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2016: music is (not) over. Special cult di fine anno

Il 2016 si conferma annus horribilis per la musica

David Bowie, Paul Kantner, Keith Emerson, Prince, Leonard Cohen, George Michael e molti altri… L’Olimpo si riempie di grandi artisti, a noi rimane la loro arte. In questo articolo proponiamo uno Special Christmas Edition per festeggiare le feste comandate a modo nostro, parlando di musica.

Nessun coccodrillo, David Bowie ha spalancato “i cancelli del cielo” per tanti e tante, e noi per dispetto ci ascoltiamo le loro canzoni immortali…

David Bowie (8/01/1947-10/01/2016)

Un alieno sbarcato da Marte sul pianeta terra con una chitarra rock dentro al ventre. L’eroe, l’idolo di tutti i freak ribelli. Un viaggio sotto il cielo illuminato dalla luna, la sua vita: arte. Ziggy, il primo alter ego di B., non è un solitario e la sua forza musicale viene fuori dalla contaminazione artistica e umana.

“È però con The man who sold the world (1970) e Hunky Dory (1971) che prenderà forma un singolare stile di fare musica e la sua figura comincerà ad assumere nuove sembianze preparando l’imminente svolta glam. In essa è contenuta la quintessenza politica della sua opera: se fino ad allora il rock aveva permesso ai figli della working class di liberare le movenze del corpo, di sperimentare sex and drugs, e, in alcuni casi, la ricchezza, il glam fa dei proletari la «nuova aristocrazia». Un’anarchia incoronata, per dirla con Artaud, dove l’alto e il basso sono l’effetto di una «distribuzione folle» dei posti e delle identità. Dietro le maschere, i rossetti e i colori sgargianti, non bisogna vedere alcuna trasgressione dunque, quanto una rivendicazione politica”.

Bowie, il Duca Bianco, l’artista camaleontico per eccellenza, non solo esteticamente, continua a sorprenderci sempre tra gli anni ‘70 e gli ’80 (quelli del successo di massa). Una volta con un rif di chitarra ipnotico che risuona come un diapason nello spazio, in uno degli assoli più incredibili della storia della musica (Moonage daydream), una volta con una disamina della storia americana recente attraverso “the picture window” a ritmo di sax (Young Americans)…

L’alieno osserva l’umanità stretto nel costume di paillettes con uno sguardo attento. “You can be mean” (Heroes), possiamo non essere sempre in gara l’uno contro l’altro nel girone dei meritevoli, in fondo siamo semplicemente umani, che a volte diventano re e regine per un giorno solo se amano. “Silhouettes and shadows watch the revolution” (Scary Monsters), ma possiamo anche scomodare Emma Goldman nell’interpretare il messaggio di B., “If I can’t dance it’s not my revolution”… sessuale, culturale etc… In parte l’uomo delle stelle giunto da una galassia lontana, sembra averci suggerito questo, dunque… Let’s dance! Continuiamo a ballare nel pianeta terra, freaks di ogni specie viventi nel tempo e nello spazio.

“Non disperiamo dunque della sua scomparsa e smettiamola di essere tristi: il potere impersonale della metamorfosi a cui David Bowie ha prestato il nome, non può essere fermato certo dalla morte. Può farlo solo la noia e la stanchezza”.

Testi completi su:

David Bowie: che genere di alieno?

We can be Bowie

Glen Frey (6/12/1948-18/01/2016)

Cantautore, musicista statunitense e uno dei membri fondatori del gruppo musicale degli Eagles. Milioni di dischi venduti, uno dei gruppi rock più influenti degli anni settanta, il loro stile risente dell’influenza di vari generi targati US, dal country, al soft rock al rock ‘n’ roll, sulla scia del folk rock dei Byrds e verso una dimensione sonora che si avvicina al rhythm and blues. L’album Hotel California del 1976 si lascia alle spalle il country per deviare maggiormente verso il rock.

