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The Pills, fedeli alla linea

Attenzione questo testo può contenere tracce di spoiler. Detto questo, se temete lo spoiler persino sul film dei The Pills state messi malissimo, ve lo dico.

Si chiamano Luca, Luigi e Matteo, i trentenni romani che formano il trio The Pills, e hanno tre facce uguali a migliaia di altre che abbiamo incrociato per caso nei bar del Pigneto, nei circoli Arci, al Forte Prenestino.

Ma le introduzioni sono ormai superflue quando si parla di loro, “”i The Pills”, che dopo il successo virale dei loro mini-sketch su YouTube, decidono audacemente di oltrepassare i confini del web e di approdare a format comunicativi più mainstream, prima con una seconda serata su Italia 1 e ora con il lancio nelle sale di un lungometraggio.

Per una serie di fortuite coincidenze mi sono ritrovata ad assistere all’anteprima del film che esce oggi nelle sale col titolo Sempre meglio che lavorare e alla successiva conferenza stampa.

La prima cosa da dire sul film è che è un tributo alla fedeltà, fedeltà innanzitutto a se stessi, a ciò che i The Pills sono stati e hanno fatto fino ad oggi. Ritroviamo la stessa attitudine narrativa profondamente autobiografica e al contempo la prospettiva generazionale che hanno reso celebri le loro miniclip in rete.

Il film racconta l’amicizia di lunga data tra i tre protagonisti fondata su una sorta di patto di sangue stilato in tenera età: la promessa reciproca di non lavorare mai. Intorno a questa promessa ruota la trama del film: il lavoro assurge a un più generico totem della crescita, dell’incombere delle responsabilità e dell’imminente compromesso con la grigia realtà al quale bisogna sacrificare la spensieratezza dei sogni.

Come molti di noi (o come me, quantomeno) i tre protagonisti guardano film, vanno a ballare, usano i social network, si fanno le canne, conducono esistenze precarie e rimangono perennemente in bilico tra l’ansia scaturita da uno stile di vita ibernato nei riti della post-adolescenza e l’ansia, altrettanto gravosa, che il tanto agognato scarto della maturità un giorno o l’altro arrivi sul serio.

Lo stile cinematrografico è anch’esso in linea con la precedente produzione dei The Pills, la regia citazionista di Luca Vecchi, passa in rassegna diversi topos del cinema contemporaneo, dalla commedia sentimentale italiana fino all’action movie hollywoodiano, parodizzandoli con stile e dimostrando un solido background artistico professionale a dispetto del mood da dilettanti allo sbaraglio.

Nel complesso il film soddisfa le aspettative anche sul piano della carica umoristica, seppur a ppesantito e a tratti banalizzato dalla necessità di doversi misurare con una continuità narrativa che va oltre i 4/5 minuti standard delle loro clip. L’ironia graffiante e le trovate geniali che hanno fatto il successo dei The Pills sono però vive e lottano insieme a loro, anche se in forma annacquata, e provocano quel tot di risate che vale il prezzo del biglietto.

Fedeltà, quindi, a quello che i The Pills hanno saputo fare finora, in particolare alla capacità di raccontare la quotidianità dei trentenni romani (sulla resa extra-regionale faranno i conti nei prossimi giorni col botteghino) senza toni lamentosi e vittimisti, ma facendo da megafono quasi a una rivendicazione della repulsione verso il lavoro, dell’assunzione di sostante stupefacenti, dell’instabilità relazionale e di altri drammi psicosociali.

Per tutta la durata del film ho vissuto nell’attesa e nel timore che alla fine i tre, stretti tra le grinfie del mainstream, sarebbero caduti nella trappola retorica della redenzione, scendendo a patti con il lavoro come necessità o addirittura indicandolo come strumento di crescita ed emancipazione. Con un guizzo di stima, invece, ho potuto constatare la fedeltà alla linea che il film mantiene fino alla fine, evitando intelligentemente che la spinta caustica del trio venga edulcorata a fini pedagogici.

Nonostante le dichiarazioni alla stampa dei protagonisti, che raccontano il tema del film come un rifiuto del lavoro d’ufficio in quanto corollario della coerenza alle proprie reali aspirazioni, in questo caso artistiche, svuotando quindi di tensione politica quello che potrebbe essere un claim generazionale neo punk (no work), nella pellicola la proiezione verso un futuro di realizzazione creativa non appare. Per fortuna il film finisce prima che i The Pills riescano a fare il lavoro dei loro sogni, si interrompe al limitar del sogno americano (o renziano) lasciandosi agilmente interpretare come un’opera di pura devozione verso la nullafacenza.

Per quanto sia facile per una trenta/quarantenne identificarsi con gran parte del film, va detto che alla fine una punta d’amarezza si fa strada per coloro che, come me, vivono nella consapevolezza che non diventeranno registi, non metteranno i dischi, non faranno arte performativa, e non scriveranno romanzi di successo. Per loro lo specchio generazionale narrativo dei The Pills lascia fuori una zona d’ombra. Ed è proprio dentro quell’ombra che con un’ostinazione ancora più vera va ricercata la nostra eroica dignità, in quella zona d’ombra ci siamo noi, i fedelissimi alla linea, che ogni giorno trovano una forza inattesa, una nuova spinta, per evitare di pensare alle conseguenze di questa eterna adolescenza emozionale e fiscale.

Quello che ci differenzia dai The Pills è che noi, non fedeli ma fedelissimi, abbiamo rotto i ponti con la speranza e abbiamo abbracciato l’idea della fuga perpetua. Fuga forsennata dal lavoro d’ufficio, dalla famiglia tradizionale, dalla maturità, dalla pensione, dalla saggezza, dalla subdola lusinga dei sogni nel cassetto e forse – ci stiamo lavorando – persino fuga dalla paura.

PS: i The Pills esprimendo in tutto e per tutto il giovane romano medio usano spesso un linguaggio sessista in stile sarriano, se sia o meno il caso di boicottarlo per questo lo lascio decidere a voi.