ITALIA

25 aprile degli Spazi Sociali e dei Beni Comuni a Napoli: il racconto della giornata

Una festa dedicata alla liberazione degli spazi abbandonati restituiti alla collettività e alla resistenza alle dinamiche di privatizzazione della città

«Da quando è uscita la sentenza, ci hanno fatto un piacere, perché non ho mai visto tanta gente stringersi attorno a noi. Siamo diventati più forti». 25 aprile, Parco Sociale Ventaglieri, Montesanto, sulla parete di un edificio prospiciente il parco, ci sono le tracce di uno dei tanti murales dipinti da Felice, insieme a cui Mirella 40 anni fa ha fondato a Scampia il GRIDAS, Gruppo Risveglio dal Sonno.

Mirella ce le indica nel suo intervento di apertura a un pomeriggio dedicato alla resistenza partigiana, all’antimilitarismo, ma forse, più di ogni altra cosa, alle diverse storie di cura che attraversano gli Spazi Sociali, gli Spazi Occupati, i Beni Comuni a Napoli.

Foto di Maria Reitano

Il GRIDAS è attualmente sotto sgombero e condannato da sentenza civile a pagare le spese processuali, in un momento in cui le politiche urbane messe in campo dalla nuova amministrazione aspirano a “mettere a reddito” gli immobili di proprietà comunale dove risiedono comunità e presidi culturali e sociali.

Il discorso di Mirella è esortazione pacifista a costruire una forza dal basso in grado di portare all’attenzione delle istituzioni i problemi quotidiani delle persone. Per questo, spiega Martina del GRIDAS, al corteo della mattina e poi al parco ha sfilato il carro allegorico di San Ghetto Martire, protettore delle periferie, in quanto metafora dell’assenza istituzionale sui territori, così come dell’inadeguatezza dei tanti interventi straordinari determinati da politiche urbane emergenziali, sorde di fronte alle richieste umili – diciamo pure diritti – del* abitant* delle periferie, casa, lavoro, luoghi d’incontro.

A Scampia, è il caso degli edifici abitativi ingestibili come il complesso residenziale delle Vele reso inabitabile da anni di incuria, della piazza dei Grandi Eventi, frutto di un maxi intervento di trasformazione urbana che risulta in un grande spazio vuoto privo di arredo urbano, nonostante le tante proposte delle associazioni del territorio.

Il Gridas, insieme alle altre realtà sociali di Scampia, organizza il Carnevale Sociale di Scampia, quest’anno al suo quarantesimo anniversario, da cui nel tempo sono nati molti altri Carnevali Sociali in tutti i quartieri di Napoli con lo scopo di irridere il potere e mostrare tutte le problematiche invisibilizzate della quotidianità attraverso il lavoro manuale collettivo all’insegna del riciclo dei materiali.

Quando le chiediamo da dove derivi l’idea di questo 25 aprile, Silvana del Giardino Liberato insiste proprio sul valore territoriale della rete dei Carnevali Sociali, in grado, attraverso i principi condivisi di antifascismo, antisessismo, antirazzismo, rispetto per l’ambiente, di raccontare le diversità dei quartieri e il tessuto relazionale mutualistico che li caratterizza. Sui grandi striscioni dipinti dal Gridas si legge «Il GRIDAS non si tocca», «la cultura non si svende, giù le mani dai presidi culturali».

Riguardo le ormai già esplicite intenzioni dell’amministrazione napoletana di privatizzazione dei beni culturali e di capitalizzazione di Spazi Sociali e Beni Comuni, Martina è perentoria: «Non si può mettere a reddito uno spazio sociale che offre dei servizi quotidiani al quartiere, di sussistenza. Se si volesse monetizzare, ci sarebbe da considerare il costo di non farle queste cose».

Foto di Maria Reitano

La scelta del Parco Sociale Ventaglieri per ricordare la Liberazione non è casuale. I lavori di realizzazione del parco terminano nel ‘93, tuttavia rimane abbandonato fino al ‘95, quando a seguito dell’occupazione di una palazzina di tre piani nasce il DAMM, Diego Armando Maradona Montesanto, l* cui attivist* si dedicano all’organizzazione di eventi culturali, a un lavoro di animazione per l* bambin*, al recupero della struttura, e alla pulizia del parco.