L’Hotel California con la copertina del famoso Beverly Hills Hotel costruito nel 1912 (quando ancora non era stata creata la famosa impalcatura trash della scritta Hollywood) e situato al 9641 di Sunset Boulevard, a Los Angeles , è davvero una struttura di gran lusso dove “puoi lasciare libera la stanza quando vuoi ma non potrai andartene mai”. Così tante stanze, quante le interpretazioni che si possono immaginare per la canzone. Un’allegoria dell’edonismo e dell’auto-distruzione dell’industria musicale della California, il manicomio di Carminio, l’ingresso di una setta satanica… Mentre alcuni termini in spanglish accompagnano il ritmo, “on a dark desert highway” la porta dell’hotel si spalanca oltre il confine con il Messico: “welcome to the Hotel California/ Such a lovely place/ Such a lovely face” l’hotel presenterà presto il suo conto salato. Specchi sul soffitto/ champagne rosato e ghiaccio/ e lei disse “siamo tutti prigionieri qui”/ nella camera del capo/ sono pronti al banchetto.

Paul Kantner (17/03/1941-28/01/2016)

Co-fondatore del gruppo Jefferson Airplane, protagonista della scena musicale e artistica di San Francisco a partire dagli anni ’60, in piena Summer of Love. Quando il rock segnò la vita e la politica mondiale. “Questa generazione non ha nessuna meta da raggiungere” ma “Basta piangere”. “Got a revolution […] one generation got old, one generation got soul”… Continuando poi sempre a piccoli e “progressive” Blows Against the Empire.

L’album Surrealistic Pillow del 1967 è considerato uno degli album chiave nella scena psichedelica mondiale. Compagno anche nella vita della lead singer Grace Slick, icona femminista del gruppo, Kantner chitarrista molto bravo, è anche autore e poeta di alcuni dei testi più famosi della band. Politicamente schierato, più volte nei guai con le forze dell’ordine, in prima fila per la legalizzazione della cannabis. Dai festival storici di Monterey, Woodstock e infine Altamont, i Jefferson Airplane attraversano come il bianconiglio (White Rabbit) di Alice in Wonderland un’epoca in cui ci si ritrovava la sera a cantare con David Crosby, in hotel con Jim Morrison, a cena con i Grateful Dead, a prendere il tè con Abbie Hoffman…


Maurice White (19/12/1941-3/02/2016)

Fondatore nel 1969 degli Earth, Wind & Fire, un gruppo molto influente che ha saputo spaziare nel tempo, attraverso diversi generi musicali: r&b, soul, funk, jazz e disco. White – anche produttore musicale di molte stars – introduce il suono della kalimba, uno strumento di origini africane nelle sonorità della band. Elio e le Storie Tese gli dedicarono la canzone T.V.U.M.D.B., citando la loro musica e lo stesso Maurice White.

Keith Emerson (2/12/1944-10/03/2016)

“Domani è storia di ieri e l’arte ci sarà ancora, anche se la vita termina”. Un autentico genio delle tastiere, maestro nell’uso dell’organo e del pianoforte. Sin da bambino un enfant prodige nell’esecuzione di pezzi di musica classica. Insieme a Greg Lake, proveniente dai King Crimson e Carl Palmer, proveniente dagli Atomic fonda gli Emerson, Lake & Palmer, che divenne uno dei più significativi gruppi rock progressive degli anni settanta. Iniziarono ad esibirsi insieme in grande stile al Festival dell’Isola di Wight.

Johann Sebastian Bach, Čajkovskij, Sergej Prokof’ev, la musica classica dal barocco al 1800 che si fonda e rivive attraverso il cuore pulsante del rock. Il terzo album della band, Pictures at an Exhibition dà nuova vita e riattualizza l’opera di Musorgskij, che celebra la Russia del 1874. Ogni composizione, rappresenta un quadro che prende vita attraverso lo sguardo di un osservatore che vaga da una tela all’altra. Emerson per un periodo visse in una casa, di sua proprietà, precedentemente abitata da J.M. Barrie, il creatore del personaggio di Peter Pan. Si è suicidato a 71 anni con un colpo alla testa; soffriva di depressione a causa della malattia alla mano destra, che ormai lo obbligava a suonare la tastiera con otto dita, e con una prognosi di ulteriore peggioramento. Nove mesi dopo si è spento per un tumore anche l’altro co-fondatore, Greg Lake a 69 anni.

