EUROPA

Atene, the day before

Manca soltanto un giorno al referendum indetto dal governo di Alexis Tsipras sull’accordo con la Troika. La capitale greca, dopo le grandi manifestazioni di ieri, appare oggi una città sospesa e divisa

Ci sono luoghi nel mondo dove la Storia sembra scorrere a un ritmo lento e rilassato. Ci sono città che cambiano verso l’alto, nella skyline, o sotto la scorza di una monotonia che si ripete.

Poi c’è Atene. Atene che cambia dentro. Atene della crisi, che ogni volta ti regala un dettaglio inedito, dietro cui si nasconde un significato più grande, che a volte sfugge, a volte è chiaro. I ragazzini con le divise addosso e le armi in mano ad ogni angolo di Exarcheia, dopo la rivolta di dicembre 2008. I marmi divelti dei palazzi delle strade che confluiscono a Syntagma, dal 2010. Centinaia di tossici che assediano il perimetro di Exarcheia, a ridosso delle elezioni di giugno 2012. Criminali robusti e vestititi di nero che minacciano con lo sguardo e con le mani, che torturano e uccidono, dopo l’ingresso in Parlamento dei loro camerati. L’entusiasmo inquieto e l’attesa preoccupata dopo la caduta dell’ennesimo governo, poche ore prima che la speranza dell’alternativa diventi fatto concreto.

Oggi Atene regala l’immagine di una città sospesa e divisa. Le macchinette della metro sono coperte da un cartello: “I trasporti pubblici sono gratuiti fino a nuova comunicazione”. Gli OXI e i NAI si alternano a singhiozzo sui manifesti che coprono i pali e i muri del centro e sulle copertine dei giornali esposti in ogni Periptero [edicole a chiosco, nda]. Nei bar affollati si legge, la carta stampata o le schermate degli smartphone, e ovunque si discute di politica.

Questa è Atene, il giorno prima che la Storia si affacci di nuovo in città. Questa è Atene, il giorno dopo le piazze di chiusura della campagna referendaria. Piena quella per il Sì. Strabordante, commovente, da brividi quella per il no.

Se gli ultimi giorni avevano segnato una tendenziale rimonta di chi si diceva disposto ad accettare un nuovo memorandum, l’impressione (forse, la speranza) è che la giornata di ieri possa aver invertito questa direzione. Certo è impossibile fare previsioni o avere il polso della situazione. Almeno ad Atene, però, potrebbe essersi aperta una breccia nel muro di paura cementificato dalla Troika e dai suo servi fedeli. La capitale, dove vivono la metà degli elettori greci, ha dato una risposta impressionante circondando e inonando Syntagma, mentre Alexis Tsipras teneva il discorso conclusivo.

Una prova non scontata. Una risposta a chi sta praticando un colpo di Stato non convenzionale. Senza carrarmati o armi spianate, senza colonnelli, ma con il blocco della liquidità alle banche, con le minacce di non pagare gli stipendi e di licenziare in massa, con mille ricatti grandi e piccoli, degni solo dell’arroganza di chi ha affamato il Paese, lo ha costretto al suicidio, lo ha indebitato, ma non è ancora sazio. Ci vorrà grande coraggio e un’infinita dignità per votare No domani. Non sarà certo facile con la pistola alla testa puntata dal fronte pro-austerity.

Intanto, intorno al Greferendum i fronti che si scontrano oggi in Europa e per l’Europa stanno assumendo maggiore concretezza e diventano visibili a un largo pubblico. Da un lato, troviamo chi vuole cancellare qualsiasi prerogativa democratica e distruggere lo Stato sociale e i diritti conquistati dalle lotte. Chi lavora quotidianamente per trasformare il vecchio continente, e in particolare la sua area mediterranea, in una riserva di lavoro a basso costo o gratuito, senza potere contrattuale. Chi spende miliardi per escludere migranti e rifugiati, per costringerli a morire al di là del mare e delle frontiere. Chi non può tollerare che agli interessi dei mercati finanziari e delle élite globali si contrappongano politiche differenti, in fondo neanche troppo radicali e comunque legittimate formalmente da un mandato popolare.

Dall’altro lato, però, c’è un popolo europeo che lentamente, a fatica, sta alzando la testa, cercando di consolidare ed espandere l’incompatibilità con i diktat neoliberali, con il disprezzo della vita e della democrazia delle istituzioni finanziarie. Lo sciopero europeo del 14 novembre 2012, l’intenso percorso di Blockupy culminato nell’assedio all’Eurotower, l’emersione in diversi Paesi di partiti radicali e anti-austerity, l’esperienza greca in tutta la sua complessità, gli scontri e i fuochi che dall’inizio della crisi sono scoppiati nelle principali metropoli, fino alle decine di piazze europee di ieri, riempite da migliaia di persone nel silenzio generalizzato dei media di regime dicono qualcosa.

Questa grande mobilitazione per il No merita un breve approfondimento. Innanzitutto bisogna sottolineare l’importanza della lettura europea di questa consultazione refendaria, che comunque rimane su base nazionale. Le piazze di ieri e le azioni di questi giorni raccontano una crescente capacità di interpretazione della fase politica e della spazialità che le è propria. La consapevolezza che il risultato del voto greco riguarda il futuro di tutti i cittadini europei ha travalicato i circoli dei militanti politici da più tempo impegnati nella costruzione di dinamiche politiche transnazionali. Inoltre, un altro merito di queste piazze è quello di aver contribuito a smascherare la sistematica produzione di menzogne dei centri di potere finanziario e delle istituzioni europee. Stanno raccontando che il No è un voto contro l’Europa, eppure ieri è stata proprio l’Europa che in maniera compatta ha votato No nelle strade: neppure una piazza si è riempita a sostegno del Sì!

Allora diciamo le cose come stanno. La scelta non è pro o contro l’Europa. La scelta è pro o contro quest’Europa. L’Europa del debito, dei ricatti, dello schiavismo, del razzismo, oppure un’Europa in cui ci sia spazio per l’alternativa, per i diritti del lavoro e per i diritti sociali, per l’autodeterminazione, per i movimenti sociali e per una democrazia che va necessariamente radicalizzata. La questione dell’euro è solo una parte di questo tema più ampio e decisamente più importante. Di sicuro non si può pensare di sacrificare la possibilità dell’alternativa sull’altare della moneta unica e dei ricatti ad essa connessi!

Comunque vada, siamo alla resa dei conti: il nemico vuole colpire SYRIZA e il popolo greco per educare, scoraggiare, sfiancare tutti coloro che in questi anni si sono opposti all’austerity e al progetto di autoritarismo finanziario della Troika e delle istituzioni europee. Da domani, in ogni caso, niente sarà come prima. Da domani, in ogni caso, ci sarà maggiore bisogno di un movimento europeo reale e di rotture che dal basso e dall’alto facciano male al nemico.