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Strada facendo: Burgos chiama Roma e le altre

Riconfigurazioni urbane, resistenze, diritto alla città

1. A volte “le questioni urbanistiche” sono più complicate del previsto. Lo sa bene, tanto per fare nomi, Romano Prodi che tirò fuori l’urbanistica quando gli americani, a Vicenza nel 2007, s’impossessarono senza tanti riguardi del “Dal Molin” per i loro giochi di guerra. Lui parlava di planimetrie e disegni. Si trovò a fare i conti con un vasto movimento di opposizione che ancora continua.

Questioni che diventano ancor più complicate quando succede che chi le città abita, improvvisamente, s’imbatte in uomini e mezzi che dovrebbero, modificando tutto, trasformare in cemento un progetto, magnificamente restituito da qualche accattivante rendering, ma che nessuno conosce e di cui nessuno ha mai parlato. A Burgos (centro della comunità autonoma di Castiglia e Leòn), è successo una decina di giorni fa. Oggi, però, “No alla Bulevard” è qualcosa di più del rifiuto di un progetto e andare a vedere quei disegni è maledettamente importante.

L’amministrazione ha deciso di cambiare il volto ad una strada che con quattro corsie attraversa, incuneata tra possenti condomini edilizi, la zona di Gamonal, un tempo quartiere operaio a ridosso del centro abitato. Ora, raggiunto dall’espansione edilizia, è sottoposto ad una continua erosione e sostituzione/espulsione dei suoi residenti originari. Come succede ovunque cacciare gli abitanti non basta; occorre accompagnare il fenomeno con alcuni passaggi capaci di rendere il quartiere appetibile/vendibile ai nuovi venuti.

Ed ecco che l’Amministrazione Comunale decide che quella strada, dal largo fascio di corsie (quattro), che per molti anni senza nessun rispetto aveva finito con il tagliare i due il fronte delle case, oggi deve diventare un’altra cosa, ma soprattutto deve produrre qualche cosa. Da trovare, magari, tirando fuori il profitto dalle proprie viscere.

Così, questo è il progetto dal costo di otto milioni di euro: sotto parcheggi privati (due livelli); sopra: riduzione delle carreggiate e spazio centrale libero per un lungo camminamento, una “Rambla” dove non far mancare gli immancabili spazi commerciali. Se prima Gamonal era un quartiere dormitorio a corona della città, solo da attraversare per entrare o uscire dalla zona centrale, ora, qui, si dovrà sostare e consumare. Molto più di una questione urbanistica dunque che è stata capace di parlare a tutta la Spagna di cosa vuol dire dividere il proprio abitare con le scelte della finanza, del dover convivere con le scelte “rigenerative” che stanno attraversando molte città. Un fenomeno che investe Burgos e le altre. Roma compresa.

2. La rigenerazione urbana ha bisogno di progetti, di immagini in grado di attualizzare forme e modalità che la città neoliberista trasforma da “sostanza di cose sperate” da chi l’abita in sostanza di cose imposte a chi potrà ancora abitarla. Succede ovunque. Il parco di Gezi (Istanbul) e la strada di Burgos, per restare agli ultimi atti, hanno un punto in comune. Entrambi, seppur individui tipologici diversi, hanno costruito e rappresentano parti significative della costruzione della città. Sono strutture di servizio; sono “spazio urbano”, sono luoghi riconosciuti dai cittadini. Spazio dove, ora, si dispiega l’attacco contro chi lo vive e quindi contro chi lo abita.

Privare di altrettanti luoghi fin qui presenti nella vita collettiva (il parco); scegliere di far andare in malora i servizi per i bambini (è il caso di Gamonal) e puntare sul ridisegno commerciale di una strada; immettere nuove funzioni, non è una scelta conseguente a un progetto, un fare i conti con quello che sta succedendo, ma la dimostrazione di come nella trasformazione dello spazio urbano si muovano le scelte della “politica” mosse dal potere finanziario. Le battaglie di Istanbul, le notti di Burgos, i cortei, le manifestazioni, i corpi che si contrappongono ad agenti e blindati, non sono (o non sono solo) risposte, proteste, ma la precisa affermazione e dimostrazione che, nella trasformazione della città contemporanea, lo spazio urbano assume una dimensione tutta politica.