Roberto Perciballi (2/12/1964-20/03/2016)

Musicista, scrittore, artista, storico frontman dei Bloody Riot e protagonista indiscusso della scena punk romana. Nel 1981, dalle ceneri degli anni di piombo nascono a Roma i Bloody Riot mentre la città è ancora periferia isolata dall’underground e dalla sottocultura punk che attraversa l’Europa. Per i gruppi rock progressive, sia per quelli teenybop lo studio era un mezzo creativo, mentre le performance dal vivo erano i luoghi dove il suono registrato sul disco veniva riprodotto. Il punk invertì quest’ordine di priorità. Ogni band poteva trovare la propria identità suonando dal vivo e fondendosi con il suo “pubblico”.

“I loro poemi sono insalate di parole contenenti oscenità e ogni immaginabile prodotto di scarto del linguaggio… Un fine sovrasta tutto: offendere il pubblico”. Benjamin si riferiva così ai dadaisti degli anni ’30 in termini di shock, e in effetti è questo anche il fine dell’estetica dell’avanguardia. Il sogno impossibile del punk era quello di abolire la distanza, e quindi la differenza tra esecutore e pubblico. La nascita del punk in Italia si è intrecciata al movimento della sinistra extraparlamentare. Da questo incontro, quasi inesistente altrove, esplode un’originale esperienza che utilizza gli spazi occupati dalla precedente generazione per organizzare concerti autogestiti e articolare un’innovativa e radicale proposta politico-esistenziale. Lungo tutta la penisola decine e decine di gruppi punk formano un circuito perfettamente funzionante che crea le basi di un preciso stile di vita anticonformista e riot, destinato a influenzare in profondità anche il presente.

A Rione Monti, il quartiere ora colonizzato dagli hipster, il muretto dove si incontrano quei quattro adolescenti che saranno la prima formazione punk romana ad incidere un disco autoprodotto. Da “Contro lo Stato”, a l’inno contro ogni dipendenza “No Eroina” e la esaltante “Naja De Merda”, contro il servizio militare obbligatorio all’epoca, che divenne un mantra nelle caserme anche per quei giovani di leva che del punk non conoscevano nulla.

“Allora non avevamo il centro sociale, eravamo sempre quattro stronzi. Ora ci sono i centri sociali, un sacco di altri posti e una quantità incredibile di gente. Comunque, mica li puoi far diventare tutti punk… Che ti credi?”. Nel 1983 c’erano le feste davanti al Forte Prenestino. I Bloody Riot ci sono anche quel primo maggio, “la pietra miliare della Roma underground, una delle prime volte in cui punk e skin si ritrovarono a pogare insieme sotto il martello hardcore dei Bloody Riot e il combat-ska della Banda Bassotti”. Il gruppo con varie formazioni e tra varie interruzioni, ha continuato a suonare fino al 1987, anno in cui si è definitivamente sciolto, con l’ultimo concerto dal vivo tenuto nell’aula Magna dell’Università La Sapienza.

“L’arte è l’unico posto in cui può accadere quello che abbiamo in mente per rappresentazione. Cioè, solo là io sono libero, è un territorio possibile per sperimentare cose… Come una specie di TAZ. […] L’arte dà una possibilità infinita”.

Prince (7/06/1958-21/04/2016)

Eclettico, camaleontico nel’arte, nella vita, nella scena musicale, l’unica cosa a cui rimarrà sempre fedele è la matrice black. James Brown, Sly & the Family Stone, Stevie Wonder, il soul della Motown che si fonde nel rock irriverente di Jimi Hendrix e Frank Zappa in questo poliedrico musicista dai mille nomi d’arte. “Un androgino nero dai tratti demoniaci e arroganti che per molti versi può essere considerato l’esatta controparte di Michael Jackson. Inquietante, […] destabilizzante il primo, romantico, pacifista, in fondo un bravo ragazzo, il secondo”.

Il suo personaggio, così come la sua musica, sono una perfetta unione tra funky, rhytm’ n’ blues, electric boogie, il narcisismo dandy della new wave elettronica, e le rivendicazioni delle minoranze etniche: “There is a future (a future worth fighting).” Icona tagliente degli anni ’80, è anche compositore e autore raffinato e chitarrista eccellente.

