MONDO

Argentina. Debito, bugie e ricatti

Il FMI censura l’Argentina per la manipolazione degli indici dell’INDEC.

Il FMI censura l’Argentina per la manipolazione degli indici dell’INDEC. Una storia che ha inizio con la contrazione del debito estero argentino e continua con la crisi economica mondiale. Nonostante abbia pagato fino all’ultimo centesimo al Fondo Monetario Internazionale, il governo argentino continua ad essere bersagliato dal principale rappresentante degli interessi finanziari a livello globale. “Tutto in una volta e addio FMI” titolava nel dicembre del 2005 il quotidiano Pagina 12, a seguito dell’annuncio dell’allora presidente Nestor Kirchner, del pagamento del debito di 9.500 milioni di dollari che il paese aveva con il FMI – lo stesso quotidiano aveva criticato duramente Lula per aver fatto la stessa dichiarazione il giorno precedente. In quel momento, l’intenzione che il governo aveva manifestato era quella di scrollarsi di dosso i controlli periodici che il FMI effettuava a Buenos Aires, e i “suggerimenti” che lo stesso FMI dava, e continua a dare, ai paesi debitori. Una decisione problematica, soprattutto perché il governo ha scartato la possibilità di una ricerca esaustiva attorno alle origini del debito estero argentino, avvolto da un velo di illegalità esplicita – esistono addirittura casi giudiziari, come la causa 14.467 affrontata in tribunale tra il 1982 e il 2000. A partire da quel momento le relazioni con il FMI e i suoi manager hanno vissuto una fase di alti e bassi. Il principale punto di conflitto a partire dal 2007 è precisamente la misura dell’inflazione pubblicata dall’Istituto nazionale di statistica e censo (INDEC). Venerdì scorso, il FMI ha reso pubblica una “dichiarazione di censura rispetto all’Argentina per non aver ottemperato ai suoi obblighi rispetto al FMI stabiliti nell’Accordo Costitutivo”, iniziativa senza precedenti nella storia. Secondo il FMI il paese non è andato avanti “nell’adozione delle misure correttive dalla riunione del 17 settembre 2012 per migliorare la qualità dei dati ufficiali riportati al FMI sull’indice dei prezzi al consumatore del Gran Buenos Aires (IPC-GBA) e sul prodotto interno lordo”. Nel 2010, l’allora ministro dell’economia Amado Boudou, annunciò la formazione di una commissione ad hoc del FMI per rivedere e elaborare un nuovo IPC (Indice del prezzo al consumatore) a livello nazionale. Un apparente avvicinamento che non ha dato i suoi frutti. Poi, già alla fine dello scorso anno, la direttrice del FMI, Christine Lagarde, aveva minacciato di estrarre un “cartellino rosso” per l’Argentina se non avesse adeguato i suoi indici alla normativa in vigore nei principali paesi del capitalismo finanziario globale. Dunque, perché l’INDEC mente? Esistono fattori interni ed internazionali per spiegare il fenomeno. Rispetto alle cause interne, è evidente che un IPC alterato è funzionale al mantenimento del modello kirchnerista. Come spiega bene l’economista Julio Gambina, in un articolo pubblicato ieri, “l’effetto della manipolazione delle cifre rende difficile la misura accettabile dell’inflazione, limitando la capacità di definire l’effetto regressivo dell’aumento dei prezzi per i lavoratori e le proprie famiglie, così come nell’insieme dei redditi dei settori popolari. Al tempo stesso deforma la realtà dello sviluppo economico, sopravvalutando i ritmi di crescita dell’economia locale, che incide rispetto al consenso sociale”. Ma in questo caso sono le ragioni internazionali che creano un forte conflitto tra il FMI e lo stato argentino. Esistono una serie di titoli di stato emessi in valuta straniera che sono utilizzati, per decreto presidenziale, per l’applicazione del CER (Coeficiente de Esabilización de Referencia). In pratica, questo stabilisce l’adattamento dei tassi di interesse dei buoni del debito all’indice di inflazione misurato dall’INDEC. In questo modo, lo stato ha risparmiato circa 6.000 milioni di dollari in pagamento di obbligazioni, manipolando le misure dell’inflazione e del prodotto interno lordo. Lo stesso segretario del Commercio, Guillermo Moreno, ha ammesso che “è una pazzia pagare interessi più alti perché aumenta il prezzo della lattuga”.

Con la censura annunciata – un attacco diplomatico senza possibilità di sanzioni concrete, anche se l’accordo costitutivo parla di espulsione del paese censurato – il FMI torna alla carica per difendere gli interessi dei creditori che non sono rientrati nei pagamenti tra il 2005 e il 2010, e i titolari dei famosi fondi-avvoltoio che reclamano il pagamento degli interessi da usura per il default del 2001.

La normalizzazione delle misure dell’INDEC è stata annunciata dal ministro dell’economia Hernàn Lorenzino ieri, ed è prevista per il quarto trimestre del 2013, in accordo con le richieste del FMI, che ha dato tempo fino a settembre per dimostrare avanzamenti in questo ambito. Il nuovo sistema nazionale, fortemente necessario, come dicono i lavoratori dell’INDEC in lotta già da sei anni, potrebbe dare un’immagine maggiormente veritiera della situazione economica nazionale – specialmente rispetto agli indici di inflazione, povertà e indigenza, quelli maggiormente manomessi.

Però al tempo stesso pone l’esecutivo ad un bivio di fronte alla questione del debito estero. Attualmente l’Argentina deve ancora una somma che sfiora 20.000 milioni di dollari, senza contare gli interessi compensatori che derivano dalle negoziazioni tra governo, il Club di Paris, la Banca Mondiale e i creditori privati. Questi ultimi sono la maggioranza, e tra di loro vi sono i famosi fondi-avvoltoio. Il principale negoziatore è precisamente il FMI, con cui il governo dovrà sedersi a negoziare e che sarà parte dell’elaborazione del nuovo indice di misura per l’INDEC. In pratica, un rappresentante di un decadente sistema economico mondiale, in molti casi responsabile dei tagli che oggi si stanno applicando in Grecia, Spagna e Portogallo, e della più grande crisi degli ultimi 40 anni, chiede all’Argentina l’adeguamento del suo sistema economico, basato sull’estrattivismo neosviluppista, ai termini del capitalismo finanziario. Nonostante ancora nessuno, sia dalla parte governativa o che dall’opposizione, abbia mai messo in dubbio la legittimità del debito estero argentino, principale causa della situazione attuale.

Lo stesso Gambina propone una possibile soluzione: “L’Argentina deve regolarizzare i propri meccanismi senza l’intromissione del FMI e l’INDEC, così come richiedono i lavoratori di ATE dell’INDEC e diversi settori economici, sociali e politici, e specialisti del campo della statistica e delle scienze sociali (…) L’Argentina deve assumere un’attitudine sovrana al riguardo e al tempo stesso denunciare e ritirarsi dal FMI, è anche il momento di realizzare un cambio costituzionale che manca dal 1983: verificare il debito pubblico attraverso un audit e sospendere temporaneamente i pagamenti in attesa dei risultati dello studio sulla legalità del debito stesso”.

*Tratto da Marcha.org.ar, una mirada popular de la Argentina y el mundo. Traduzione a cura di Dinamopress.
Vai all’articolo originale (Marcha, 5/02/2013).