Questo costringe il Comune a destinarvi dei giardinieri e a mettere in funzione le scale mobili. Ma la storia delle lotte nel quartiere non finisce qui. Negli anni nascono numerose associazioni e si susseguono diverse occupazioni, tra cui Le Scalze (Forum Tarsia), Scugnizzo Liberato, e Sgarrupato.

Quest’ultimo divenuto centro giovanile di quartiere finisce al centro di una polemica a seguito della visita dell’assessora alle politiche giovanili.

A partire da questo evento, la necessità di incontrare le altre realtà cittadine al centro di attacchi relativi alla gestione degli spazi, e di fatto alle pratiche messe in campo dalle comunità per rispondere ai bisogni reali e immediati del territorio.

È in questo parco riappropriato dal* abitant* del quartiere di Montesanto che si è voluto organizzare il 25 aprile degli Spazi Sociali e dei Beni Comuni, a seguito di alcune assemblee che si sono svolte presso la sede del GRIDAS di via Monterosa e allo Sgarrupato, con l’idea di trasformare il parco in uno spazio diffuso di pratiche antifasciste.

L’allestimento comincia dalla mattina. Ci sono stand informativi su diritto all’abitare e alla città, Beni Comuni e autoprogettazione, Carnevali Sociali, mutualismo, diritto alla salute, diritto all’accoglienza. Partecipano anche associazioni e organizzazioni no-profit, come Mediterranea Saving Humans Napoli.

Sono stati organizzati workshops e laboratori per bambin*, come lettura e riciclo, il teatro delle guarattelle a cura di Bruno Leone, e attività di sport popolare, come il torneo di calcetto per bambin* e ragazz* dello Spartak San Gennaro e il laboratorio di pallacanestro pop.

C’è poi la cucina di Nessuno Escluso, l’associazione che svolge le sue attività in strada al fianco dei senza fissa dimora e ha lo Scugnizzo Liberato come base per raccogliere abiti e cucinare pasti caldi.

Nel pomeriggio il confronto pubblico con interventi sul ruolo di Spazi Sociali e Beni Comuni nel contrasto alle dinamiche di privatizzazione della città. In apertura e chiusura della giornata la musica delle Murghe e della Scalzabanda.

Foto di Martina Pignataro

Lo stand allestito dal Movimento per il Diritto all’Abitare, conosciuto a Napoli come “Magnammece ‘O Pesone”, letteralmente “mangiamoci l’affitto”, è dedicato ai materiali informativi su campagne antisfratto e sportelli per il diritto all’abitare attivi allo Sgarrupato, all’Ex scuola Schipa, a Santa Fede Liberata.

Gli sportelli offrono supporto legale e consulenze per morosità incolpevole e per il sostegno all’affitto. Alfonso del Movimento per il Diritto all’Abitare, raccontando la recente esperienza degli sportelli, riporta di una gravissima condizione di marginalità sociale determinata dalla fine del blocco degli sfratti concesso durante il periodo pandemico più acuto.

Secondo i dati della prefettura, risultano essere da 10 a 12mila gli sfratti esecutivi previsti a Napoli, a fronte di una media annua di 1700.

Si tratta di un’emergenza abitativa che riguarda 60mila persone, in una città metropolitana, terza in Italia, che non è dotata di una graduatoria pubblica per le case popolari. Alfonso insiste sulla necessità di «costruire un ragionamento in cui esiste un reddito non monetario, legato a un’economia dell’uso del territorio».

Nel suo intervento, Anna di SET Napoli, Sud Europa di fronte alla Turistificazione, insiste sulla necessità di resistere a quel modello di città basato sulla privatizzazione dello spazio pubblico.

Si riferisce in particolare al Piano della Cultura, progetto per la realizzazione di fondazioni culturali, e all’accordo firmato dal Comune di Napoli con Invimit per la gestione del patrimonio di proprietà comunale.