Pete Burns (5/8/1959-23/10/2016)

Cantante, musicista e frontman della band Dead or Alive, un mix di new wave e dance anni ’80. Una sessualità sempre protagonista nei testi e nella presenza scenica di Burns, abbigliamento androgino, sempre ultra kitsch e make-up deciso… Insieme all’eterno rivale Boy George, una delle prime star gender benders. Il loro singolo più celebre, You Spin Me Round (Like a Record) è un inno al queer, alternato da un accompagnamento orchestrale degli archi, basato sul famoso pezzo classico la Cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner.

Leonard Cohen (21/10/1934-7/12/2016)

Poesia e musica. Cohen ha amato i maestri del blues. Da Keats e Shelley al lirismo di Robert Johnson. Alla scena musicale, Cohen si avvicina grazie alla cantante e amica Judy Collins che lo incoraggia ad esibirsi rompendo la sua paura del palcoscenico, chiedendogli di suonare alla Town Hall, a New York, in un evento contro la guerra in Vietnam. Suzanne del 1966 ne decreta il successo universale, racconto sfuggente, biblico “Jesus was a sailor” e intessuto di immagini sognanti: il desiderio.

L’ incontro con John Hammond, una delle figure più importanti della musica del XX secolo, che per primo disse: “Watch out, Dylan!” Il link di Cohen e Bob Dylan erano evidenti, la matrice ebraica, letteraria, una fascinazione per il simbolismo biblico, ma Dylan con il suo tratto più surrealista, Cohen più liturgico, la loro opera è stata divergente. Due grandi artisti. “Quando la gente parla di Leonard Cohen” – disse Dylan – “si dimentica di ricordare le sue melodie che, secondo me, insieme alle parole che scrive, sono il suo tratto più geniale”. In certi pezzi di Cohen sembra che il canto, la linea melodica, arrivi ancora prima delle parole che sembrano plasmarsi quasi da sole.

Da qui nasce la maestosa semplicità di Hallelujah, 1984, esito di un processo compositivo lungo e complesso. “È un desiderio di affermazione della vita, non in un qualche significato religioso formale”, ”l’alleluia non è un omaggio a una persona adorata, a un idolo o a Dio, ma è l’alleluia dell’orgasmo. È un’ode alla vita e all’amore”. Da alcune interviste, dal flusso di parole, quasi un omaggio a Nietzsche. “If you want a lover / I’ll do anything you ask me to / And if you want another kind of love/ I’ll wear a mask for you”. La voce potente di I’m your man. Per Cohen, le donne non sono un universo da esplorare, da studiare, da possedere, esistono e questo basta per amarle. Perché tutt* siamo “solo” esseri umani sul palcoscenico della vita e nella performatività della musica.

Nel 1970 dopo la rivolta studentesca nella Kent State University in Ohio e la morte dei quattro studenti uccisi dalla polizia, The Partisan, che parla della Resistenza, quella senza epoca. Tutto è in costante movimento… Negli anni ’90 MTV rivoluziona il mondo della musica, il suo accesso, trascinandosi dietro di tutto, la “macdonalizzazione” si estende a livello planetario, i media amplificano la violenza, l’alienazione negli slurbs, la sua canzone The Future accompagna il viaggio on the road distruttivo di Mickey e Mallory Knox – in Natural Born Killers– che non sono gli hippies sognatori di un nuovo mondo come Peter Fonda e Dennis Hopper in Easy Ryder che finiscono ammazzati lungo la strada per la Florida, ma il prodotto della televisione e dei media che imbracciano il fucile per uccidere l’American Dream o trasformarlo in un reality show…

La giustizia sociale spesso si presenta come tema fondamentale nel suo lavoro. Dalla bellissima rivisitazione di Solidarity Forever (The Union Makes Us Strong), inno degli Industrial Workers of the World (IWW) a Democracy, 1992.

