MONDO

Sulle frequenze di Barricada TV: le sfide del giornalismo militante in Argentina

Dalla scorsa settimana la televisione alternativa e comunitaria Barricada TV è in diretta digitale: un reportage narrativo e fotografico racconta le sfide di un progetto di giornalismo militante nato nove anni fa presso la fabbrica recuperata IMPA a Buenos Aires.

“Senza speranza di essere ascoltato, con la certezza di essere perseguitato, ma fedele all’impegno assunto tanto tempo fa, di dare testimonianza nei momenti difficili” – Rodolfo Walsh, Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare, 24 marzo 1977.

A Buenos Aires c’e elettricità nell’aria. Per le strade, nelle case, sui vagoni della metro, non è difficile imbattersi in discussioni e scambi di opinioni, più o meno accesi. L’impressione è che si viva in equilibrio, come funamboli ma guardando in basso, tra le miserie di un’economia in recessione, e le tensioni generate da un futuro incerto. Negli ultimi mesi le mobilitazioni si sono susseguite numerose e costanti, canalizzando molteplici voci di protesta – il movimento femminista, il corpo docente, i migranti, i lavoratori dell’economia popolare, solo per citarne alcuni – che rappresentano in modo contundente l’orizzonte dialettico della partecipazione civile nella capitale argentina. Esserci, manifestare, organizzarsi, prendere parte.

Un orizzonte che trae forza dal senso di comunità. Un senso che oggi, qui a Buenos Aires, fa da contraltare alle politiche neoliberaliste del governo Macri. Per molti un esecutivo che è sempre più espressione di un potere oligarchico, lontano dalle necessità delle persone e amministrato attraverso la repressione del dissenso e della pluralità. La comunità diviene allora resistenza di fronte agli allarmanti passi indietro compiuti dal paese nel campo dei diritti civili, al crescente negazionismo dei dirigenti politici macristi riguardo i desaparecidos e ai crimini della dittatura. Resistenza alla militarizzazione della città e alla repressione violenta del diritto a manifestare; resistenza alle narrazioni sulla sicurezza, funzionali ad attuare misure da stato di polizia; resistenza agli sgomberi nelle villas e nei quartieri popolari, attuati per portare avanti i processi di gentrificazione e le speculazioni del mercato immobiliare.

In questa arena politica la declinazione del termine comunitario assume forme particolari e un’importanza del tutto specifica. Perché è nelle dimensioni comunitarie di quartiere, di lavoro, negli spazi associativi, nel cooperativismo, che si discutono e producono le istanze di equità e giustizia sociale. E in tale panorama ricopre un ruolo centrale il giornalismo, che queste istanze le deve percepire, raccogliere e trasmettere, perché anch’esso può e deve essere comunitario. Uno strumento alternativo, libero e partecipativo, per la comunità e della comunità. Non è un caso che molta della posta in palio in questa fase così delicata per la società argentina si giochi negli spazi di comunicazione, laddove i mezzi di informazione massivi costruiscono idee, narrazioni uniformate, discorsi strumentali e consenso politico.

A rappresentare una prospettiva differente tra i media della capitale c’é Barricada Tevé, una televisione che ispirandosi a Rodolfo Walsh, una delle figure più importanti e riconosciute del giornalismo in Argentina, fa dell’informazione libera una forma di militanza. In tal senso fare parte di Barricada implica intendere la pratica di giornalista come necessaria ricerca della verità. Un obbligo morale che per Walsh significò resistere all’ultima dittatura militare (1976-1983) fondando l’agenzia di stampa clandestina ANCLA, attraverso la quale denunciò le sparizioni, le torture e gli omicidi perpetrati durante il regime, prima di essere egli stesso vittima del genocidio.

Allineata a questa posizione, promuovendo ideali di giustizia sociale e sostenendo una postura fermamente antimperialista, Barricada trasmette dal 2008 una voce sempre più presente sui social media – Youtube, Facebook, Twitter e da alcuni mesi Instagram. In tutti questi anni, utilizzando queste piattaforme, sono andati in onda programmi di vario tipo, dalle cronache quotidiane dei notiziari, alle trasmissioni di approfondimento politico (La política por otros medios), economico (Miserias de la economía), trasmissioni sportive (Barricada deportiva) e spazi per discutere problemi di marginalità ed esclusione sociale (Incluyendo).

Io Barricada l’ho conosciuta quasi per caso appena arrivato qui a Buenos Aires, cinque mesi fa, ma ho avuto la fortuna di entrare a farne parte praticamente da subito. Da qui ho goduto di una prospettiva privilegiata che mi ha permesso di osservare da dentro, senza filtri, la vita della città con tutti i suoi conflitti, le paure degli sgomberi, le lotte alle diseguaglianze di genere, la terziarizzazione del lavoro, le manifestazioni di solidarietà alle Madri di Plaza de Mayo. Un’osservazione che da parte mia è diventata sempre più partecipata. Con camera e microfono abbiamo ascoltato le voci di centinaia di persone, prendendo parte alle manifestazioni, ai picchetti, alle conferenze stampa di organizzazioni e sindacati a fronte dei ripetuti attacchi ai diritti e alla dignità di lavoratori e lavoratrici.

