settore estrattivo, innescando una spirale di deindustrializzazione e facendo crollare la competitivitá dei settori precedentemente sviluppati, dei suoi indotti e dei servizi ad esso collegati. Essa causa l’apprezzamento dei tassi di cambio della moneta e comporta la ripida salita dei prezzi delle materie prime, degli investimenti stranieri, dei sussidi e dei finanziamenti esteri al debito pubblico. Il Brasile finora ha minimizzato il fenomeno, rallentando tale aumento, in un periodo favorevole di forte crescita dei prezzi delle materie prima, conservando una parte di queste rendite in fondi speciali all’estero per poi riportarli dentro il paese poco alla volta. E’ stato possibile perché di fatto il paese era in presenza di un surplus pubblico e perché al momento consuma internamente la totalità del greggio che estrae, riuscendo a tenere sotto i livelli di guardia l’inflazione strutturale (che inizia però a dare segni di instabilità), ma nei prossimi anni, se punterà come è intenzionato, ad esportare globalmente questo bene dovrà compiere complesse manovre monetarie e tributarie per l’attenuazione di fenomeni di dissesto economico.

La gara per l’esplorazione e lo sfruttamento dell’immenso campo off-shore di Libra ubicato nel bacino di Santos che secondo l´Agenzia Nazionale del Petrolio (ANP) ha un potenziale estrattivo di greggio in situ stimato tra gli 8 e i 12 miliardi di barili di petrolio e 120 miliardi di metri cubi di gas all’anno, e’ stata assegnata a un consorzio sino-europeo composto per il 40% dalla britannico-olandese Shell e dalla francese Total (20 % ognuno) e per il 20% dalle due statali cinesi CNPC e CNOOC (10% a testa), nonchè partecipato per il 40% dalla Petrobras (la societá nazionale degli idrocarburi a capitale misto pubblico-privato). La concessione avra’ una durata di 35 anni e non sara’ rinnovabile. Alla gara ha partecipato il solo consorzio vincitore, che si e’ aggiudicato l’appalto per il valore minimo previsto con un “profit oil” in favore delle autorita’ locali del 41,65% della produzione totale. Le societa’ del consorzio dovranno versare alla firma del contratto “solo” 15 miliardi di Reais (ca. 4,5 mld di Euro). Questa seppur considerevole somma di denaro é pari solo ad 1/20 della rendita che il giacimento potrebbe generare per lo stato brasiliano ma il governo di Dilma Roussef ha concluso questo accordo giustificandolo con l’ottenimento di ingenti royalties (ca 330 miliardi di euro per i 35 anni) da spostare sul nuovo piano di istruzione e sanitá nazionale, dopo essere stata inchiodata alle sue responsabilità dalle recenti dimostrazioni di piazza…comunque briciole, per un paese con un tale tasso di analfabetizzazione e dalle condizioni critich in cui versa il sistema sanitario nazionale.

Non é nuovo il paese alle febbri: la prima coinvolse i colonozzatori portoghesi sul finire del XVII sec. che scoprirono l’oro e cominciarono ad aprire e coltivare miniere nell’ínterno del paese. Queste, soprattutto nel secolo successivo, avranno un peso determinante nell’economia locale e nello sfruttamento della manodopera degli schiavi e furono presto oggetto di contesa tra l’aristocrazia e la corona portoghese determinando un crescente malcontento tra nuovo e vecchio continente e contribuendo all’indipendenza ed alla formazione del nuovo stato. L’estrazione di metalli rari e preziosi prevede tutt’ora l’utilizzo di cariche detonanti per sbriciolare le rocce e l’uso di sostanze altamente inquinanti (acidi forti, cianuro e mercurio) per processare i minerali: per estrarre circa 30 grammi d’oro ancora oggi, vengono rimosse 250 tonnellate di roccia. Nella localitá amazzonica di Altamira, oltre alla costruzione di una colossale diga per produrre energia idroelettrica che sconvolgerà il bacino del fiume Xingù allontanando circa 15000 abitanti della foresta, è in corso un nuovo progetto della multinazionale mineraria canadese Belo Sun per aprire e coltivare Volta Grande, la più grande miniera d’oro del paese, e che dovrebbe utilizzare la manodopera di circa 5000 lavoratori, quelli celebramente immortalati da Salgado nei suoi crudi reportage.

