MONDO

Afrin: nuove e vecchie alleanze sul confine siriano

Il 20 febbraio, dopo un mese di resistenza curda ad Afrin contro l’esercito di occupazione turco e i suoi mercenari, il governo siriano ha risposto con l’invio delle proprie unità militari, per partecipare alla difesa di Afrin e proteggere il confine siriano. Questa temporanea convergenza tattica aprirà un nuovo fronte di scontro regionale

Il 19 febbraio scorso la tv di Stato siriana “Sana” ha confermato l’accordo con le forze di difesa curde e l’arrivo delle truppe di Damasco nelle ore successive, per respingere l’attacco della Turchia e sostenere la resistenza di Afrin contro l’aggressione di Ankara. Successivamente il portavoce delle Unità di protezione del popolo (YPG), Nouri Mahmoud, ha dichiarato che le YPG hanno chiesto al governo siriano di partecipare alla difesa di Afrin. Damasco ha risposto inviando il 20 febbraio truppe militari (Forze di Difesa Nazionali – NDF) con l’intento di posizionarsi lungo il confine con la Turchia, in questo momento teatro di guerra, e  istituire  una no-fly zone per bloccare le manovre di Ankara, la quale riesce a stento ad avanzare su Afrin grazie alla determinazione della resistenza delle YPG. L’accordo rappresenta una convergenza tattica militare con Damasco, dopo che Afrin ha perso il sostegno degli ex alleati ed è rimasta in uno stato d’isolamento geografico in conseguenza dall’Operazione “Scudo dell’Eufrate” del 2016, che ha impedito di fatto la sua unificazione con il cantone di Kobane.

Le truppe di Assad torneranno a posizionarsi lungo il confine con la Turchia, dal quale si erano ritirate nel 2012, sostituite dal Partito dell’Unione Democratica (PYD) che ha affidato la difesa e la protezione della zona allo YPG, ala armata del partito.

Dal 20 gennaio scorso, Afrin, una zona in cui è in atto da anni una “rivoluzione confederale”, basata sull’autodeterminazione popolare, il protagonismo delle donne e la convivenza sociale inclusiva, è sotto l’offensiva turca denominata “Ramo d’olivo”, che ha provocato la morte di quasi cento civili. L’operazione è stata ordita specificatamente contro l’enclave curda della regione transfrontaliera. Lo YPG è infatti considerato da Ankara un’organizzazione terrorista oltre che un’estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), che per decenni ha lottato per l’autonomia curda in Turchia. In ultimo, ma non meno rilevante, lo YPG è alleato con gli Stati Uniti nella battaglia contro i terroristi di Daesh. Quest’ultimo punto esplicita il paradosso su cui si regge l’attacco militare turco contro il cantone di Afrin.

La situazione del conflitto, tra strategie e alleanze geo-politiche, si fa sempre più complessa. Viene confermata da Nouri Mahmoud, l’inconsistenza di un’alleanza con il governo siriano, ricordando innanzitutto come i curdi siano stati duramente repressi dalle misure adottate dalla dinastia Assad. Tuttavia, sempre il portavoce dello YPG afferma che, viste le circostanze disastrose, è legittimo, per la protezione dagli attacchi turchi, avvalersi dell’aiuto del governo siriano per contrastare le azioni dei soldati nemici e fermare l’eccidio di decine di civili.

A questo c’è da aggiungere che in Siria e nell’area nordoccidentale si incrociano anche gli interessi delle due grandi potenze internazionali: Russia e Stati Uniti. Quale sarà la reazione di questi due Stati di fronte alla nuova situazione militare? La Russia avrà sicuramente da opporsi a qualsiasi accordo tra YPG e governo siriano, perché ciò complicherebbe i suoi rapporti diplomatici con la Turchia. Dall’altra parte, la milizia curda dello YPG è stata appoggiata e finanziata dagli Stati Uniti, in veste di alleato nella lotta contro lo Stato Islamico.

Non si può dimenticare il silenzio-assenso della Russia e della NATO, compresi gli USA, che hanno così autorizzato indirettamente l’operazione omicida turca su Afrin.

Ciò che avrebbe potuto evitare questa operazione era l’ostacolo rappresentato dalle truppe russe nella zona di Afrin. Tuttavia, Erdogan non poteva permettersi di condurre uno scontro con la Russia, perciò ha tenuto in sospeso l’avanzata militare, finché i Russi, a metà gennaio, hanno ritirato le loro truppe, permettendo l’avanzata dell’esercito di Erdogan sul quel territorio. Questa mossa equivale ad un effettivo assenso da parte del governo di Mosca.