«Questo patrimonio serve a esercitare i diritti, non serve a fare reddito o cassa». Anna ci racconta della nascita del nodo napoletano della rete SET in un momento di forte aumento del turismo determinato da piattaforme digitali come Airbnb, che consentono di aggirare le tassazioni sulle imprese turistiche.

Da qui l’aggravamento della già esistente emergenza abitativa dovuta alle condizioni insopportabili per l* lavorat* precar* imposte dal mercato degli affitti.

SET si occupa di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questi temi, sottolineando l’urgenza di produrre consapevolezza collettiva sulla questione abitativa e di ripensare le economie territoriali perché siano effettivamente sostenibili sui piani ambientale e sociale.

Foto di Maria Reitano

Anche Mi Riconosci? Campania, l’associazione che a marzo scorso ha fatto partire la petizione contro la privatizzazione della gestione dei siti di interesse culturale a Napoli, partecipa alla giornata distribuendo materiale informativo.

Mi Riconosci?, spiega Enrico, si occupa di tutela dei diritti di lavorat* e student* nell’ambito dei beni culturali e studia gli impatti che il fenomeno sempre crescente della turistificazione sta determinando in varie città italiane. Nella petizione Mi Riconosci? rivendica il diritto a poter fruire gratuitamente dei servizi e del patrimonio culturali, sottolineandone la natura pubblica e civica.

Tanti sono gli spazi e le realtà che hanno partecipato all’allestimento degli stand sulle pratiche mutualistiche, veri e propri servizi civici accessibili a tutt* grazie a quelle pratiche collettive in grado di sovvertire il sistema gerarchico proprio dell’assistenzialismo attraverso la costruzione quotidiana di processi di reciprocità, interrelazione, e soggettivazione politica.

Tra questi, la bottega di Amma, iniziativa nata all’interno dello Scugnizzo Liberato. Si tratta di un progetto di mutuo aiuto e supporto alla genitorialità attivato in seguito alla crisi pandemica.

Amma raccoglie e distribuisce beni per l’infanzia attraverso pratiche di scambio e riuso, offre sostegno alla maternità, e si occupa di informazione in materia di servizi rivolti alla genitorialità. Progressivamente, spiega Marta di Amma, «entriamo nelle famiglie, veniamo a conoscenza delle problematiche, emergono problemi comuni».

La bottega è diventata un punto di riferimento per le famiglie del quartiere, che in questo spazio hanno potuto entrare in relazione e supportarsi a vicenda. Oltre a Amma, lo Scugnizzo Liberato è presente in forme differenti, caratteristiche della sua comunità eterogenea.

Un giocattolaio di origine peruviana e un falegname del quartiere mettono in mostra i loro giochi di legno, frutto della condivisione di uno spazio di lavoro. Tonino, reduce dal restauro delle vetrate di San Domenico Maggiore, espone alcuni lavori più piccoli così da poter raccontare il suo mestiere, che è uno dei fondamentali dell’arte classica napoletana.

Lina, Alessia e Valentina del laboratorio di ceramica si destreggiano tra l’argilla e la pittura seguite da un gruppetto di instancabil* bambin*. Djassa, il barbiere capoverdiano, gestisce il playground improvvisato nella parte bassa del parco e si dimentica di mangiare, preso com’è da una platea multiforme che si affaccia a giocare.  

C’è poi lo stand informativo sull’Ambulatorio Popolare dell’Ex-OPG, quartiere Materdei, che comprende sportelli di medicina generale e specialistici. Alessia dell’Ambulatorio Popolare ci spiega che questo presidio nasce da esigenze del quartiere, con particolare riferimento alla popolazione migrante.

Parte dell’Ex-OPG è infatti anche lo sportello legale organizzato dal Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli, MMRN, attraverso cui è stato possibile mettere in luce le difficoltà di accesso alle cure mediche da parte di persone con un background migratorio.

