MONDO

Turchia: la repressione dei curdi dopo gli attentati

In seguito al duplice attentato di sabato a Istanbul che ha causato 44 morti, le forze di sicurezza hanno arrestato in varie province del Paese 235 membri del partito di sinistra Hdp. Erdogan promette di combattere “il terrorismo fino alla fine”, intanto accelera per cambiare la costituzione.

Ultima ora: Salgono a 235 le persone arrestate per terrorismo dopo gli attentati di sabato a Istanbul che hanno causato 44 morti (il bilancio delle vittime si è aggravato nelle ultime ore). Sono 13, invece, le persone arrestate perché incriminate di essere legate alle esplosioni di due giorni fa.

L’attentato di sabato sera a Istanbul ha avuto una risposta scontata: la dura repressione dei curdi. In un solo giorno sono stati arrestati dai reparti dell’antiterrorismo turco 118 membri del partito di sinistra filo curdo Hdp (Partito democratico dei Popoli). I blitz delle forze dell’ordine hanno avuto luogo presso le sedi dell’Hdp a Istanbul, Ankara, Manisa e Mersin. Proprio in quest’ultima città si è registrato il maggior numero di arresti con 51 esponenti del partito a finire con le manette ai polsi.Venti, invece, le persone arrestate a Istanbul, 7 nella capitale.

Ma se i numeri differiscono da un distretto provinciale ad un altro, non cambia la sostanza delle accuse: i detenuti sono infatti incriminati per la loro appartenenza al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e “per aver condotto propaganda terroristica”. Nulla di nuovo sotto il sole: sono ormai centinaia gli esponenti del partito (inclusi i co-presidenti dell’Hdp Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdag) a finire in carcere con la stessa accusa dopo il golpe del 15 luglio scorso.

In questo clima di caccia alle streghe, ieri il Paese ha vissuto un giorno di lutto nazionale carico di rabbia e dolore per la duplice esplosione avvenuta vicino allo stadio della squadra di calcio del Beşiktaş. Un attacco rivendicato ieri dal Tak (“I falconi della libertà del Kurdistan”). In un comunicato apparso sul sito del Tak, il movimento spiega che il duplice attentato suicida è una “risposta alla violenza dello stato turco nel sud est del Paese” e alla detenzione di Abdullah Ocalan, il leader del Pkk di cui il Tak rappresenta una corrente scissionista. Alla base del dissenso con il Partito dei lavoratori del Kurdistan, per i “Falconi” c’è soprattutto la disponibilità dei primi al compromesso politico con Ankara.

Grave è stato il bilancio degli attentati. Secondo quanto ha dichiarato ieri il ministro degli Interni turco, Suleyman Soylu, gli attacchi hanno causato la morte di 41 persone (perlopiù forze di polizia, ma anche 7 civili). Partecipando al funerale di alcuni agenti uccisi sabato, il ministro ha condannato i ribelli curdi e i loro alleati in Occidente definendo “animali” gli esponenti del Pkk. “Avete ottenuto qualcosa oltre a dimostrarvi servi, pedine e sicari di certe forze oscure dei vostri oscuri partener occidentali?” ha poi domandato retoricamente. Parole non meno dure sono state espresse da Erdogan. Visitando ieri i feriti ricoverati presso l’ospedale Haseki di Istanbul, il presidente turco ha infatti promesso che la guerra contro “la maledizione del terrorismo durerà fino alla fine”.

Nelle stesse ore una manifestazione improvvisata di centinaia di persone si è diretta verso il luogo dell’attentato per rendere omaggio ai caduti. Molti manifestanti hanno posto dei fiori vicino alle barriere che circondano lo stadio. Bandiere a mezz’asta sono sventolate in segno di lutto in tutto il Paese e nelle sedi diplomatiche turche all’estero.