Joe Cocker l’ha resa famosa, ma First we take Manhattan è sua, “Prima prendiamo Manhattan, poi prendiamo Berlino”. Donald Trump, vomitato dai salotti di Park Avenue formalmente se l’era già presa l’isola, e ora il continente USA, vedremo l’Europa dove andrà… Ha osservato in Tower of Song che, “i ricchi hanno i loro canali nelle camere da letto dei poveri”. Leonard Cohen ha continuato a danzare su di noi fino alla fine, continuando a mandarci i suoi Anthem, ci stiamo già preparando al futuro. “Ci saranno spettri/ ci saranno fuochi nella strada e l’uomo bianco danzante/ ma l’amore è il solo motore della sopravvivenza”. E sappiamo che tipo di amore intendesse.

Testo completo su:

Il poeta Leonard Cohen

Greg Lake (10/12/1947-7/12/2016)

Bassista, chitarrista, cantante e produttore discografico inglese. Nel 1969 entra a far parte dei King Crimson per la realizzazione di In the Court of the Crimson King, un disco considerato uno dei capostipiti del movimento rock progressive, ispirazione per molti artisti a venire, perfino nel grunge di Kurt Cobain. “Un capolavoro sbalorditivo”, difficile da definire in un genere, in cui la musica travalica i confini del rock e attinge al jazz e alla musica classica. Dopo la Summer of Love, la controcultura hippie violentata a colpi di napalm… Il disco non ha uno schema musicale o dei parametri definiti, è un opera filosofica da decifrare.

“Un crudo resoconto delle paure e delle angosce dell’uomo del ventunesimo secolo che rifugge solitudine e alienazione (I Talk to the Wind) rifugiandosi nella corte del Re Cremisi: una dimensione maestosa e lisergica fatta di sogni e illusioni, delicate armonie di tempi lontani (Moonchild) e mondi antichi, personaggi fantasy, pupazzi che danzano, buffoni di corte, illusionisti”.

Rick Parfitt (12/10/1948-24/12/2016)

Cantante e chitarrista inglese, membro della rock band Status Quo. Una delle migliori chitarre ritmiche del rock inglese e infaticabile base sonora dell’hard rock degli Status Quo, con uno stile deciso, potente e vigoroso. Tra eccessi e drammi nella sua vita, un animale da palcoscenico dotato di una voce calda e brillante, nonchè autore di alcuni tra i brani di maggior successo della band, come Rain e Whatever you want.

Coro dell’Armata Rossa (12/10/1928-25/12/2016)

Sull’aereo militare Tu-154 precipitato nel mar Nero nella notte tra venerdì e sabato c’erano anche 64 membri del famoso Complesso Accademico di Canto e Ballo dell’Esercito Russo “A.V. Alexandrov”, noto anche come il Coro dell’Armata Rossa. Il coro è composto da circa 400 membri ed è tra i più famosi del mondo: cantanti uomini, un corpo di danza (di ballerine e ballerini) e un’orchestra. Il gruppo di coristi a bordo del volo precipitato stava andando alla base militare di Khmeimim, in Siria, per esibirsi davanti ai soldati russi per Natale. Putin ha ordinato un’inchiesta per accertare le cause dell’accaduto. Alcune fonti indicano il guasto o l’errore umano, mentre il capo del commissione Difesa del Senato, esclude “totalmente la tesi dell’attentato”. Anche la commissione inquirente ritiene che sia prematuro parlare di un atto di terrorismo ma ritiene ora che anche questa teoria debba essere presa in considerazione. Quel che è certo è che al momento in cui l’aereo è sparito dai radar le condizioni meteo nella zona erano ottimali.

Il Coro dell’Armata Rossa venne fondato nel 1928 da Alexandre Alexandrov, il compositore che avrebbe poi scritto la musica dell’inno sovietico e che allora era professore al conservatorio di Mosca.

Il primo concerto del coro fu al Frunze Club di Mosca nell’ottobre del 1928, mentre fin dall’anno successivo il gruppo cominciò a spostarsi nell’Unione Sovietica per esibirsi. In pochi anni, arrivò a comprendere 300 membri e diventò un importante strumento di propaganda, guadagnandosi le onorificenze militari del regime sovietico.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il coro sostituì nel proprio nome “Armata Rossa” con “Esercito Russo”, ma ancora oggi viene chiamato soprattutto con il suo nome originale. Nel 1990 il coro partecipò al concerto di Roger Waters per celebrare la caduta del muro di Berlino, cantando Bring the Boys Back Home.