L’Ambulatorio propone un modello sanitario di prossimità capace di assicurare un primo accesso alle cure e indirizzare poi verso il sistema sanitario nazionale. «Sono sempre meno i presidi sanitari territoriali. Sono depauperati di risorse a favore di un tipo di sanità che mette l’ospedale al centro, che è un sistema che rende difficile fare prevenzione, che non ti consente di parlare».

Alessia racconta anche del lavoro politico di inchiesta portato avanti dall’Ambulatorio Popolare sul funzionamento dei servizi sanitari a Napoli. Altra iniziativa dell’Ex-OPG è quella del Banco Popolare Alimentare Sanacore.

Il progetto è nato durante il primo periodo pandemico grazie a una campagna di crowdfunding e raggiunge tuttora 170 famiglie della II Municipalità di Napoli con sostegno alimentare mensile. Fabio e Marco di Sanacore raccontano del dialogo costante con queste famiglie e dei diversi percorsi attivati con la loro collaborazione, di un “mutualismo politico”, un processo che a partire dal coinvolgimento del* abitant* del quartiere nelle iniziative di cura porta alla realizzazione di inchieste sulle esigenze della città e momenti di confronto pubblico.

Del quartiere Materdei è anche il Giardino Liberato. Silvana racconta che le attività quotidiane del Giardino, cineforum, biblioteca, kendo, aikido, piuttosto che rimanere chiuse all’interno dello spazio, costituiscono il tessuto relazionale forte con l’esterno, con il quartiere. Proprio l* abitant*, dice Silvana, richiedono a gran voce un segnale di ripartenza dopo i due anni di pandemia.

Foto di Martina Pignataro

Per questo il prossimo 14 maggio si organizzerà la Festa multiculturale del Friariello. Silvana si sofferma sul percorso di questo spazio, condiviso sin dall’inizio con il quartiere.

«Non è una questione di welfare. Noi non andiamo a sostituire nessuno. Non è un lavoro di supplenza», ma appunto di «legame con il territorio».Ne è esemplificazione il laboratorio di teatro per anzian* che, attivato dieci anni fa con la liberazione collettiva dello spazio, rappresenta ancora oggi un fondamentale presidio di socialità.

«La mensa, l’ambulatorio, gli sportelli non sono sostitutivi dell’incapacità delle istituzioni di intervenire sui problemi. È questa la cosa che fa più paura. All’interno delle iniziative di solidarietà che ognuno esprime, c’è un punto di vista non di tipo caritatevole, ma che dà l’ipotesi di un’altra società. È questo che ai perbenisti fa molta più paura».

Raffaele di Santa Fede Liberata, centro storico, descrive questa giornata di liberazione come una fotografia di cosa succede in città rispetto alla molteplicità di iniziative dal forte impatto sociale. Ognuna di queste esprime l’eterogeneità del contesto urbano e dei punti di vista.

Quello di Santa Fede è la povertà. Ogni martedì e venerdì a Santa Fede si auto-organizza la mensa comunitaria, che, come spiega Luciano nel racconto della sua storia legata a questo spazio, non è una mensa per l* pover*, ma uno spazio per la reciprocità basato su autofinanziamento e autogestione.

La gerarchia di matrice caritatevole, dice Raffaele, tra chi dona e chi accetta il dono va sovvertita attraverso pratiche quotidiane di autodeterminazione e emancipazione che possano affermare la dignità di tutt*.

Come quelle legate alla possibilità di decidere della propria vita, di scegliere un modo diverso di produrre e mangiare che sfugga al modello di produzione basato su consumi differenziati per classi sociali.  

Alla fine della giornata, ritorna quel monito pacifista di Mirella sulla necessità di progettare l’unione dal basso.

«Almeno noi, che abbiamo capito le cose come stanno, cerchiamo davvero, visto che oggi si parla di pace, di cominciare a costruirla prima di tutto con i nostri vicini, con quelli che più o meno hanno percorso le stesse nostre strade e che magari adesso se ne stanno allontanando. Se non ci crediamo davvero come facciamo a convincere gli altri, quelli che non ci credono?»

Immagine di copertina di Maria Reitano