MONDO

Argentina: finisce l’era Kirchner. Cosa cambia?


Al tramonto il modello di governo che guidava l’Argentina dal 2003. Da oggi in carica il nuovo presidente Mauricio Macri e il suo governo neoliberista, che vogliono riportare il paese indietro di quindici anni. Leggi anche Un ballottaggio “storico” di Francesca Belotti e Alioscia Castronovo.

L’Argentina si è svegliata con un nuovo presidente alla guida del Paese: Mauricio Macri e il suo partito, PRO-Cambiemos hanno battuto con il 51,40% di preferenze il rivale Daniel Scioli, del Frente para la victoria (FPV), al ballottaggio del 22 novembre scorso. Una vittoria risicata ad un ballottaggio che era stato preceduto da quasi un mese di campagna elettorale serrata, che ha coinvolto l’intero Paese in un dibattito politico accesissimo. Non è la sede per analizzare le cause, complesse e molteplici, di questo risultato, determinato innanzitutto dalla crisi interna all’area peronista, che che dal 2003 al 2015 ha governato il Paese sotto la guida prima di Nestor Kirchner e poi della moglie Cristina. Una crisi che ha portato alla candidatura “moderata” di Scioli, storicamente distante dall’ala kirchnerista del peronismo. La sua candidatura non ha certo scaldato gli animi dei fedeli della “Presidenta” uscente, e non si è rivelata all’altezza né dell’immaginario promosso dall’efficace campagna elettorale di Macri né, più in generale, della nuova sfida lanciata dalla congiuntura politica. Alle parole d’ordine del cambio, della alegria, infatti, il candidato del FPV ha opposto un’estetica classica e l’insistenza sui pur significativi successi del precedente governo nel campo delle politiche di inclusione sociale, di sostegno all’economia locale e alla piccola e media impresa, di difesa dei diritti umani, violati sistematicamente negli anni della dittatura militare.

Una candidatura “tiepida”, insomma, quella di Scioli, cui si aggiungono una serie di errori strategici come quello di trascurare nello sforzo della campagna province importanti come quella di Córdoba, dove alle elezioni presidenziali Macri ha ottenuto più del 70% delle preferenze, o quella di Buenos Aires, neglii ultimi 28 anni solida roccaforte peronista ma conquistata con le recenti elezioni amministrative dalla candidata di Cambiemos, María Eugenia Vidal. Una vittoria che ha rappresentato un vero e proprio volàno per la campagna elettorale del partito di Macri a livello nazionale.

Il nuovo governo di Macri: un “cambio” verso un neoliberismo senza memoria

La vittoria di Cambiemos porta ad una rottura radicale nella storia del Paese. Per coglierne la portata è sufficiente ricordare alcuni punti cardine del discorso di Macri nell’ambito delle politiche economiche e sociali, nonché in quello della difesa dei diritti umani e civili, e confrontarli con le conquiste del precedente governo.

Punto nodale attorno a cui ha ruotato la campagna elettorale è stato il cambio dell’assetto economico, con l’abbandono di un regime di protezione dell’economia interna, basato sulla tassazione delle importazioni e, per i prodotti del settore agricolo, delle esportazioni, una politica che ha favorito lo sviluppo di una industria interna e che ha mantenuto basso il prezzo dei prodotti agricoli. Le riforme economiche promesse da Cambiemos, affidate ad una équipe di 6 ministri dell’area economica del nuovo governo (Finanze, Trasporto, Produzione, Energia, Lavoro e Agricoltura) ruotano attorno a due punti principali: da un lato l’eliminazione di qualsiasi “cepo” o freno pubblico all’iniziativa imprenditoriale, dall’altro la parificazione del peso con il dollaro che mira a facilitare l’import-export. La manovra andrà per lo più a vantaggio dei grossi investitori internazionali e, a livello interno, favorirà un’importante fetta del Paese legata al settore agricolo che spera di poter aumentare i propri introiti nella già redditizia vendita della soya. Come non è difficile immaginare, tale apertura al mercato internazionale andrà a svantaggio della piccola e media impresa locale e non mancheranno ricadute negative sull’economia reale, con una forte oscillazione dei prezzi, anche dei beni di prima necessità per effetto delle speculazioni di produttori, intermediari e venditori.[1]