Parlare oggi di “partecipazione” acquista un significato preciso: sottrarre ai cittadini , magari in cambio di qualche “turno” di ascolto, la loro consapevolezza territoriale: il riconoscersi essere al centro del “terminale” materiale delle azioni di potere che agiscono per la definizione spaziale. Per questo gli abitanti possono essere consultati, sentiti, blanditi e “compensati” con qualche metro quadro, ma vanno rimossi.

3. La chiamano “rigenerazione”, ma non si tratta di cambiare dei pezzi, sostituire, rammendare, tenere insieme. La metropoli non si costruisce per annessioni di pezzi di città, ma disintegrando questi pezzi. Siamo in presenza di nuovi oggetti da assemblare, non con qualcosa che è esistito in precedenza quanto con il “luogo” dove quei pezzi che ora non rendono più si trovano: il terreno e la sua nuova acquisizione di valore una volta liberato dai vecchi “ingombri”. Non sono operazioni di recupero o, anche quando lo sono ( la sede di Paris-Paribas lungo il canale della Villette a Parigi un tempo mulini, o quello che si vorrebbe fare, per esempio, negli ex mercati dell’Ostiense a Roma), sono elementi di definizione di una nuova realtà ripensata, prima ancora che nei suoi esiti edilizi –urbanistici, come un nuovo spazio politico da cui tener fuori, prima di tutto, i cittadini e il loro controllo.

La resistenza degli abitanti di Burgos dimostra d’aver capito bene come di ogni singola riconfigurazione urbana, la metropoli se ne serva per porre se stessa come centrale, quale spazio del conflitto dove dispiegare le proprie azioni e pratiche neoliberiste. E’ questa la ragione per cui le lotte territoriali, prima ancora di trovare e unificarsi con esempi simili, riescono a raggiungere, fuori dai propri confini, forme di lotta e di solidarietà di chi è soggetto al vivere nelle forme di precarietà che ci attanagliano.

4. Difendere la territorializzazione di ogni conflitto locale non è un atto riduttivo o difensivo. Non è più il “mio giardino”. Immediatamente ogni lotta produce forme inedite di territorialità .

A Madrid, o nelle altre città spagnole dove la lotta di Burgos è amplificata da cortei e proteste, non si parla di quella strada che si vuole stravolgere, si parla del fatto che si vuole impedire l’introduzione coercitiva nelle città di forme di mobilità esclusivamente a pagamento, si parla di vita resa impossibile dalla mancanza di lavoro, di case da cui non venir più cacciati, delle banche ingrassate di soldi che vengono strappati giorno dopo giorno per pagare debiti e azzardi fatti da loro, di salari ridotti, di precariato. Si è solidali e anche, è successo a Burgos, se l’amministrazione ritira il progetto si resta sulla strada costringendo carpentieri e mezzi comunali a ricostruire l’asfalto che avevano cominciato a tirar via. Si occupa la strada per far liberare gli oltre quaranta arrestati in questi giorni perché chiedere rispetto per il proprio territorio non è una questione di polizia.

Succede anche a Roma dove sono gli utenti a fare fronte comune con i lavoratori contro ogni possibile ipotesi di privatizzazione dell’agonizzante servizio pubblico di trasporto. Succede anche a Roma, dove il Sindaco Marino nasconde i suoi ripetuti e continui default annunciando, anche lui, un progetto rigenerativo che spostando dall’originaria sede prevista la città della Scienza (a stretto contatto con la Terza università, i suoi laboratori, la sua ricerca, l’ex area industriale del Gazometro) la “traghetta” verso il rassicurante polo culturale del Flaminio dove magari tirar su qualche edificio, compensandolo con le immancabili abitazioni private di lusso e centri commerciali.

Prevedendo, ci mancherebbe altro!, la progettazione dei cittadini che potranno dire la loro non su cosa fare , quello è già deciso, ma su come strappare qualche metro quadro per le loro riunioni. La rigenerazione di una parte della città , parla alla città tutta e non solo ad essa. Non sono partite singole, né singoli progetti edilizi.

Lo dimostra il fatto che ognuno di questi progetti, cancella lo spazio pubblico, si appropria dispoticamente di ogni risorsa comune, abbatte ogni forma di identità., annullando differenze e diversità che sono la ricchezza delle città. E’la lotta della finanza. Così fa territorio. A noi riprendere la nostra ricchezza, vivendo questi spazi dove logiche di potere si troveranno a convivere con le rivolte. Non è una questione urbanistica, una disciplina che ci invitano a praticare ben sapendo che non ci potrà certo aiutare, sostituita come è stata da tecniche di governo che si impossessano della città per rispondere a decisioni prese altrove.