Dopo la crisi energetica e finanziaria nel ’74, il paese optò una scelta di emancipazione per sfruttare un carburante di cui aveva maggiore capacità produttiva come l’etanolo, derivato di fermentazione di biomasse ed in particola dalla canna da zucchero. Ad esso furono collegati enormi fenomeni di disbocasmento e distruzione della foresta primigenia in favore di monoculture a sistema intensivo. Oggi restano i motori flex dei veicoli, che possono facilmente passare da un carburante all’altro, ma il paese ha cominciato una progressiva inversione di rotta, e dimostra di voler andare nella direzione dello sfruttamento delle faraoniche riserve petrolifere. Nonostante si sia frenata parzialmente la distruzione della foresta amazzonica, resta fortissimo l’orientamento zootecnico delle politiche agricole federali vocato all’alleveamento di enormi mandrie, e rimane conseguentemente molto pronunciato il problema di disboscamento e sovrasfruttamento dei terreni agricoli per la coltivazione intensiva dei foraggi, la perdita costante di biodiversitá, il crescente impoverimento dei suoli e la desertificazione di alcune aree. In vetta alla lista delle prime dieci multinazionali nel settore dell’ allevamento, compare proprio la brasiliana JBS (in Italia presente come Gruppo Cremonini), colosso proteico dal volume di affari stimato intorno ai 28 miliardi di euro, legato a doppio filo alle societá di monopolio delle sementi, alle case farmaceutiche ed alle industrie chimiche per antibiotici,anabolizzanti, fitofarmaci e fertilizzanti. Nel settembre 2013 la JBS é stata condannata, in via definitiva, a pagare 9miliardi di Reais per la violazione di numerosi articoli in materia di diritti dei lavoro, agli impiegati del polo produttivo della cittá di Juruena, costretti ad atroci condizioni di lavoro ed orari massacranti, esposti ad elevatissimo rischio di infortuni per la difformitá dei locali mancanti dei requisiti minimi di sicurezza, al contatto costante con gas nocivi e alla mancanza di condizioni igienico-sanitarie idonee.

Rio de Janeiro. Nella cittá e nello stato di Rio tutto sembra assumere facilmente toni coloriti e allegri, soprattutto nel periodo carnevalesco, salvo poi vedere trasformarsi il lieto fine in riso amaro; qui si contrappone continuamente la cartolina turistica di un abbraccio redentore, con la passione tutt’altro che mistica che compone il quotidiano in cui sono immersi i carioca. Il periodo aureo, che la città ha vissuto dalla fine dei ’90 ad oggi, è stato sublimato con la candidatura per i giochi olimpici del 2016, facendo leva sul gioioso spirito di competizione agonistica tipica di un popolo amante dello sport. Alcune fasce della società osservano orgogliose il dispiegarsi di una enorme macchina organizzativa che vuol tirare a lucido porzioni di cittá abbandonate a se stesse per decenni, divenute improvvisamente di grande importanza economica per la loro vicinanza ai quartieri piú in voga; molte altre compagini sociali giudicano queste grandi opere più simili ad interventi di cosmesi per truccare cattedrali nel deserto, pretestuosi investimenti che danno slancio a fenomeni gentrificatori e operazioni militari di “pacificazione” delle favelas di interessante ubicazione. Dietro il velo perbenista di questa parola infatti, si intravede una ingiustificata eradicazione di intere comunitá, espulse da zone della cittá precedentemente in mano ai narcos, ma che con questi non avevano necessariamente a che fare. Nella città con la favela di maggiore estensione di tutto il sud-america, la Rocinha, e con molte altre comunità costrette ad una segregazione effettiva, non sono state efficaci le leggi varate agli inizi del nuovo millennio dall’allora neo eletto Lula: la Bolsa Familia, il reddito garantito per le madri, già di per sè non generoso, non essendo stata affiancato da progetti di sostegno e di emancipazione delle donne in una società dagli spigoli sessisti molto pronunciati, ha creato un corto circuito di responsabilità che ha complessivamente aumentato il numero di ragazze madri e degli abbandoni dei neonati. Altri provvedimenti come il “Fame zero” sono stati semplicemente scavalcati per sopraggiunte necessità di interesse, come il varo, in queste settimane, di un clamoroso piano di costruzione di 5 nuovi porti marittimi privati, e simmetricamente gli appalti per la costruzioni autostrade, idrovie e ferrovie hanno subito un rigonfiamento vertiginoso di prezzi; un rincaro da far pagare ovviamente alla collettività sul prelievo fiscale.

Il Brasile, in realtà sta attraversando una contrazione della vertiginosa crescita degli anni passati (negli ultimi 5 anni dal 8% all’1,5%) in cui deve arrestare la divaricazione dei ceti sociali e ridefinire l’equilibrio tra sviluppo e sistema sociale: la sanità ad esempio, altro grande vulnus del gigante, soffre un simile sintomo, ad oggi diversi ospedali sono stati ridimensionati in oganico, personale, strumentazione e fondi gestionali, alcuni sono stati chiusi o addirittura demoliti per cambi di destinazione d’uso dei terreni; in uno di questi dove era nato un movimento spontaneo di resistenza si è verificato l’ingresso della polizia militare che ha cacciato con l’uso della forza medici, infermieri e anche degenti in gravi condizioni di salute. Attualmente é stato confermato il previsto piano di ingresso di 15000 medici di nazionalitá cubana, uma mossa che há fatt riprendere la presidente Dilma nei sondaggi ma che ha anche generato un terremoto sindicale nella categoria interessata e negli universitari in tale formazione professionale.