Per capire più nel dettaglio i tratti dell’Argentina che viene, però, è necessario tenere in considerazioni alcuni aspetti della campagna elettorale di Cambiemos e della storia politica del presidente neo-eletto. Difensore della rendita finanziaria, Mauricio Macri si è espresso in più occasioni a favore del pagamento del debito che numerosi speculatori finanziari (i cosiddetti avvoltoi o “buitres” dell’omonimo “fondo buitres”) vantano nei confronti dell’Argentina.[2] Il pagamento incondizionato promosso da Macri, motivato dalla necessità (il famigerato there’s no alternative) di risultare “affidabili” di fronte agli investimenti internazionali “onorando fino in fondo e a qualsiasi costo i propri debiti” era stato invece rifiutato dal precedente governo, che per evitare di cadere nella trappola del ricatto del debito non solo aveva imposto ai creditori delle condizioni di pagamento che fossero sostenibili per il Paese, ma aveva anche conseguito una significativa vittoria politica di livello internazionale presso l’assemblea generale dell’Onu, che nel settembre scorso si è impegnata nella formulazione di una legislazione che imponga delle tutele minime agli stati posti sotto la ristrutturazioni dei crediti sovrani.[3] Il governo dell’Argentina che viene, al contrario, sarà perfettamente allineato alle priorità del mondo finanziario e della grosse compagnie internazionali che da anni attendono l’avvio di un processo di privatizzazione delle risorse naturali del Paese. A confermare questa direzione è la scelta del nuovo ministro dell’Energia, Juan Aranguren, che nella sua carriera come direttore di Shell in Argentina ha assunto posizioni ostili alle politiche governative di controllo delle oscillazioni e dei rincari del prezzo del petrolio, e che si è distinto per aver insistito negli ultimi tempi sulla necessità di un “cambio” nella politica economica per attirare investimenti esteri e favorire le speculazioni. Nessuna parola, chiaramente, rispetto ad una possibile conversione energetica in una direzione di sostenibilità ambientale, molte invece contro le politiche di controllo dei prezzi che garantiscono l’accessibilità ai servizi energetici, ma che frenano le speculazioni e dunque il margine di profitto delle aziende del settore. Tattica in questo senso è la scelta di Sergio Bergman come ministro dell’ambiente, rabbino noto per le sue posizioni conservatrici in termini di sicurezza, che ha dichiarato di non possedere alcuna conoscenza specifica in questioni ambientali. A guidarlo, come ha affermato il ministro, sarà “il buon senso”, un’arma decisamente spuntata in un gabinetto improntato alla logica unilaterale dell’investimento e del profitto. Appare chiaro che il ministro dell’ambiente è destinato a restare immagine muta nel panorama di un incontrollato saccheggio del patrimonio naturale argentino.

Altrettanto dirompente sarà il cambio a livello del mercato del lavoro: forte del suo passato da manager sportivo, Macri si è distinto per aver riportato in auge un modello di governo di tipo imprenditoriale infarcito di una retorica da self-made man che con il suo mantra della produttività e la priorità riconosciuta alla tecnica manageriale al di sopra di qualsiasi discorso propriamente politico, sembra unire agli anni ruggenti del primo Berlusconi lo stile smart del renzismo nostrano (per intenderci: selfie con i-phone e discorsi da predicatore americano con tanto di maniche di camicia ben in vista). In questa prospettiva tutta tesa ad offrire un ampio margine di manovra all’iniziativa delle imprese, non sorprende che Macri consideri il lavoratore come un “costo” per l’impresa e le forme di garanzia come il salario minimo, di recente portato a 6060 pesos, come un freno all’economia del Paese. Seguendo questa linea di de-regulation Macri ha insistito sulla necessità di diradare le “paritarias”, riunioni annuali in cui le organizzazioni dei lavoratori, in presenza di garanti pubblici, contrattano il salario minimo aggiornandolo di volta in volta con il costo della vita, l’inflazione e la crescita economica del Paese. L’intento è chiaro: ridurre il ruolo di controllo statale nei rapporti tra impresa e lavoratore lasciando che i due soggetti gestiscano di volta in volta, con la maggiore flessibilità possibile, la loro relazione[4], secondo una ricetta di cui l’Europa conosce bene i risultati: contrattazione a ribasso, precarizzazione, totale ricattabilità del lavoratore.

