PRECARIETÀ

Strike neoliberal university

Le università del mondo sono in rivolta: analisi e prospettive delle lotte contro l’università neoliberale.

Senza voler creare falsi miti è innegabile che da un mese a questa parte stiamo assistendo in Europa e non solo alla crescita di mobilitazioni universitaria contro la struttura neoliberale e manageriale che il mondo della conoscenza e della formazione ha assunto in questi anni.

Proprio in questi giorni le informazioni, i comunicati di complicità, le interviste a student* dalle forme di vita sempre più mobili e precarie per studio e lavoro, stanno costituendo un tam tam portentoso capace di estendersi a macchia d’olio. Nel giro di un mese infatti, abbiamo assistito al sollevarsi dell’università di Amsterdam, di Londra e di tutta l’Inghilterra, della Spagna ora in lotta contro la riforma del 3 più 2, sino ad approdare oltreoceano in tutto il Canada, dove sono già avvenute le prime eclatanti e violente forme di repressione.

I punti straordinari da mettere in luce riguardo questa crescente mobilitazione sono moltissimi.

Primo fra tutti il dove: Paesi Bassi, Inghilterra, Canada.

Tutti paesi di serie A, dove le logiche neoliberali del mercato e del lavoro sono in atto e interiorizzate già da tempo, essendo generalmente in linea con le tradizioni storico-politiche di questi paesi. Dove, apparentemente, tali politiche non agiscono in modo violento come invece è avvenuto e sta avvenendo in Italia, con la recente riforma del Jobs Act e con lo smantellamento e la ristrutturazione dell’università operate dalla riforma Gelmini in poi, sempre lungo il solco del Bologna Process.

E’ proprio questo preciso situarsi delle mobilitazioni, nel cuore luminoso e privilegiato del mondo neoliberale, a conferire infinita potenza a questi movimenti facendo così completamente saltare la retorica della divisioni tra stati di serie A, immacolati e da emulare, e stati di serie B colpevoli, da multare e torchiare.

Un altro aspetto è sicuramente dato dalla qualità delle rivendicazioni. Non ci si limita esclusivamente ad elementi specifici o corporativi come l’innalzamento delle tasse, la mera mancanza di servizi o le vertenze sul reclutamento dei così detti precar* della conoscenza, la rivolta bensì si posiziona contro l’accademia neoliberale in sé, portando finalmente una critica sistemica.

Come era stato gridato a gran voce in Italia durante i cicli di movimento dell’Onda tra 2008 e 2010 e dello Sciopero Sociale nell’ultimo autunno, così ora in tutta l’Europa dagli alti ranking universitari ci si chiede quale sia il ruolo sociale dell’Università sotto l’austera forbice dei tagli al welfare e al dispiegarsi sempre più violento dei dispositivi del merito e della valutazione. Le politiche dell’austerity con la connivenza dei vari governi nazionali, dei ministri e dei rettori hanno riconfigurato sotto i nostri occhi l’intero sistema del sapere, una merce sempre più colonizzata e recintata, accessibile solo ai pochi “meritevoli” o sopravvissuti che non soffocano tra le maglie di un sistema sempre più selettivo e competitivo.

La lotta si pone contro università e scuole come palestre atte ad allenare soggettività precarie e sempre più povere, che si prestino a lavori sfruttati e sempre più gratuiti. Come sottolinea uno striscione che campeggia sulla facciata della York university occupata : “paghiamo per il privilegio del nostro lavoro precario!”.

Un ultimo aspetto non meno straordinario, forse il più innovativo e potenzialmente dirompente è costituito dalle soggettività e dalle pratiche che compongono e danno potenza a queste mobilitazioni. Se la critica è generale e sistemica i soggetti che la praticano non possono che appartenere a tutte le sfere del sapere: studenti, ricercatori, docenti, lavoratori, tutt* accumunati da una stessa condizione precaria.

La pratica più diffusa e più capace di fare male alla controparte è quella dello sciopero. Non è un caso che tutte queste mobilitazioni abbiano infatti guardato con interesse alla costruzione dello sciopero sociale che si è dato in Italia nell’autunno appena trascorso. Riappropriarsi e risignificare questa pratica rendendola finalmente selvaggia e diffusa ha permesso di superare gli steccati e le categorie costruite dalle ultime politiche sul lavoro e sulla formazione.

Una forma di sottrazione e conflitto altamente inclusiva, autorganizzata e dal basso, dove ogni situazione precaria, se intrecciata e contaminata l’una con l’altra, ha trovato nello sciopero un moltiplicatore di visibilità e incisività. Ci chiediamo dunque come far scioperare il sapere, come anche qui nella periferia italiana contaminare e far parlare tutt* i soggetti subalterni e precari dell’università.

L’appenanata ma fondamentale battaglia dei ricercatori non strutturati contro l’espulsione definitiva e di massa dall’accademia di personale altamente formato e qualificato ci sembra un buon inizio. Una scommessa da immaginare, praticare ed espandere, convinti che l’università internazionale non sia quella dell’austerity, del merito e della valutazione, ma quella in rivolta e in continuo movimento.

DiSC – Dipartimento Saperi Critici

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