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Approvata la Ley de Seguridad, cornice legale per la repressione in Messico

Nel paese famoso per la crescente militarizzazione, una preoccupante legge appena approvata garantisce impunità all’operato dell’esercito nei territori, alla vigilia dell’anno delle elezioni presidenziali

La torsione reazionaria e autoritaria del governo messicano è un dato inequivocabile riportato da moltissimi analisti ed organizzazioni internazionali indipendenti. IL 2006 ha segnato lo spartiacque fondamentale. Quell’anno il nuovo presidente Calderòn ha dichiarato la sua guerra al narcotraffico e grazie a questa ha giustificato un dispiegamento di forze armate senza precedenti in tutto il territorio nazionale.

Tale militarizzazione ha determinato fenomeni di violenza generalizzata quali uccisioni extragiudiziarie, la presenza diffusa di forme di paramilitarismo e, sopratutto, la desaparición forzata di migliaia di persone (le cifre più conservatrici parlano di 30mila morti dal 2007 a oggi). Da quel momento in poi, quindi, l’esercito viene strutturalmente utilizzato come strumento di repressione interna (anziché di difesa dei confini nazionali) e strumento di governo malavitoso del territorio.

L’esempio più eclatante in tal senso è la desaparición dei 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa nello stato del Guerrero a settembre 2014, avvenuta, ricordiamolo, a pochi metri da una caserma dell’esercito. Tuttavia questo schema esercito > controllo del territorio > simbiosi con malavita > violenza verso le fasce più deboli permette di comprendere molti fenomeni in corso, a partire dalle storie che riguardano il destino quotidiano di migliaia di migranti centroamericani che attraversano il Messico diretti negli Stati Uniti e che finiscono nelle mani di trafficanti che li sequestrano e li rilasciano solo dopo violenze e con riscatti esosi per le proprie famiglie. Tutto questo avviene grazie alla collusione sinergica tra autorità corrotte, apparato dell’esercito presente nel territorio e gruppi malavitosi.

In un tale contesto desta non poca preoccupazione l’approvazione, avvenuta il 15 di dicembre, di una nuova Ley de Seguridad. Sostanzialmente questa nuova legge vuole fornire una cornice legale che legittimi e garantisca nel tempo le operazioni militari condotte all’interno del paese. Essa pertanto traduce in un contesto legale e normalizzante quella che, dal 2007, è una situazione straordinaria, cioè la militarizzazione generalizzata del Messico.

Tale legge infatti amplia in modo spropositato le facoltà dell’esercito messicano, includendo un vasto numero di competenze che in paesi tendenzialmente democratici sono a carico delle forze di polizia. L’intervento dell’esercito verrà garantito ogni volta che è “in pericolo la sicurezza interna del paese”, ed è chiaro quanto labile può essere questo criterio visto che vi è un spettro molto ampio di ciò che si può considerare una minaccia alla sicurezza interna dal punto di vista dello stato. Inoltre, ogni intervento potrà avvenire tramite comunicazione diretta tra l’esecutivo e i generali dell’esercito, senza alcun passaggio parlamentare.

Ma non è tutto, non sono stati previsti meccanismi di monitoraggio delle attività dell’esercito, né meccanismi di “rendicontazione” delle attività svolte e non vengono posti limiti temporali precisi alle possibili operazioni militari, in quanto il presidente avrà sempre la facoltà di rinnovarle se lo ritiene necessario. Infine, le operazioni di intelligence nel territorio condotte dall’esercito potranno utilizzare qualunque mezzo lecito di raccolta delle informazioni.

L’approvazione della legge ovviamente ha scatenato una serie di reazioni allarmate da parte delle organizzazioni della società civile e di tutela dei diritti umani, che sono fortemente preoccupate per lo scenario che viene così a delinearsi. Perfino un gruppo di esperti dell’ONU si è espresso in modo duro, ricordando che la partecipazione di forze armate in attività di sicurezza interiore è stata associata alle pratiche sistematiche e generalizzate di esecuzioni extragiudiziarie, desaparición forzata e tortura, la maggior parte delle quali si è mantenuta nell’impunità totale, in Messico, ma più in generale nella tragica storia di gran parte dei paesi latinoamericani.

È importante ricordare un ultimo elemento. Tale legge viene approvata ora, alla vigilia della tornata elettorale presidenziale del 2018 e successivamente a una serie di leggi di riforma neoliberiste che permettono il saccheggio sistematico delle risorse del paese. E questo non è certo una coincidenza.

Da un lato infatti queste leggi determineranno maggiore violenza territoriale, con tentativi di resistenza alle attività delle multinazionali estrattiviste e pertanto con la volontà di repressione da parte dello Stato, che ora potrà avvenire in una cornice legalitaria, grazie alla presenza dell’esercito.

Dall’altro lato, gli anni di elezioni sono sempre contraddistinti da proteste generalizzate e violenza repressiva. Il 2006, anno della elezione Calderòn è stato l’anno della comune di Oaxaca e della ribellione di Atenco. Nel 2012 vi è stato il movimento Yosoy132 e altre resistenze e proteste hanno caratterizzato il paese. Il 2018 si prospetta di sicuro “caldo”, avere questa legge approvata permette allo Stato di affrontarlo in una posizione di forza e in un quadro che legalmente potrà avallare la peggiore repressione militare.

Una ragione in più per mantenere alta l’attenzione e la solidarietà verso le resistenze e i movimenti sociali messicani, da parte di tutta la società civile internazionale.