Se il piano economico del governo di Macri assume contorni assimilabili in modo inquietante con il feroce neo-liberismo del governo di Menem – che ha portato alla crisi che nel 2001 ha messo in ginocchio l’Argentina – e ancora prima con le scelte economiche assunte dal Paese sotto la dittatura militare[5], altrettanto preoccupanti sono le posizioni del Presidente neo-eletto in materia di diritti civili. Forte della sua educazione “tradizionale”, l’attuale Presidente si è distinto variamente per le sue dichiarazioni maciste e omofobe ed ha legato le sue politiche in materia di genere e sessualità al nome del dott. Abel Albino, medico ultranconservatore legato all’Opus Dei e autore di un testo dal titolo “Governare è popolare: Paternità responsabile o fornicazione assistita?” in cui, sciorinando tesi dal tono contro-riformistico, sostiene che la ricetta per una buona nutrizione è la lotta contro la promiscuità sessuale, la pornografia, l’autoerotismo e l’uso di qualsiasi anticoncezionale, nonché la diffusione di una cultura della verginità “fisica e morale” della donna, confondendo sesso, droga, contraccezione, alcol, povertà, assenza di igiene, l’ascolto musica ad alto volume e protezione dell’infanzia, in una pericolosa miscellanea di moralismo e sessismo, paternalismo e repressione. La dubbia pertinenza e l’oscurantismo delle tesi del dott. Albino hanno decisamente convinto il neo-Presidente, che durante la campagna elettorale, occhieggiando all’elettorato cattolico ultraconservatore, ha dichiarato che, nel caso di una sua vittoria, avrebbe affidato la creazione di un piano contro la denutrizione proprio all’illustre luminare[6], in un Paese dove la lotta dei diritti civili è rimasta orfana di una legge che legalizzi l’aborto. Più in generale, il governo di Macri probabilmente imporrà un arresto al già faticoso processo istituzionale di riconoscimento dei diritti civili, dopo le vittorie conseguite sul campo del “matrimonio igualitario” e del riconoscimento della fecondazione assistita come un diritto garantito dal sistema sanitario nazionale.

Ancora più evidente sarà probabilmente l’ostruzionismo contro il percorso politico e giudiziario iniziato dagli importanti movimenti delle Nonne e delle Madri di plaza de Mayo, impegnate contro l’impunità dei crimini commessi sotto la dittatura militare e per la restituzione della identità ai figli sottratti alle migliaia di “desaparecidos” e affidati segretamente, con la complicità della Chiesa locale, a famiglie a vario livello complici della repressione militare. Un movimento che rivendica verità e giustizia lungo quanto la storia di quei crimini e che negli ultimi anni ha costituito una parte importante della coscienza politica del Paese, svolgendo la funzione di catalizzare lotte per i diritti umani e contro la repressione di stato non solo in Argentina ma in tutto il sud-America. Sebbene all’interno dello stesso movimento non manchino posizionamenti divergenti, un punto comune è la preoccupazione per le posizioni negazioniste di Macri, che ha spesso sminuito gli orrori della dittatura militare chiedendo la sospensione dei processi giudiziari a carico di coloro che ne furono esecutori e registi e invitando a rinunciare all’impegno di memoria e giustizia per andare verso una nuova amnistia generalizzata. Una posizione peraltro condivisa dal nuovo ministro della cultura, Pablo Avelluto, che in una intervista alla Nación ha dichiarato la necessità di “lasciarsi il passato alle spalle” ed andare incontro ad un futuro di “efficienza e razionalizzazione”.[7] Una dichiarazione che lascia pensare vista la scelta di porre come prossimo Direttore della Biblioteca Nacional Marcos Aguinis, distintosi in passato per una serie di scandali relativi all’uso illecito di fondi pubblici e per aver maturato una pensione privilegiata durante un breve periodo di impegno politico a servizio del dittatore Videla. Autore di “El combate perpetuo”, testo commissionatogli, sempre sotto gli anni della dittatura, dalla DAIA (Delegación de Asociaciones Israelitas Argentinas) come dono ufficiale per la Marina Militare Argentina, Alguinis ha confermato più di recente le sue simpatie per l’epoca in cui il governo si macchiava quotidianamente della desapariciones di civili, militanti politici, dissidenti o semplici vittime dell’arbitrio di ufficiali senza scrupoli. Alguinis si è inoltre riferito alle leader delle Nonne e delle Madri di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto e Hebe de Bonafini, con il titolo di “donne spregevoli” proprio per il loro ruolo di primo piano nella prosecuzione del processo di condanna politica, prima ancora che giudiziaria, della dittatura seguita al colpo di stato del ’76.