Chiara appare ormai la ricostruzione dei fatti. Una prima e più forte esplosione ha avuto luogo sabato alle 10:30 dopo che la squadra del Beşiktaş aveva sconfitto 2-1 il Bursasport nel campionato di serie A turca. Erdogan ha detto che l’orario dell’attacco è stato scelto per fare più morti possibili. Ciò sembra però contrastare con quanto accaduto: gli attentati, infatti, sono avvenuti due ore dopo la partita quando molti tifosi della squadra locale avevano già abbandonato l’area. Secondo il ministero degli Interni, la prima esplosione è stata causata da un’autobomba esplosa vicino alle forze di polizia poste nei pressi dell’uscita dello stadio. Alcuni minuti dopo, una persona, che era stata fermata vicino al Macka Park, si faceva saltare in aria. Il bilancio della strage è ancora provvisorio: al momento 41 hanno perso la vita e 155 sono i feriti. Di questi, 14 sono in terapia intensiva. Tre, invece, finora le persone arrestate perché coinvolte nella pianificazione dell’attacco.

Scosso dagli attentati, il mondo politico turco si è mostrato unito. Il partito di governo Akp (quello di Erdogan) e l’opposizione repubblicana (Chp) e nazionalista (Mhp) hanno infatti pubblicato una nota congiunta in cui hanno espresso “pieno sostegno” alle forze di sicurezza impegnate “nel combattere il terrorismo”. “I terroristi saranno distrutti e saranno ritenuti responsabili [per quanto fatto] – si legge nel comunicato – condividiamo questo enorme dolore lasciando da parte tutte le differenti opinioni politiche”. Ovviamente l’unità politica annunciata dalle tre compagini turche ha escluso il filo-curdo Hdp nonostante quest’ultimo, per bocca della parlamentare Meral Danış Beştaş, si sia subito detto pronto alla “cooperazione e non alla dissoluzione”.

Vicinanza alla Turchia è stata espressa dall’intera comunità internazionale. Se il segretario dell’Onu Ban Ki-Moon si è augurato che “i responsabili degli attentati possano essere assicurati velocemente alla giustizia”, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha approfittato dell’occasione per invitare i turchi a denunciare qualunque attacco contro lo stato ebraico. Nella riunione governativa, infatti, il premier ha ricordato ad Ankara che “la battaglia contro il terrorismo deve essere reciproca”. Anche la Federcalcio turca ha voluto rendere omaggio ai caduti con un minuto di silenzio su tutti i campi di gioco sia ieri che oggi, con le bandiere a mezz’asta e con il divieto di musica negli stadi.

Ma la battaglia che Ankara afferma di combattere contro il terrorismo non è l’unica che sta combattendo. Le partite che il Sultano sta giocando contemporaneamente sono 3: la campagna repressiva contro gulenisti (sostenitori veri o presunti del predicatore Gulen ritenuto dalle autorità locali la mente del colpo di stato di luglio) e la guerra sanguinosa contro i curdi del Pkk nell’est del Paese e sui monti Qandil nel nord dell’Iraq (ieri altri 12 combattenti morti a causa dei bombardamenti dei caccia turchi). Vi è poi la questione siro-irachena: ieri i jet di Ankara hanno ucciso 9 miliziani dello Stato Islamico (Is) nel nord della Siria nell’ambito dell’Operazione Scudo d’Eufrate inizata lo scorso agosto.

L’esercito turco e i suoi alleati (la vaga galassia dei “ribelli” siriani) sono entrati due giorni fa nel bastione dell’Is di al-Bab dopo, riferisce l’Osservatorio siriano dei diritti umani, “violenti scontri con i jihadisti”. L’obiettivo della missione non è però tanto combattere i miliziani di al-Baghdadi e simili (con cui, anzi, Ankara è stata fin troppo accondiscendente), ma impedire ai curdi siriani di unificare i loro tre cantoni nel nord della Siria e aiutare i ribelli siriani a non perdere terreno nella lotta contro il “nemico” siriano al-Asad.

Accanto a queste due battaglie repressive-militari, c’è poi quella politica: trasformare il Paese in una repubblica presidenziale. Qualche ora prima che i duplici attentati di sabato squarciassero il cielo di Istanbul, il suo partito (l’Akp) aveva inviato al parlamento una bozza di legge che garantisce l’estensione dei poteri del presidente e abolisce la carica di primo ministro. L’iter burocratico prevede ora che i 21 nuovi articoli costituzionali proposti dal governo vengano discussi dalla commissione parlamentare, poi votati in parlamento e, se approvati, messi a referendum. La speranza di Erdogan è che entro la primavera del 2017 possa avere luogo la consultazione popolare che gli potrebbe garantire di fatto il dominio incontrastato nel Paese.

Pubblicato su Nena News. Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir