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Argentina, 8M: c’è un messaggio molto chiaro dietro la criminalizzazione della protesta

Lo scorso giovedì si è tenuta una conferenza stampa per denunciare gli arresti “arbitrari, illegittimi, illegali e violenti” realizzati dalle forze dell’ordine la notte dell’8 marzo.

Decine di organizzazioni femministe, sociali, politiche e dei diritti umani si sono riunite nella sede del Centro di Studi Legali e Sociali (CELS) ed hanno ripudiato e denunciato le azioni violente della polizia andate in scena dopo la mobilitazione che ha convocato 200 mila persone nella città di Buenos Aires, per lo Sciopero Internazionale delle Donne.

Paula Litvachky, avvocatessa dell’Area di Giustizia e Sicurezza del CELS, ha dichiarato che c’è “un inasprimento della risposta statale nell’ambito delle proteste sociali. Si può leggere senza dubbio come un messaggio di incertezza della garanzia del diritto alla protesta sociale”.

La polizia, secondo quanto denunciato dalle portavoce, ha effettuato “detenzioni enormi ed indiscriminate” in un contesto che considerano di “assenza di controllo con protezione politica”.

“Sono pratiche proibite alla polizia. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) nel caso Bulacio (un minore di età morto per lesioni durante arresti di massa nel ’91, ndr) ha condannato l’Argentina proprio per gli interventi di detenzioni di massa ed indiscriminate in assenza di ordine giudiziario, conosciute come razzie”, ha spiegato la Litvachky.

Poi chiarito: “Le razzie in un contesto post manifestazione sono conosciute come cacerìa. Ciò a cui abbiamo assistito è questo. Una caccia all’uomo della polizia due ore dopo la fine di una mobilitazione”. Si danno in questo modo, sintetizzò l’avvocatessa, “perché si approfittano dell’assenza di protezione delle persone, nel momento in cui una protesta si scioglie e non sono più accompagnate e contenute dalla mobilitazione”.

“L’intervento della polizia è stato totalmente irregolare, in assenza di qualsiasi caso di flagranza e con una azione estremamente violenta. È inoltre stato discriminatorio: tre ragazze migranti ed altre del collettivo lesbico che hanno raccontato di essere state aggredite verbalmente dalla polizia. Nel commissariato sono state poi sottoposte a perquisizioni vessatorie, anche queste proibite”, ha specificato l’integrante del CELS.

A ciò si aggiunge che, per giustificare la detenzione arbitraria, la polizia ha successivamente attribuito la causa dei provvedimenti “resistenza, attentato all’autorità, lesioni e/o danni. Questo è un chiaro messaggio di criminalizzazione della protesta”, ha assicurato.

Sono poi state oggetto di critica l’assenza di interlocutori politici o di soggetti di interlocuzione tra la polizia, che hanno reso molto difficile sia avere una lista esatta delle persone detenute, che quella delle cause di detenzione.

In questo senso, Maria Rachid, dell’Istituto contro la Discriminazione della Commissione per la Didesa del Popolo della Cittò di Buenos Aires, che – come la maggior parte delle partecipanti della conferenza stampa – ha passato la notte di mercoledì a girare per i commissariati, ha assicurato che “non c’è stato alcun provvedimento amministrativo né del potere esecutivo né di quello giudiziario, che fornisse un intervento per liberare le compagne ed i compagni detenuti durante tutto il tempo che erano lì, tra le 23 e le 9.30”.

“Stava circolando molta informazione e giravano molti video che chiarivano quale fosse la situazione”, disse. “E’ stato per l’appunto presentato un habeas corpus, per poter avere dell’informazione, come avviene quando si assiste alle peggiori pratiche poliziesche”, aggiunse la Livachky che è stata molto critica nei confronti dell’atteggiamento del potere giudiziario: “ Vogliono dare un messaggio alla protesta sociale, ma anche rafforzare l’idea che stanno mantenendo l’ordine pubblico”, ha ribadito.

Oltre all’arbitrarietà delle detenzioni – occorre precisare che sono state realizzate più di due ore dopo che la mobilitazione si era conclusa e che molte delle detenute erano nelle pizzerie della zona o erano giornaliste che stavano cercando di raccontare la giornata- vanno poi aggiunti i maltrattamenti fisici – una delle giovani è dovuta restare in piedi tutta la notte perché la cella vuota in cui l’avevano messa era coperta di feci- ed una gran deficienza nell’esecuzione del procedimento di rilascio. Inoltre, la polizia non si è identificata, come previsto per legge.

“Si sta cercando di disciplinare le donne che stanno prendendo parte a manifestazioni pacifiche, democratiche e di massa, per reclamare i propri diritti e contro i tagli. Vogliono intimorire le altre”, ha affermato Marina Carbajal, giornalista, parte del collettivo Ni Una Menos e della commissione direttiva del CELS.

Hanno partecipato alla conferenza stampa due delle giovani detenute. Una ha raccontato che le hanno fatto firmare un documento senza permetterle di leggerlo prima. L’altra che in varie occasioni scrissero che era stata detenuta a Plaza de Mayo e quando cercava di correggerli, perché era a vari isolati di distanza, le risposero che non importava.

Dal pubblico è intervenuto Horacio Verbistky, direttore del CELS, che non solo identificò Horacio Montagut (il giovane che teneva una bandiera del papa davanti alla cattedrale – atto all’origine di alcuni scontri andati in scena ore prima di fronte alla stessa, ndr-) come un lavoratore del Ministero della Sicurezza della Nazione e militante del gruppo neonazista Bandera Vecinal, ma ha anche assicurato che i fatti non sono stati casuali. “E’ stata una provocazione del governo nazionale, organizzata appositamente per far fronte alla grande manifestazione”, ha detto il giornalista di Pagina/12.

“Una studentessa delle superiori di Haedo, Marìa Cardozo, che andava per la prima volta ad una manifestazione, è stata colpita da tre proiettili di gomma provenienti dall’interno della cattedrale”, ha raccontato Laura Marrone, Consigliera della Citta per il Frente de Izquierda y los Trabajadores (FIT). “ Non è casuale che è stata ricoverata all’ospedale e che hanno cercato di separare ciò che è accaduto a lei ed altre ragazze dalle detenute”.

Questo giovedì sono intervenuti gli uffici della Procura Generale: l’Unità Fiscale Specializzata nella Violenza contro le Donne (UFEM) e la Procura contro la Violenza Istituzionale (Procuvin). Con queste ricerche specifiche si cercano di determinare responsabilità della polizia e politiche.

Dal Ministero Pubblico della Difesa di Buenos Aires (MPS), inoltre, è stato denunciata e rifiutata la violenza della polizia, “Sono state aggredite e detenute due lavoratrici dell’MPD, che erano lì per fare copertura della manifestazione e stavano cercando di registrare l’agire della polizia”, per poter realizzare le relative denunce davanti a Procurvin.

Mentre l’avvocato per i diritti umani Nelly Minyersky esprimeva la sua preoccupazione per ciò che ha considerato uno “storico passo indietro”, Marina Carbajal, del collettivo Ni Una Menos, ha ribadito quanto affermato dal movimento nel momento in cui sono stati resi noti i fatti: “Il collettivo delle donne ha dimostrato che questo tipo di azioni non scoraggia, è esattamente il contrario”.

Fonte: notas.org