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Abbiamo accompagnato i docenti della scuola pubblica durante gli scioperi di marzo e aprile. Come accade in altri paesi i cui governi di destra applicano la logica del neoliberalismo per trasformare le istituzioni, anche qui c’è un chiaro tentativo di smantellare, fra le altre cose, la scuola pubblica. Ma visto in termini più ampi siamo testimoni di un attacco generalizzato ai più poveri, donne e uomini che vengono ridotti a costi, problemi da nascondere, numeri che ostacolano gli investimenti (di multinazionali estere, se possibile). Perché qui, come dice la destra e come sottoscrivono i mezzi d’informazione conniventi al governo, c’è in ballo il cambiamento. Un termine che è divenuto propaganda per il PRO (Proposta Repubblicana, il partito del Presidente Macri) tanto a livello nazionale quanto nell’amministrazione della città di Buenos Aires.

Il cambiamento viene venduto e raccontato dappertutto, insieme all’ottimismo e all’allegria. Le forze di polizia della città non fanno altro che sorridere sui manifesti di propaganda del governo metropolitano, ma sono serissime quando portano in commissariato le manifestanti di NiUnaMenos o quando caricano i cortei. Ne sono piene le strade, di cambiamento. Ma dietro le strategie di comunicazione del PRO, contraddistinte perlopiù dalla goffa facciata delle opere pubbliche, quello che cambia è soprattutto la produzione discorsiva fondata su concetti come ordine, pulizia e sicurezza. Concetti che traslati alla vita delle persone significano sospensione dei diritti, aumento della marginalità sociale, gentrificazione, razzismo.

Ma che più di ogni altra cosa mostrano che il dominio della finanza sulle decisioni politiche non è altro che un processo di disumanizzazione. E allora è necessario ritornare alle persone, alla costruzione collettiva della società, all’esperienza, alla memoria. Una memoria viva, fatta di traiettorie comuni. Barricada irrompe proprio su questo confine, con un nome che più evocativo non poteva essere. Perché ci sono cose che non possono essere dimenticate e su cui non si possono fare passi indietro. Memoria. Verità. Giustizia. I tre assi su cui si è fondata la costruzione democratica del paese post-dittatura, sono oggi più attuali che mai. Ed è stato incredibile documentare le mobilitazioni oceaniche del 24 di marzo – 41esimo anniversario del colpo di stato del ’76 – e del 10 di maggio – quando oltre 500 mila persone sono scese in strada contro la proposta di dimezzare le pene ai genocidi della dittatura.

Gli studi di Barricada si trovano all’interno della IMPA, la prima fabbrica recuperata del paese, esempio cardine dell’autogestione popolare argentina a seguito della crisi economica del 2001. Proprio qui, un luogo tanto simbolico, la settimana passata è avvenuto un evento che assume una portata storica. Mercoledì 28 giugno infatti, alle 20 in punto ora argentina, è andato in onda, per la prima volta in diretta sulla televisione digitale (TDA), l’edizione serale del notiziario, il Noticiero Popular. Le attività all’interno degli studi si sono moltiplicate nelle settimane che hanno preceduto la prima trasmissione in diretta, di pari passo con la tensione e l’euforia per il raggiungimento di un obiettivo denso di significati. Prima di tutto si tratta del primo caso a livello nazionale in cui un canale comunitario, in gran parte autofinanziato, nato e cresciuto con l’intenzione di dare voce a settori che non hanno rappresentanza nei mezzi di informazione nazionale, oggi è in chiaro sulle frequenze della televisione digitale.

Le trasmissioni saranno visibili per un raggio di 17 km dal centro cittadino, teoricamente alla portata delle 14 milioni di persone che abitano l’area metropolitana di Buenos Aires, milione più, milione meno. E poi la storia di Barricada è emblematica anche per gli ostacoli incontrati durante il processo di attribuzione e utilizzo della frequenza. Un percorso iniziato nel 2008 e che da allora ha dovuto fare i conti con gli ostruzionismi dei giganti della comunicazione nazionale, i cosiddetti media multipiattaforma. Nello specifico, dopo aver vinto il concorso pubblico per l’assegnazione delle frequenze nel 2015, Canal 13 – emittente televisiva di proprietà del principale colosso editoriale del paese, Clarín – ha occupato illegalmente per più di un anno la frequenza assegnata a Barricada. Se adesso le trasmissioni in diretta sono una realtà è perché al canale ne è stata assegnata un’altra – mentre Canal 13 non si è mosso da lì.

Oggi gli sforzi degli ultimi anni vengono ripagati da una soddisfazione difficile da misurare e descrivere, specie per chi quel percorso non lo ha vissuto dal principio. Il mio punto di vista è parziale e mi permette solo di immaginare quanto deve essere stato duro arrivare fin qui. Ma partecipando alle attività della tivù ho capito che siamo solo ad un inizio, nuovamente. Davanti c’è la sfida – un po’ utopica, forse paradossale, ma bellissima – di scommettere che l’informazione alternativa e comunitaria possa aspirare a un grande pubblico, diventare massiva. Parlare a tutti rimanendo alternativi, abbracciando quel senso di comunità che trova nelle differenze e nella condivisione dei rapporti quotidiani la propria ragione di esistere, ma che nel percepirsi come qualcosa di collettivo esprime la propria vera forza.

E allora non resta che controllare le luci e sistemare i microfoni: “Siamo in onda!”

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