Un altro ostacolo per i turchi sarebbe stata l’opposizione degli USA che stavano sostenendo i curdi nella guerra contro Daesh. Tuttavia, gli USA non hanno espresso una vera e propria opposizione, a parte avallare le preoccupazioni di Erdogan per la sicurezza del proprio paese. Anche questo atteggiamento equivale ad un assenso mascherato da un falso buonsenso.

In sintesi, gli USA e la NATO approvano l’avanzata turca per evitare che Assad, e di conseguenza l’alleato iraniano, riconquisti tutto il territorio e vinca la guerra civile e internazionale. La Russia sostiene Assad, ma non vuole che si rafforzi il suo potere tanto da poter fare a meno di Mosca e affidarsi esclusivamente a Teheran. Se la Turchia dovesse stabilire una zona d’influenza nel nord della Siria, i russi manterrebbero la fiducia dei turchi e continuerebbero a rivestire il loro ruolo di mediatori e arbitri fra Assad e la Turchia.

In questo risiko di giochi di potere e alleanze per servire gli interessi personali dell’una o dell’altra nazione, chi ci rimette sono, come sempre, i curdi, che hanno combattuto duramente per proteggere il territorio dalle forze armate di Daesh e che ora si vedono portar via dalla Turchia, col beneplacito di tutti gli attori in campo.

In sostanza, la resistenza curda, di fronte a questa operazione, si è trovata sprovvista di quelle alleanze che avrebbero potuto evitare l’eccidio di Afrin. Rimasti soli e costretti a trovare una soluzione, in primis militare, poiché quella diplomatica è caduta nel vuoto, i curdi si rivolgono a Damasco.

L’eventuale intervento siriano modificherebbe alla radice non solo l’operazione “Ramo d’Ulivo” ma anche i complessi equilibri bellici. La Turchia ha cercato incessantemente fin dal 2011 di far cadere Assad attraverso il sostegno ai gruppi d’opposizione. Gli esiti di questo tentativo hanno portato Erdogan, che temeva anche la fine delle relazioni con la Russia, ad aderire ai negoziati di Mosca.

Allo stesso tempo Damasco è consapevole che l’operazione di Erdogan sta seriamente minando il suo progetto di riconquistare il paese, poiché la Turchia ha annunciato l’intenzione di avanzare verso Manbij e strapparla ai curdi fino ad arrivare al confine con l’Iraq. Contemporaneamente Ankara sta continuando ad armare le forze d’opposizioni dell’Esercito Libero siriano anti-Assad, ad Idlib, come parte del piano per la realizzazione di zone cuscinetto. Oggi queste posizioni potrebbero diventare parte della morsa che i turchi intendono operare, con truppe in ingresso da Azaz a est, roccaforte dell’Esercito Libero, e da Reyhanli a ovest, provincia turca di Hatay.

Con “Ramo d’ulivo”, Ankara sta perseguendo un piano che va oltre l’eliminazione delle YPG nel nord della Siria: il presidente turco ha in mente una vera e propria sostituzione etnica, con l’apporto di una parte consistente dei rifugiati attualmente presenti in Turchia. In tale prospettiva, Erdogan otterrebbe da questa operazione un duplice vantaggio. In primo luogo, la struttura demografica di Afrin verrebbe modificata, vanificando le aspirazioni indipendentiste dei curdi, che da anni minacciano i domini territoriali della Turchia. In secondo luogo, una volta conquistata dalle Forze armate di Ankara, Afrin accoglierebbe un gran numero di rifugiati siriani e turcomanni, realizzando un vero e proprio mutamento demografico.

I cambiamenti sul campo di battaglia nelle prossime ore potrebbero mutare le sorti dello scontro e aprire un profondo dilemma internazionale. Di fronte alla retorica dominante che vede gli attori internazionali unici detentori del potere decisionale, il rischio è di recepire l’aspetto impersonale della guerra, per cui le morti e gli stermini sono una conseguenza remota del sancire o cambiare alleanze. Solo la costante presenza di una resistenza reale e dal basso può colpire il cuore delle strategie imperialiste, restituendo alla lotta armata di liberazione il suo reale valore, smascherando gli intrighi di guerra.