George Michael (25/06/1963-25/12/2016)

Nella Gran Bretagna degli anni ’80 di Margareth Thatcher, mentre il liberismo economico più spietato impoverisce il paese, il duo degli Wham!, così fieramente kitsch e colorato stabilisce i canoni estetici di una generazione. Edonismo allo stato puro, video musicali pop che diventano cornici irreali, simbolo di tutti i “paninari” del mondo. Al culmine del successo, George Michael prende un’altra strada al ritmo di un soul e rhythm and blues, sempre più raffinato, iniziando il nuovo cammino, con un duetto con la regina di quel genere, sì, proprio Aretha Franklin. Gli anni ’90, la musica contamina il mondo della moda e viceversa, mentre MTV e il suo mondo patinato fagocitano tutto, e G. M. continua con la sua “faccia nuova di zecca” a far parlare più la sua vita che la sua musica.

Impegnato politicamente, finanziatore di molti progetti di beneficenza e sempre più critico verso il governo conservatore di M. Thatcher. Nel 1993 il suo compagno (a cui dedicherà la canzone Jesus to a Child), muore a causa dell’ AIDS, gettando l’artista in una profonda depressione che non lo abbandonerà più.

Tra gli anni ’80 e ’90 l’HIV, questa “misteriosa” malattia continua a mietere vittime, l’amico Freddie Mercury tra i tanti. La stampa è sempre più alla ricerca dei particolari più voyeuristici dei grandi artisti, la lente d’ingrandimento del gossip entra ovunque, perfino nei bagni pubblici degli aeroporti… George Michael alla fine degli anni ’90 decide di fare coming out pubblicamente sulla sua omosessualità. Una scelta difficile e traumatica per lui, sempre accuratamente riservato sulla sua vita che decide allora di spettacolarizzare il suo outing per darlo in pasto alla assetata corte dei media e diventare ancora di più un personaggio pubblico. In fondo, ognuno cerca sempre nella vita Somebody to love e George l’ha cantato e urlato in tutti i modi possibili. E quando la sua voce evoca Freddie Mercury alla Wembley arena di Londra nel 1992, riesce a rubare la scena perfino a David Bowie in quella occasione. “Quello che sembrava un parrucchiere greco” un po’ truzzo, al di là dello stile musicale che può piacere o no, ha davvero una voce grandiosa.

Debbie Reynolds (1/04/1932-28/12/2016)

Attrice, cantante e ballerina statunitense. Reginetta di bellezza, una delle innumerevoli “America’s Sweetheart” hollywoodiane per la stampa. A nemmeno vent’anni diventa una star con il celebre musical Singin’ in the rain di Stanley Donen (1952), un ruolo apparentemente secondario, ma già con la sua presenza scenica riesce ad imporsi per sempre sul grande schermo in questo capolavoro della “fabbrica dei sogni” targato MGM. Ambientato negli anni ’20 racconta il traumatico passaggio dal cinema muto al sonoro. Una rivoluzione che portò sul “viale del tramonto” numerose stars. Il film è un elogio alla vita, al technicolor, all’amore per l’arte cinematografica e a tutte le sue evoluzioni. “Good morning” cantata da Reynolds e ballata a suon di tip tap insieme al formidabile Gene Kelly mentre fuori diluvia, dopo una notte insonne è il migliore augurio per ogni giornata che attende la fatica del quotidiano, un’iniezione di vitalità desiderante.

La figlia di Debbie, Carrie Fisher, è stata giovane diva anche lei a vent’anni, alle prese con la saga mitologica di Star Wars in uno spazio senza tempo, che ha segnato (ancora oggi) generazioni di persone e una rivoluzione anch’essa nel mondo della tecnologia cinematografica e nel suo legame col merchandising. E il complicato rapporto madre-figlia tra una diva bellissima in declino e una giovane attrice che ha attraversato da principessa-guerriera gli anni ’80 è stato immortalato in un film, Cartoline dall’inferno, tratto dal romanzo semi-autobiografico di Fisher abbandonata dal padre cantante e con un marito geniale e dai tratti paterni come Paul Simon. Cinema e musica si fondono ancora una volta nel palcoscenico della vita.