Nel Brasile multiculturale, un paese che continua disperatamente a varare leggi per arginare la discriminazione razziale e di genere, applicando tali norme ai più disparati segmenti sociali e lavorativi, il modello di coesistenza controllata mette in luce i costanti pregiudizi che serpeggiano fra le diverse etnie che compongono la nazione, e si intende come alcuni processi di formazione della stessa obbediscano ad imposizioni segregazioniste dove il proletariato di origine creola ancora non riesce ad “uscire dal ghetto” se non per fornire la manodopera necessaria a risvegliare la città quotidianamente, provvedendo a quel lavoro dequalificato che rappresenta il motore effettivo della crescita economica. Sono scarse le prospettive di emancipazione per i giovani delle favelas che vorrebbero costruire il proprio futuro nel lavoro cognitivo: il sistema scolastico pubblico non consente di ottenere una preparazione adeguata per superare i rigidi test di ammissione alle università, esso è un dispositivo congengnato per perpetuare un meccanismo di esclusione a sfondo razziale con l’alibi dell’eguale opportunità fornita a tutti.

I movimenti nati dal basso nella passata stagione, che sono riusciti ad imprimere una svolta radicale al dibattito pubblico mettendo al centro della discussione le contraddizioni legate all’utilizzo delle grandi risorse finanziarie per eventi circoscritti, è riuscita anche a stigmatizzare la corruzione strisciante, le occasioni perse di mutamento sociale per ogni contratto strappato alla Fifa e al Comitato Olimpico e a far emergere la dismissione degli interventi di cui il paese ha disperato bisogno. L’enorme e giovane classe media brasiliana, creata in quindici anni di politiche macroeconomiche e sociali coerenti che hanno prodotto un decennio di crescita e un nuovo welfare più inclusivo, oggi conta circa quaranta milioni di brasiliani in più che si sono lasciati alle spalle la soglia della povertà ed ora reclamano giustamente maggiori opportunità di formazione professionale, di impiego, una reale mobilità sociale e soprattutto meno corruzione: appannaggio storico delle destre neoliberiste sudamericane, ma che nell’ultima decade è divenuta dote anche delle amministrazioni progressiste. Il nuovo ceto medio è così passato all’economia formale iniziando a pagare imposte elevate benché i servizi erogati dallo stato rimangano del tutto insufficienti, e resta sdegnata del recente crollo del potere d’acquisto dei propri salari, che non hanno visto adeguamenti sostanziali alla crescita del costo della vita e degli affitti, e alla mancanza di nuove intuizioni per continuare a muovere gli ingranaggi dell’ascensore sociale. La sfida per il PT (Partido dos Trabalhadores), vittima in un certo qual modo dei suoi stessi successi, è dunque quella di creare un equilibrio che sappia tener conto dei bisogni della nuova classe media, rispetto al suo rapido indebitamento.

I movimenti sociali nati dal casus belli dell’aumento del costo dei trasporti pubblici di 25 centesimi, deciso proprio mentre il governo Dilma aumentava gli investimenti per la costruzione di impianti sportivi, innescarono una spirale propulsiva che domandava una complessiva riforma sociale, diedero voce a campagne già radicate territorialmente e più avanzate politicamente che scontavano peró una eco medatica debole: medici, insegnanti e lavoratori di cooperative entrarono in stato di agitazione per pretendere un cambio di rotta rispetto alle vaghe promesse dell’amministrazione e furono portate alla ribalta dalla collera giovanile contro i simboli della finanza e delle competizioni sportive di ultima concezione. Una spontanea e a volte disarticolata opposizione sociale ha fatto da volano per altre vertenze di carattere locale e nazionale e motore di un presa di coscienza foriera di nuove istanze di partecipazione. A distanza di alcuni mesi, è ancora attiva l’organizzazione “Passe livre” soprattutto nello stato di Sao Paulo che reclama una mobilità gratuita per tutti, ma la repressione delle proteste con il ritorno a leggi speciali di stampo dittoriale, attraverso la possibilità di arresto preventivo per organizzazione criminale, ha frenato lo slancio ribellista e l’orizzonte propositivo dei movimenti ed è riuscita a ridurre ampiamente il ventaglio di conflitto. E’ probabile che ci si trovi ad una fase di quiescenza che prelude ad una nuova percussione quando i riflettori mondiali saranno puntati nuovamente sugli stadi, innervatura folcloristica del panem et circenses, a condizione che si riesca ad uscire dal guado della scomposizione tra i movimenti e le parti sociali, dall’incomunicabilità generazionale e dalla diatriba fra attivismo urbano e militanti per la riforma agraria, e si riesca a generalizzare un conflitto che sembra avere ancora due differenti e inconcibili anime, progressista e riformista una e decisamente più scettica e nichilista l’altra. Trovare una consonanza che esca dal mero duello di piazza e stabilisca una dialettica organizzativa, superando l’insorgenza autoreferenziale per aprire una prospettiva di contrattazione con il (quasi certo) prossimo governo Dilma sembra l’unica opzione percorribile per non dissipare tutto quel che è stato raggiunto.