editoriale

Crisi balneare

Borioso come pochi, inscalfibile sui social e nei sondaggi, Salvini sembra averla sparata troppo grossa, anche per i poteri forti che senz’altro, ai grillini, continuano a preferire lui. Le questioni geopolitiche, in particolare quella europea, sono forse più importanti di quanto sembrano per capire cosa accadrà nelle prossime settimane

C’erano una volta i «governi balneari». Nella nostra epoca torva, invece, abbiamo le crisi balneari. Intendiamoci, sto parlando di Salvini e Di Maio, di Conte e Giorgetti, ma sto parlando in primo luogo della balneazione e delle spiagge italiche; della crisi del turismo che Federalberghi non smette di registrare, che i tour di Salvini, i selfie di Di Maio e Boschi non fanno altro che esibire. E d’altronde: non solo il mare è sporco, le spiagge sono quasi interamente privatizzate, la nudità bandita o ghettizzata (come conviene a un paese pornografico e reazionario nello stesso tempo), il free camping violentato da multe istituzionali e “controlli” mafiosi; si paga il parcheggio e poi i lettini, gli ombrelloni e poi tutto il resto, nella grande ammucchiata degli stabilimenti, in cui rigorosamente si parla ad alta voce e si “abballa” bevendo cocktail, ma non si legge neanche una riga.

Insomma: portata al mare l’8 agosto dal panzone (tra)vestito da poliziotto, la crisi politica ci ha mostrato la crisi del mare del Bel Paese, e con essa quella dei corpi al mare, nella volgarità di costumi e bikini (sì, in Italia non solo ci viene inflitto il costume, ma, come i lucchetti sui ponti del Tevere e la parola ‘fidanzata’, sono tornati di moda i bikini), di palestrati e obesi – che sono due facce, è doveroso precisare, della stessa tragedia estetica. Uno sguardo per nulla ozioso, se si tratta di capire l’antropologia – tanto storica quanto strutturale, come direbbe Sartre – con la quale abbiamo a che fare.

«Barbari», dice Repubblica. «Barbari», chiarisce Galli della Loggia. Che però, senza per nulla giustificarli, li usa per dare legnate non piccole agli «ottimati», la classe dirigente – moderata, di centrosinistra, del partito di De Benedetti – che nella Seconda Repubblica non ha fatto nulla per contenere la slavina. Anzi, con le pasticciate riforme della scuola ha favorito l’emergere e la diffusione della barbarie e del rancore. Nulla da eccepire, peccato che fu proprio il Corriere della Sera – la penna di Galli della Loggia in particolare – a sostenere lo sfondamento neoliberale e “americano” dell’istruzione pubblica, dalla scuola fino alla ricerca. Stigmatizzando, se non criminalizzando, i movimenti che dall’Onda in poi a quello sfondamento si sono opposti.

Ma si sa, il giornalismo italico, soprattutto quello dei salotti che contano, non ha pudore: afferma tutto il contrario di tutto pur di coprire le responsabilità padronali che fanno del nostro paese anello debolissimo e scalino tra i più bassi della nuova divisione internazionale del lavoro. Le riforme, se ricordate, avevano l’obiettivo di adeguare il sistema formativo al mercato del lavoro, e nessuno – né padroni dalla «pancia piena» né politiche pubbliche – si pose il problema di rilanciare gli investimenti in innovazione e ricerca. Il risultato, amaro, è ormai evidente a tutti: i giovani sono overeducated per il tessuto produttivo italico; la fuga all’estero degli stessi impazza inarrestabile da dieci anni, tanto che siamo un paese di emigrazione e non – come blaterano Salvini e Meloni – di immigrazione.

In attesa di quanto accadrà tra poco in Senato, si parla in queste ore di un accordo di legislatura tra 5S e Pd, a maggior ragione dopo l’incontro domenicale a casa Grillo. In molti nel Pd, d’altronde, lo stanno proponendo, Prodi compreso. Sicuramente una sparata giornalistica, soprattutto del Corsera, per movimentare le acque, più di quanto già non lo siano. Meglio: non possiamo per nulla escludere che Grillo e parte del Pd facciano sul serio, anzi. Senz’altro in molti, tra quelli che più hanno fomentato la mossa salviniana e che semmai oggi criticano come tardiva, puntano a far saltare la trattativa. Comunque sia, difficile credere che i “giallorossi” ci riescano in tempi rapidi: la trattativa è solo agli inizi, i colpi di scena saranno continui. Staremo a vedere e prepariamoci alle montagne “russe” – in senso letterale.

Ho ripreso la lettura dei cartacei padronali da qualche giorno, dopo una pausa rigorosamente lontana dalle coste italiche: ciò che molto mi colpisce, nella bolgia pecoreccia dei selfie, è la questione geopolitica. La sovraesposizione di Salvini sul fronte russo e il mancato sostegno a von der Leyen (votata, alla fine, anche da Orbán) hanno sollecitato reazioni che scavalcano il limitato orizzonte dei padroncini padani; e hanno accreditato Conte e i 5S nei palazzi di Bruxelles e Berlino. Se fossero puntellati dal Pd, Renzi incluso, Merkel e Bce sarebbero più che tranquilli. Putin, ma lo stesso Trump, vanno in direzione contraria, è ormai cosa nota. Salvini indubbiamente piace a entrambi.

Ma non è detto che Trump sia disposto a consegnare la penisola a Putin; e, di più, a ritirare le sue basi Nato dall’Italia, almeno non ora – attende il suo rinnovo, per approfondire la spinta isolazionista al momento solo paventata. Insomma, la crisi balneare pare un groviglio del cortiletto italico e dei suoi “capitani” al mare, ma a occhio si gioca un gioco ben più complicato, ed epocale. Ne va del futuro della Ue. Ordoliberale, violenta e tecnocratica, l’Europa dei Trattati e dell’austerità non può essere giustificata né difesa. Siamo però convinti che uno staterello invecchiato, rancoroso e in buona parte razzista, per giunta satellite di Putin (che non è un comunista della Terza Internazionale), sia preferibile all’Unione Europea? Come sempre, lottando aspramente, si tratta di saper scegliere – ove possibile – il campo di battaglia migliore.

Ora più che mai, dunque, servirebbero movimenti sociali. Che vanno ricostruiti, privilegiando ampie convergenze, robustezza (e non banalità) programmatica, radicalità e intelligenza delle forme di lotta. Diciamo sociali, ma dovremmo aggiungere europei. La sfida continentale è omessa dalle agende di chi lotta: errore fatale che, in questo momento più che mai, nessuno può permettersi. L’Europa in frantumi di Trump o di Putin sarà l’Europa delle piccole patrie e della guerra, fin qui tenuta ai bordi o sprofondata, con i suoi corpi in fuga, nel Mediterraneo. Non capirlo è segno di miopia o malafede; non fare nulla per impedirlo, costruendo intanto un’Europa alternativa, fitta di contropoteri e istituzioni del comune, è follia masochistica.