Il governo appena nominato è composto inoltre da ex-collaboratori e uomini di fiducia di Macri all’epoca del suo precedente incarico come sindaco di Buenos Aires. Tra i nomi spicca quello di Patricia Bullrich, nominata ministro della Sicurezza, un dicastero importante che dovrà realizzare le alte promesse avanzate da Macri in campagna elettorale, prima fra tutte quella cioè di combattere il sistema del narcotraffico. Una questione che nel discorso politico del Pro-Cambiemos è sempre stata intrecciata con la necessità di irrigidire il controllo delle frontiere, “proteggendo” il Paese da un’immigrazione “incontrollata” che renderebbe più pericolose le strade delle principali città argentine e della capitale in particolare. Non c’è da dubitare che il nuovo responsabile governativo per la Sicurezza, in passato battutasi per l’inasprimento delle regole di detenzione in generale e dei minori in particolare, si dimostrerà all’altezza del suo precedente successo in qualità del ministro del lavoro, quando nel 2001 si registrò l’esplosione record della disoccupazione, salita di 6 punti percentuali, e il taglio del 13% a salari pubblici e pensioni.

Governo e movimenti: tra resistenza e apertura

I pochi elementi finora forniti suggeriscono un ritratto allarmante del governo che il 10 dicembre si insedierà prendendo ufficialmente le redini del Paese. La vittoria di Macri senza dubbio smentisce un assunto che fino a ieri era un caposaldo della coscienza di molti Argentin* che, fiduciosi nella memoria dei mali passati (quelli della dittatura militare come quelli del neoliberismo di Menem), erano sicuri che “indietro non si torna”, che i diritti si conquistano una volta per tutte. L’elezione del 22 novembre dimostra che le lotte non si esauriscono con la trasformazione delle istanze dei movimenti in leggi o in manovre governative. Che per quanto necessari gli atti di memoria collettiva, faticosi e spesso dolorosi, a volte da soli non bastano a scongiurare il ritorno dei vecchi fantasmi. Che la storia non può essere chiusa in un processo lineare e progressivo di liberazione e che c’è sempre qualcosa che eccede, e che non sempre eccede là dove speravamo.

Quello però che si è costituito in Argentina dopo le prime elezioni del 25 ottobre e il ballottaggio del 22 di novembre scorso racconta anche qualcosa in più. In poche settimane una parte importante del Paese ha dato un nuovo significato al periodo pre-elettorale trasformandolo da annoiata sfida televisiva a una lotta contro la riprogettazione neoliberale delle vite di tutte e tutti, conferendo tutt’altro peso politico al momento elettorale. Di fronte alla minaccia del “volver atrás”, dell’oblio della storia che trascina indietro verso errori ed orrori già commessi, giovani e anziani si sono mobilitati, organizzandosi sui social-network, scendendo per le strade e dando vita a campagne che, lungi dal produrre un cieco elogio di Scioli, segnalavano la pericolosità del progetto macrista di un’Argentina “impresariale”, costruita tanto sui valori della competitività e del successo quanto sulla solitudine del fallimento. Pronti a dar nuovo corpo e nuovo senso all’espressione “la patria es el otro” una serie di manifestazioni ha animato tutto il Paese portando avanti slogan come “Amor sì Macri No”, attraversando la “Marcha del orgullo” (il Gay Pride argentino) del 14 novembre, opponendo a la triste ebrezza del mercato la viva allegria dell’autodeterminazione, costruendo piattaforme per “resistere con tenacia” (o “resistir con aguante” per parafrasare un’attivo gruppo facebook).

La memoria di un figlio o di un fratello desaparecido o la gioia di un ennesimo nipote ritrovato. Il ricordo di chi, rimasto solo, è stato schiacciato della labirintica miseria del neo-liberismo, dalla sua crisi e dalla logica del debito. La determinazione nel lottare contro la violenza poliziesca che nelle strade come nelle carceri, tra razzismi e classismi, prosegue l’orrore degli anni della dittatura militare, ma anche il desiderio di portare avanti nella quotidianità delle vite di tutt* le battaglie relative all’autoderteminazione del genere e al matrimonio igualitario rispetto a cui la recente legislazione, lungi dal rappresentare una “facile” soluzione, offre uno strumento in più di lotta comune. Sullo sfondo, negli occhi e nelle parole di chi ha attraversato queste intense settimane, la certezza che la forza per resistere non può che essere politica e collettiva. In breve, quella che è emersa nelle settimane pre-ballottaggio è stata una forma di impegno politico diffuso, fondato sulla condivisione e la messa in comune di memorie, di esperienze, di desideri che è riuscita ad eccedere, per stessa ammissione del candidato poi risultato sconfitto, i confini della militanza di partito classicamente intesa.

È difficile comprendere quanto l’insorgere di una forza anti-Macri abbia inciso sul risultato finale, riducendo a un punto e mezzo percentuale la distanza tra i due candidati, così come non è dato sapere quanto tale “no” saprà costituirsi in una piattaforma politica nuova e di lunga durata, che sappia andare al di là dell’evento elettorale per resistere all’attacco imminente e aprire una nuova stagione politica nel Paese.

Certo nei giorni di assunzione del nuovo governo dà forza pensare ai/alle tant* Argentin* che già da oggi, rimboccandosi le maniche, stanno cominciando a pensare alla resistenza che viene. Che stanno già immaginando come ricostruire il Paese dopo l’euforia e il crollo. Che, lungi da snobbismi intellettuali, chiusure individualistiche o avanguardismi dell’ultima ora non si stancano di credere nelle potenzialità di una democrazia reale, di una politica che è fatta non solo e non tanto di un voto, ma di una militanza continua e intelligente, che attraversa strade e piazze, centri-città, fabbriche e quartieri di periferia. Convinti che la costruzione di un tessuto comune e condiviso sia l’unica arma possibile contro questa nuova-vecchia minaccia neo-liberale.

Infonde coraggio e determinazione pensare che sì, la storia eccede sempre ogni teleologia ed ogni progettazione a priori. E che, proprio per questo, per quanto i signori Macri, Renzi, Schaeuble&Merkel, Hollande o il fascismo dell’Isis come quello speculare di Le Pen e Salvini stiano progettando un futuro di odio, esclusione, impoverimento, paura ed egoismo, Noi saremo sempre lì, in Argentina, in Italia, in Grecia, in Portogallo, a Rojava come ad Istanbul, a Parigi come a Bruxelles pronti a fargli saltare ogni piano, pronti a ricominciare, pronti a ricostruire quello che loro vogliono vedere distrutto. Ed è forse questo il messaggio che l’Argentina oggi ci sta lanciado: che una direttiva europea, una truppa di sentinelle in piedi o l’imposizione di uno stato allerta, la chiusura di una frontiera o il cambio di un gabinetto governativo non potranno mai fermare il sogno e la realtà di una politica che sia costruzione del comune.

Vamos caminando. Siguamos caminando

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[1] http://www.pagina12.com.ar/diario/economia/2-287609-2015-12-05.html

[2] http://www.diarioregistrado.com/politica/91790-macri-a-favor-de-los-fondos-buitre-y-de-exportar-todo.html

[3] http://ilmanifesto.info/allonu-kirchner-batte-i-fondi-avvoltoio/ e http://www.telam.com.ar/notas/201509/121650-cristina-asamblea-general-onu-fondos-buitres-respaldo.html

[4] http://www.eldestapeweb.com/elecciones-2015-el-pro-quiere-paritarias-libres-la-intervencion-del-estado-n8431

[5] https://www.youtube.com/watch?v=SgJvU4Z31-g

[6] http://www.telam.com.ar/notas/201511/126488-abel-albino-gente-calidad-balotaje-gobierno-cambiemos.html e http://www.pagina12.com.ar/diario/ajedrez/35-285816-2015-11-10.html

[7] http://www.lanacion.com.ar/1851535-pablo-avelluto-no-hay-que-tomarse-seriamente-los-tuits-de-nadie